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A Copenaghen il vertice sul clima

"Il mondo ci guarda, diamogli speranza"

Si sono aperti nella capitale danese i lavori della quindicesima conferenza Onu sui cambiamenti climatici (Cop15). "Nei prossimi giorni Copenaghen sarà Hopenaghen", ha detto il premier danese…

2009-12-07

Ingegneria Impianti Industriali

Elettrici Antinvendio

ST

DG

Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

SUPPORTO ENGINEERING-ONLINE

 

L'ARGOMENTO DI OGGI

 

Il Mio Pensiero:

Dal Sito Internet di

REPUBBLICA

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http://www.repubblica.it/

2009-12-07

http://tidesandcurrents.noaa.gov/sltrends/sltrends.shtml

 

CORRIERE della SERA

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http://www.corriere.it

2009-12-08

dato dell'Organizzazione meteorologica mondiale

2000-2009: è il decennio

più caldo degli ultimi 160 anni

Quello più freddo invece fu quello tra il 1810 e il 1819, durante la campagna di Russia di Napoleone

Il letto secco del fiume Gan, in Cina presso Nanchang (Afp)

MILANO - Se l'avesse saputo, Napoleone non avrebbe mai intrapreso la campagna di Russia nel 1812. Il decennio tra il 1810 e il 1819 fu infatti il più freddo degli ultimi 500 anni. Nello stesso momento in cui uscivano questi dati su Geophysical Research Letters, a Copenaghen l'Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) annunciava che il decennio tra il 2000 e il 2009 è "molto probabilmente" il più caldo da quando le temperature vengono registrate globalmente con una certa affidabilità e costanza, cioè dal 1850.

DECENNIO CALDO - Il segretario del Wmo, Michel Jarraud, ha precisato che per alcune aree - in particolare Africa e Asia centrale - il 2009 passerà alla storia come l’anno in assoluto più caldo, mentre il più caldo a livello globale resta il 1998 a causa del fenomeno chiamato Enso (El Niño-Southern Oscillation). Il 2009 si posizionerà al quinto posto nella classifica assoluta, in quanto nel 2008 (undicesimo anno più caldo della storia) ha iniziato a svilupparsi un nuovo El Niño (i dati definitivi saranno disponibili nel prossimo marzo). E tutto ciò non lascia presagire nulla di buono per i prossimi anni: è probabile che saranno anni caldi come il 2003.

CALDA ITALIA - Anche per quanto riguarda l'Italia l'attuale decennio che sta per terminare è stato il più caldo in assoluto. La conferma è della banca dati del gruppo di climatologia storica dell'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna (Isac-Cnr). "I dieci anni più caldi della storia in Italia sono tutti successivi al 1990", afferma Teresa Nanni, responsabile del gruppo di climatologia storica Isac-Cnr. La top ten per temperature degli ultimi due secoli in Italia è infatti la seguente: 2003, 2001, 2007, 1994, 2009, 2000, 2008, 1990, 1998, 1997. L’anomalia media di questi primi dieci anni del XXI secolo è di 1,2 °C in più rispetto al periodo di riferimento. La primavera 2009 si situa al quarto posto tra le più calde negli ultimi duecento anni con +1,76 °C rispetto alla media 1961-1990, e l’estate al quinto posto con + 1,87 gradi. Maggio 2009 si pone al terzo posto tra i mesi di maggio più caldi degli ultimi due secoli con +2,9 °C. Maggio 2009 è stato anche il maggio più secco degli ultimi 200 anni e anche agosto si è collocato al quarto posto per scarsità di precipitazioni tra i dati di quel mese.

DECENNIO FREDDO - Una ricerca condotta da scienziati dell'Università di Stato del Sud Dakota (Sdsu), insieme ad altri colleghi statunitensi e francesi, ha scoperto che il decennio più freddo degli ultimi 500 anni fu quello compreso tra il 1810 e il 1819. Già si sapeva che la grande eruzione del vulcano Tambora nel 1815, che uccise oltre 88 mila persone nella sola Indonesia, causò un raffreddamento globale negli anni successivi. E in particolare nel 1816, soprannominato "l'anno senza estate". Ora si è verificato che nel 1809 avvenne un'altra gigantesca eruzione, finora sconosciuta, che abbassò notevolmente le temperature globali a causa dell'immissione in atmosfera di enormi quantità di aerosol di acido solforico che agì da schermo alle radiazioni solari. La scoperta, ha detto Jihong Cole-Dai, del dipartimento di chimica e biochimica dell'Sdsu, è avvenuta analizzando accuratamente le carote di ghiaccio della Groenlandia e dell'Antartide che evidenziano un alto contenuto di gas solforati nell'atmosfera, simile a quello dovuto al Tambora, ma in corrispondenza degli strati di ghiaccio deposti nel 1809.

Paolo Virtuani

08 dicembre 2009

 

 

Barroso: "Non ci sarà

un accordo vincolante"

"Alcuni Paesi non sono ancora pronti". A Copenaghen si punterà a stilare una bozza d'accordo che possa poi diventare un trattato vero e proprio

(Epa)

BRUXELLES - Da Copenaghen non uscirà "un accordo vincolante perchè alcuni Paesi non sono ancora pronti", in primo luogo gli Stati Uniti e la Cina. Lo ha detto il presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso ai microfoni di "Europe 1". Barroso ha comunque sottolineato come sia "un dovere" arrivare a una intesa perchè quella dei cambiamenti climatici rappresenta una "minaccia effettiva".

VERSO UNA BOZZA - A Copenaghen si punterà quindi, secondo il presidente dell'esecutivo comunitario, a stilare una bozza d'accordo che possa poi diventare un trattato vero e proprio accettabile da tutti i Paesi industrializzati e da quelli in via di sviluppo. Barroso, davanti alle difficoltà che dovranno essere superate a Copenaghen, ha condiviso lo "scetticismo" con cui si guarda da molte parti alla conferenza sul clima, ma ha anche rilevato di essere "fiero" del ruolo che sta giocando l'Europa.

 

08 dicembre 2009

 

 

 

Londra chiede a Ue drastico

taglio delle emissioni per il 2020

Esortazione di Brown, che arriva mentre a Copenaghen la Conferenza Onu sul clima entra nel secondo giorno

e quindi nella fase "operativa"

Gordon Brown (Afp)

LONDRA - La Gran Bretagna chiede all’Europa una drastica e "reale" riduzione delle emissioni inquinanti, sorpassando timori e divisioni. "I nostri Paesi devono essere tanto ambiziosi quanto pretendono di esserlo", dichiara il premier Gordon Brown in un’intervista al quotidiano The Guardian. Esortazione che arriva mentre a Copenaghen la Conferenza Onu sul clima entra nel secondo giorno e quindi nella fase "operativa".

OBIETTIVO RIDUZIONE 30% ENTRO 2020 -"Non è sufficiente dire "posso fare questo, potrei fare questo, forse farò questo" - punzecchia il capo del governo londinese - io voglio creare una situazione in cui l’Unione europea sia convinta di andare verso il 30% di riduzione delle emissioni entro il 2020". Brown si rivolge a un’Ue divisa sull’opportunità di rivedere l’obiettivo di taglio dei gas a effetto serra dal 20% al 30% entro il 2020 (rispetto al 1990) in caso di accordo a Copenaghen. Varie cancellerie preferirebbero attendere il varo di un impegno giuridico vincolante nel 2010. La Polonia ieri ha preso una netta posizione in tal senso, contrapponendosi alla posizione oggi ribadita da Brown e condivisa apertamente dalla Gran Bretagna.

 

08 dicembre 2009

 

 

 

Clima. La Cina a Paesi sviluppati: "Mostrate sincerità"

Pechino chiede "impegni concreti" e "trasferimenti di tecnologia" verso i Paesi più poveri

(Afp)

PECHINO - La Cina chiede ai "Paesi sviluppati" presenti alla conferenza sul clima in corso a Copenaghen di "dimostrare la loro sincerità e la loro volontà politica" con "impegni concreti" e "trasferimenti di tecnologia" ai Paesi più poveri. Lo ha affermato oggi la portavoce del ministero degli esteri cinese Jiang Yu in una conferenza stampa a Pechino.

"SEGUIRE I PRINCIPI DI KYOTO" - La portavoce ha aggiunto che la Cina ritiene che "la chiave per il successo" della conferenza internazionale sul clima stia nel "seguire i principi stabiliti dal protocollo di Kyoto e dalla riunione di Bali", cioè quelli in base ai quali i Paesi più ricchi devono prendere impegni precisi e vincolati per agire contro il surriscaldamento del Pianeta. Jiang Yu ha confermato che il premier cinese Wen Jiabao parteciperà ai lavori della conferenza ma non ha precisato la data della sua partenza per la Danimarca.

 

08 dicembre 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2009-12-07

La svolta nella politica americana apre la strada a un accordo

Usa: "I gas serra sono pericolosi"

L'Agenzia per la Protezione ambientale: "Sono una minaccia per la salute umana"

(Reuters)

WASHINGTON - Svolta nella politica ufficiale americana nel giorno d'apertura della conferenza di Copenaghen sul clima. L'agenzia Usa per la Protezione ambientale (Epa) ha dichiarato ufficialmente che i gas che contribuiscono all'effetto serra sono una minaccia per la salute umana. L'annuncio apre così la possibilità di un accordo efficace sulla limitazione dei gas serra al vertice e anche al Congresso di Washington per un intervento normativo che potrebbe nei prossimi mesi imporre per la prima volta un tetto alla produzione di gas inquinanti.

SFIDA - A dare l’annuncio ufficiale è stata Lisa Jackson, direttrice dell’Epa, in una conferenza stampa a Washington. Jackson ha spiegato come il 2009 si pone come "l’anno in cui gli Stati Uniti hanno iniziato a fronteggiare la sfida dei gas serra e a cogliere l’opportunità di una riforma sull’energia pulita".

07 dicembre 2009

 

 

 

 

 

Più che raddoppiate le richieste di entrare al Bella Center dove si svolge la conferenza

Il vertice di Copenaghen

è diventato "insostenibile"

Troppi delegati. Difficile neutralizzare il surplus di emissioni creato dal sovraffollamento

La sala plenaria del Bella Center di Copenaghen , affollatissima (Afp)

Quello che era stato vantato come il summit climatico più sostenibile realizzato finora, perlomeno dal punto di vista energetico e ambientale, è diventato improvvisamente insostenibile: il numero di coloro che premono per partecipare o assistere ai lavori è più che raddoppiato. Gli organizzatori hanno gettato la spugna e annunciato turni di ingresso a numero chiuso nelle ore picco. Un comunicato del Segretariato della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici che si è aperta lunedì mattina a Copenaghen (e che andrà avanti fino a sabato 19 dicembre) ha messo in chiaro le cifre della congestione ambientale al Bella Center, l’avveniristico e scintillante centro congressi alla periferia della capitale danese, che con i suoi 122 mila metri quadrati di superficie era ritenuto adeguato a reggere l’impatto dei delegati e rappresentanti dei media regolarmente accreditati.

TROPPI DELEGATI - "La capienza massima del Bella Center è di 15 mila persone in tutto –ha informato stamane un portavoce Onu–. Le richieste di accredito, finora, sono arrivate a 34 mila. Impossibile soddisfarle tutte a causa delle limitazioni fisiche degli spazi. Siamo costretti a introdurre il sistema delle quote. Solo una certa percentuale di accreditati per ogni organizzazione sarà ammesso al Centro". Anche la grande sala stampa e le salette dei press briefing, nelle ore di punta, avranno un numero di posti ben inferiore ai giornalisti accreditati: gli organizzatori, fin d’ora, raccomandano ai rappresentanti dei media di ripiegare sui collegamenti via web cast. Delusi molti giornalisti che si erano precipitati a Copenaghen sperando di assistere direttamente agli eventi e di interloquire con i protagonisti del tanto atteso vertice. Anche in questo caso, le domande di accredito hanno superato di gran lunga il numero di 3.500 presenze, che gli organizzatori hanno indicato come il limite massimo dei giornalisti fisicamente ammissibili all’interno del Bella Center.

L'IMPATTO AMBIENTALE - Nei giorni scorsi il summit climatico di Copenaghen è stato decantato come quello in cui l’impatto antropico in termini di consumi energetici e inquinamento ambientale sarebbe stato accuratamente controllato e neutralizzato. Il surplus di energia necessario per alimentare la mega conferenza sarebbe stato fornito da fonti rigorosamente rinnovabili, ovvero compensato con azioni ambientalmente virtuose in Paesi in via di sviluppo, in modo tale che si raggiungesse una completa neutralizzazione delle emissioni di gas serra. Ma l’affluenza molto superiore alle previsioni, favorita negli ultimi giorni dalle ottimistiche dichiarazioni di capi di governo e dalla promessa del presidente Obama di presenziare anche nella fase conclusiva dei lavori, ha fatto superare ogni previsione. La pressione ambientale dei tanti delegati, assiepati negli alberghi e nelle abitazioni private della capitale danese e di una vasta regione attorno, è alle stelle e ora sarà veramente difficile mantenere l’impegno "carbon neutral".

Franco Foresta Martin

07 dicembre 2009

 

 

 

 

Copenaghen, via al summit sul clima

Frattini: "Serve un accordo vincolante"

Il Brasile chiede 300 miliardi di dollari. L'India apre: riduzione volontaria del 20-25% emissioni entro 2020

Un'installazione artistica a Copenaghen (Afp)

MILANO - "Possiamo cambiare e dobbiamo cambiare. In ballo, qui a Copenaghen, ci sono le speranze dell'umanità". Con queste parole il premier danese Lars Loekke Rasmussen ha dato il via alla 15esima conferenza dell'Onu sui cambiamenti climatici. Due settimane di tempo in cui i 192 Paesi presenti dovranno trovare un'intesa. Il summit comunque parte all'insegna dell'ottimismo. Almeno sulla carta. Barak Obama ha annunciato la sua presenza nella sessione finale, il Papa ha chiesto con forza di procedere verso un maggiore rispetto della natura e lo sviluppo solidale. "Si concluderà con un accordo firmato da tutti gli Stati" ha pronosticato il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. Il Bella Center, sede del vertice, è preso d'assalto dai delegati: ne erano previsti 15mila ma ne sono arrivati più del doppio, 34mila. Tanto che il summit rischia paradossalmente di diventare ecologicamente "insostenibile". I premier e capi di Stato sono 110.

Verso il summit di Copenaghen

Verso il summit di Copenaghen Verso il summit di Copenaghen Verso il summit di Copenaghen Verso il summit di Copenaghen Verso il summit di Copenaghen Verso il summit di Copenaghen Verso il summit di Copenaghen

NEGOZIATI NON FACILI - La Danimarca presiede i lavori e dovrà fare da regia ai negoziati, che non si annunciano facili. "Sono dolorosamente cosciente del fatto che voi avete diverse prospettive sul quadro generale sul contenuto dell’accordo" Rasmussen, appellandosi alla necessità di raggiungere "un accordo giusto, equo, accettabile per tutti, ma allo stesso tempo efficace ed operativo". Possibili aperture arrivano da India, Cina e Brasile, in testa al gruppo dei Paesi "ribelli", che avrebbero raggiunto un accordo comune per lavorare a un testo a Copenaghen, con la disponibilità anche del Sudafrica. "Il tempo è scaduto, è arrivato il momento di unirci", ha detto il capo negoziatore per l'Onu Yvo de Boer alla cerimonia di apertura. Il vertice è stato aperto con un video con protagonisti i bambini.

FRATTINI E PRESTIGIACOMO - Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha detto che "l'Italia vuole un accordo politico vincolante: non possiamo accettare accordi che siano vincolanti per qualcuno e un optional per altri". Dello stesso parere il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, che chiede "un'intesa politicamente vincolante a cui l'Italia lavorerà con il massimo impegno. Sarebbe una vittoria storica della comunità internazionale perché, a differenza di Kyoto, impegnerebbe tutti i paesi a uno sforzo globale per il clima".

LE PROPOSTE DEGLI OUTSIDER - Usa, India e Cina insieme a Brasile e Sudafrica saranno i protagonisti di queste due settimane. E da questi Stati continua ad arrivare la richiesta di un sostegno economico per l'abbattimento dei gas serra. In Cina la stampa sottolinea che "i poveri non devono pagare al di là delle loro capacità", come scrive il quotidiano Peking News, organo ufficiale del Partito Comunista. La Cina ha annunciato di voler ridurre le emissioni di gas serra del 40%-45% (rispetto al livello del 2005) entro il prossimo decennio. Dura la posizione annunciata dal Brasile: "Chiederemo ai Paesi ricchi e industrializzati circa 300 miliardi di dollari da destinare alla riduzioni delle emissioni - ha annunciato il ministro dell'ambiente Carlos Minc -. Chiederemo inoltre che questi Paesi taglino molto di più le loro emissioni". Un'apertura arriva invece dal Sudafrica, che si dice pronto a un compromesso con la disponibilità a rallentare del 34% entro il 2020 e del 42% entro il 2025 la crescita delle emissioni dei gas inquinanti, a patto che ciò avvenga nel quadro di un accordo internazionale e di aiuti finanziari e tecnologici. Infine l'India: il ministro dell'Ambiente Jairam Ramesh ha annunciato il progetto di riduzione volontaria del 20-25% delle emissioni entro il 2020. "Un segnale importante e incoraggiante" secondo il governo francese.

 

07 dicembre 2009

 

 

 

 

 

 

Il summit: via con ottimismo

08:18 SCIENZEBan Ki-moon: ci sarà accordo firmato da tutti. Ma il Brasile chiede 300 miliardi di dollari. Ipotesi di compromesso del Sudafrica. Cina: Paesi poveri non paghino al di là delle loro capacità

I sette protagonisti del negoziato

08:18 SCIENZEDalle lobby Usa opposte pressioni sul presidente Gli occidentali sperano in una sorpresa del Brasile di G.Sarcina

Il Papa: "Azioni rispettose della natura e dello sviluppo solidale"

13:58 SCIENZEL'auspicio del Papa in vista del vertice sul clima di Copenaghen durante l'Angelus in piazza San Pietro. "Rispetto della natura e sviluppo sostenibile" Commenta la notizia

CLIMA

Gas serra: il riscaldamento potrebbe essere ben più alto del previsto

19:31 SCIENZEDal 30% al 50% secondo uno studio apparso su Nature Geoscience, di P. Virtuani

CLIMA

Email rubate di dati falsificati: "Opera su commissione di hacker russi"

20:22 SCIENZEEsperti informatici già altre volte al lavoro per i servizi segreti di Mosca. L'inchiesta del Mail on Sunday sulle accuse di un climatologo belga

Clima, il rilancio di Obama.

A Copenaghen nei giorni cruciali

13:51 SCIENZEIl presidente Usa prenderà parte ai negoziati decisivi. Brown: "Darà un grande impulso al negoziato" Valentino

FOCUS

Dalle lattine si ricava una bicicletta

16:20 SCIENZE Raccolta differenziata: in 10 anni smaltito l’equivalente di 170 discariche di Mariolina Iossa

Aziende prudenti sui "tagli"

12:07 SCIENZE Il "Climategate" ha dato argomenti ai settori che dovranno sopportare le decisioni del vertice di Danilo Taino

L'APPUNTAMENTO

Il futuro della Terra a Copenaghen

11:49 SCIENZEDal 7 al 18 dicembre il summit sul clima dell'Onu. Attesi i rappresentanti di 192 Paesi riuniti Lo Speciale

SUL "TAVOLO"

Gli impegni dei Paesi industrializzati

21:51 SCIENZEL'elenco degli impegni che i principali produttori di gas serra si preparano a portare a Copenaghen

AMBIENTE

Riduzioni? I gas serra aumenteranno

17:52 SCIENZEI tagli annunciati da Usa, Cina e India otterranno solo il rallentamento di un aumento esponenziale

di Franco Foresta Martin ForumEmissioni: il grafico

AMBIENTE

Il summit sarà eco-friendly

17:35 SCIENZEEcco come sarà il Bella Center: alta tecnologia e basso impatto ecologico. Investimento di 2,4 milioni di euroFoto

VERSO COPENAGHEN

Ecosia: motore di ricerca ecologico

12:08 SCIENZEI suoi ideatori dichiarano che i profitti finanzieranno un progetto del WWF in Amazzonia di Francesco Tortora

Le nuove rotte (verdi) degli aerei

17:36 SCIENZE Le compagnie vogliono soprattutto consumare meno carburante. Per questo pensano a velivoli nuovi e piloti addestrati di Alessandra Mangiarotti

Concerti, il rock diventa ecologico

17:36 SCIENZEIn un anno emissioni pari a quelle prodotte dai consumi elettrici di un milione e 400 mila famiglie Cantanti e band si stanno impegnando a ridurre l' impatto dei tour di Andrea Laffranchi

Viaggi sostenibili. E senza eco-truffe

17:36 SCIENZEViaggiare "verde" è uno dei temi al cuore della questione ecologica. "Patenti verdi" vere e false di Stefano Montefiori

Energia pulita dai deserti nordafricani

17:36 SCIENZEI pannelli solari del progetto europeo Desertec: elettricità e acqua dal Sahara alla Scandinavia

 

 

 

Clima, il summit parte con l'ottimismo

Ban Ki-moon: ci sarà accordo firmato da tutti gli Stati. Ma il Brasile chiede 300 miliardi di dollari ai Paesi ricchi

MILANO - La 15esima conferenza dell'Onu sui cambiamenti climatici di Copenaghen parte all'insegna dell'ottimismo. Almeno sulla carta. Barak Obama ha annunciato la sua presenza nella sessione finale, il Papa ha chiesto con forza di procedere verso un maggiore rispetto della natura e uno sviluppo solidale. "Si concluderà con un accordo firmato da tutti gli Stati - ha detto il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon in un'intervista -. Tutti i capi di Stato e di governo sono d’accordo sull’obiettivo: adesso ci dobbiamo solo mettere d’accordo su come raggiungerlo". Anche i numeri fanno ben sperare. Il Bella Center, sede del vertice, è preso d'assalto dai delegati: 15mila la capienza massima del centro conferenze ma le richieste sono state più del doppio, circa 34mila. Un summit che vede per la prima volta la presenza di 103 tra premier e capi di Stato.

Verso il summit di Copenaghen

Verso il summit di Copenaghen Verso il summit di Copenaghen Verso il summit di Copenaghen Verso il summit di Copenaghen Verso il summit di Copenaghen Verso il summit di Copenaghen Verso il summit di Copenaghen

I "RIBELLI": CINA - Usa, India e Cina insieme a Brasile e Sudafrica saranno i protagonisti di queste due settimane. E da questi Stati "ribelli", ovvero in via di sviluppo, continua ad arrivare pressante la richiesta di un sostegno economico per l'abbattimento dei gas serra. Uno su tutti, la Cina. "È evidente che il pianeta è di tutti, ma sebbene i poveri devono assumersi delle responsabilità, non devono pagare al di là delle loro capacità: per arrivare a un consenso mondiale occorre assicurare giustizia ed equità" scrive il quotidiano Peking News, organo ufficiale del Partito Comunista. La Cina ha annunciato di voler ridurre le emissioni di gas serra del 40%-45% (rispetto al livello del 2005) entro il prossimo decennio. Il ministro cinese per la scienza e la tecnologia Wan Gang, in un'intervista al quotidiano britannico Guardian, ha detto che le emissioni raggiungeranno un picco tra il 2030 e il 2040 e solo dopo cominceranno a diminuire. Pechino, che sarà rappresentata dal premier Wen Jiabao, appare determinata a ridurre le emissioni. "Non bisogna permettere a questa polemica poveri-ricchi - scrive in un editoriale il quotidiano China Daily - di impedire che due settimane di colloqui di Copenaghen sfocino in un nuovo accordo globale sul clima che succeda nel 2013 al protocollo di Kyoto".

BRASILE E SUDAFRICA - Dura la posizione annunciata dal Brasile. "Faremo richieste molto dure, chiederemo ai Paesi ricchi e industrializzati circa 300 miliardi di dollari da destinare alla riduzioni delle emissioni - ha detto il ministro dell'ambiente Carlos Minc -. Chiederemo inoltre che questi Paesi taglino molto di più le loro emissioni". Un'apertura arriva invece dal Sudafrica, che si dice pronto a un compromesso con la disponibilità a rallentare del 34% entro il 2020 e del 42% entro il 2025 la crescita delle emissioni dei gas inquinanti, a patto che ciò avvenga nel quadro di un accordo internazionale e di aiuti finanziari e tecnologici. Infine l'India, dove il premier Manmohan Singh ha tirato un sospiro di sollievo perché alla vigilia del vertice è rientrata la rivolta di due dei suoi principali sherpa che avevano annunciato le dimissioni in dissenso con la posizione indiana sulle quote di riduzione delle emissioni di CO2. Dopo il discorso alla Camera del ministro dell'Ambiente Jairam Ramesh sul progetto di riduzione volontaria del 20-25% dell'intensità delle emissioni entro il 2020, Chandrasekahr Dasgupta e Prodipto Gosh, negoziatori chiave del team indiano, hanno rivelato il loro disaccordo, sostenendo che tale disponibilità, e l'ipotesi di un controllo internazionale su questo impegno, erano state offerte senza contropartite. Da qui la decisione di non viaggiare a Copenaghen. Ma una serie di riunioni con il ministro Ramesh, scrive la stampa di New Delhi, hanno permesso di superare almeno formalmente l'impasse e convinto i due sherpa a preparare le valigie.

DIECI MILIARDI ALL'ANNO - Secondo Yvo de Boer, segretario esecutivo della convenzione dell'Onu sui cambiamenti climatici, serviranno una decina di miliardi di dollari ogni anno per i prossimi tre anni per rispondere ai bisogni più urgenti dei Paesi più vulnerabili nel far fronte ai cambiamenti climatici. "Per questo - spiega - serve un rapido sblocco dei finanziamenti". Anche perché "da qui al 2020, o al 2030 saranno necessarie cifre molto più significative, nell'ordine di centinaia di miliardi di dollari".

 

07 dicembre 2009

 

 

 

 

I sette protagonisti del negoziato

Dalle lobby Usa opposte pressioni sul presidente

Gli occidentali sperano in una sorpresa del Brasile

OBAMA, OSSERVATO SPECIALE

Barack Obama è l’os­servato speciale del vertice che comincia oggi a Copenaghen. Ora bisogna capire quanto sarà profonda la svolta del presiden­te. Il piano clima prevede, tra l’altro, l’abbattimento delle emissioni di CO2 del 17% entro il 2020, ma rispetto al livello raggiunto nel 2005 (se si calcolasse il 1990 il taglio sarebbe pari solo al 3%). La legge è passata alla Camera dei rappre­sentanti il 26 giugno scorso, ma poi si è incaglia­ta al Senato, dove le lobby "energivore" sono fortissime. Obama ha cominciato allora a oscilla­re, tra tentazioni di svuotare il negoziato e tenta­tivi di rilancio, "rivendendo" lo stesso obiettivo del 17% già contenuto nel provvedimento bloc­cato dai senatori. Gli Stati Uniti hanno in mano le carte decisive del mazzo. In termini assoluti di emissioni sono stati appena raggiunti dalla Cina in testa alla classifica degli inquinatori, a quota 20% circa del totale mondiale (vedere tabella). Ma se si considera la quantità di anidride carbo­nica emessa pro capite gli Usa sono indiscutibil­mente primi con 19,4 tonnellate per persona, se­guiti dall’Europa con 8,6. La Cina segue con 5,1 tonnellate a testa.

IL PETROLIERE JACK GERARD

Obama è stretto tra pressio­ni industriali di segno diver­so (vedi il grafico a destra, ndr ). La vecchia lobby an­ti- Kyoto è ancora molto forte e tiene insieme i petrolieri (dall’American Petroleum In­stitute alla Hulliburton, più multinazionali come Bp America in affari con gli Stati Uniti). Sul fronte anti-Copenaghen si schierano le grandi industrie "energivore", come ConocoPhillips o Koch Industries e nu­merose associazioni di categoria, spalleggiate nel Congresso dall’influente deputato repub­blicano Joe Barton. Sotto la guida del presi­dente Jack N. Gerard ( foto ), American Petro­leum Institute, un conglomerato che rappre­senta anche le istanze dei principali gruppi pe­troliferi e chimici, ha lanciato una campagna con venti incontri pubblici ("energy citizen") in altrettanti Stati per rafforzare il consenso a favore dei "negazionisti" (non c’è pericolo di surriscaldamento). Un po’ a sorpresa anche le industrie tecnologiche (da Microsoft ad Ap­ple) hanno quanto meno preso le distanze dal piano clima presentato da Obama. Infine lo schieramento ostile al presidente comprende anche i sindacati dell’industria pesante, a co­minciare dalla United Steelworkers.

IL MANAGER JEFFREY IMMELT

Dall’altra parte del fronte cominciano ad agitarsi quelle aziende che hanno fiutato l’af­fare della "green economy", che significa, in sostanza, pro­duzione di pannelli solari fo­tovoltaici, impianti eolici e biocarburanti (dalla Growth Energy alla Iberdrola Renewebles). La "lobby verde" comprende circa 300 tra aziende e or­ganizzazioni, come la America Wind Energy Association (eolico), la Solar energy Industry Association (solare) o i coltivatori di mais (biocarburanti). Per i grandi dell’auto (Gm, Ford e Chrysler-Fiat) la conversione ecologi­ca è una strada obbligata, imposta dal gover­no. La linea di Obama, in realtà, è un’onda che divide il cuore della grande impresa. Ge­neral Electric, guidata da Jeffrey Immelt ( fo­to ), punta su Copenaghen, come dimostrano gli stanziamenti nell’energia alternativa a va­sto raggio: dall’eolico al nucleare. Anche il gruppo chimico Du Pont ora investe nel biote­ch e nel solare. Infine, nella fascia intermedia sono cresciute altre imprese, come per esem­pio la Advanced mechanical products di Cin­cinnati (20 milioni di dollari di prestito pub­blico), che già produce migliaia di veicoli a elettricità.

LE FATICHE DELLA MERKEL

L’Unione Europea ha già vissuto la sua Copenaghen in­terna, conclusa con la formu­la del "tre volte 20". Entro il 2020 i Paesi Ue si impegnano a tagliare mediamente del 20% le emissioni, a ridurre gli sprechi dei consumi per il 20% e a coprire il 20% del fabbisogno con ener­gie rinnovabili. Inoltre la Ue appare in grado di rispettare il traguardo assegnatole a Kyoto: -8% di emissioni entro il 2012. In realtà l’Ue è forse la zona del mondo che più delle altre ha bisogno di un risultato nella città danese (per un approfondimento vedere il recente libro di Carlo Corazza, "EcoEuropa", Egea editore). Il discorso tocca soprattutto i governi di Fran­cia, Germania e Gran Bretagna che stanno im­ponendo una sorta di riconversione forzata ai rispettivi sistemi industriali. Basti solo pensa­re a quanto abbia dovuto faticare la cancellie­ra tedesca Angela Merkel ( foto ) per fare accet­tare alle case tedesche (Volkswagen in testa) la direttiva che impone vincoli ecologici ai co­struttori di auto europei. Senza misure più o meno equivalenti a carico dei concorrenti mondiali, questo capitolo collegato al post-Kyoto potrebbe venire rimesso in discus­sione. Ma c’è dell’altro. Centinaia di aziende tedesche, inglesi, francesi e spagnole hanno investito in modo massiccio nella "green eco­nomy ". Anche loro hanno bisogno di un buon accordo.

IL TRAGUARDO DI BERLUSCONI

Anche l’Italia può staccare un "dividendo verde", spe­cie con la crescita delle filie­re di piccole e medie aziende specializzate in rinnovabili, dal Piemonte al Veneto; dal­la Lombardia alla Puglia. (Il quadro completo nel libro di Alberto Clo, "Il rebus energetico", Il Muli­no). Senonché l’Italia è il Paese (con l’Au­stria) che appare più in difficoltà nella tabel­la di Kyoto. Roma dovrebbe ridurre del 6,5% le emissioni di CO2 entro il 2012, ma a fine 2008 aveva addirittura fatto segnare un au­mento del 12,1% (fonte Legambiente). Certo, complice la crisi, anche il governo guidato da Silvio Berlusconi ( foto ) potrebbe tagliare il traguardo. Ora, però, è chiamata a un ulte­riore, difficile, scatto: -13% di emissioni en­tro il 2020.

WEN JIABAO E I BREVETTI

Il premier cinese Wen Jia­bao ( nella foto ) dovrà fissa­re il prezzo della sua coope­razione. L’economia di Pe­chino si alimenta ancora a carbone: il 70% dell’energia consumata provoca fumi fossili che sembrano usciti dai romanzi di Cronin. Nello stesso tempo nel Guangdong e nelle altre regioni produt­tive affumicate dalla CO2, le corporation ci­nesi e multinazionali (China Sun Biochem, Renesola, Suntech Power Holdings, Suzlon, Canadian Solar) costruiscono il nu­mero più grande di pannelli fotovoltaici nel mondo: di fatto tutti destinati all’espor­tazione. La crisi ha ridotto gli investimenti mondiali nella "clean economy". Si è passa­ti dai 150-160 miliardi del 2008 ai 100-110 del 2009. Ma il potenziale potrebbe arrivare a 320 miliardi entro il 2020. Le chiavi per fare il salto di qualità sono i diritti sulla pro­prietà intellettuale. Wen Jiabao appare nel­le condizioni di promuovere uno scambio tra un taglio (ridotto) di emissioni in cam­bio dei "brevetti verdi". Ma le industrie del settore di Stati Uniti, Giappone, Canada, Au­stralia e Svizzera non ne vogliono sentir parlare.

IL PRESIDENTE LULA E GLI ALTRI

Giappone, Australia, Brasi­le, India e Russia si presenta­no come outsider e possibili sorprese del negoziato. C’è una certa attesa per vedere come si muoverà il nuovo premier di Tokio, il democra­tico Yukio Hatoyama. Finora il segretario della convenzione Onu, Yvo de Boer, si era scontrato con il muro dell’ex pri­mo ministro liberale Taro Aso. Nelle ultime settimane Hatoyama ha già fatto qualche aper­tura sulle percentuali di taglio alle emissioni, ma bisognerà vedere come riuscirà a contene­re l’azione delle lobby, a cominciare da Toyo­ta, leader mondiale nella proprietà intellettua­le per i veicoli elettrici. Il Brasile di Ignacio Lu­la da Silva ( nella foto ), invece, potrebbe rive­larsi una pedina importante per avvicinare i blocchi contrapposti. La posizione di parten­za è difensiva, come quella dell’India ("siamo disponibili solo a fare tagli molto limitati"). Ma i negoziatori americani ed europei punta­no ad ammorbidire Lula, offrendo aiuti per frenare la deforestazione dell’Amazzonia (ope­razione vitale) e sbocchi di mercato all’arrem­bante industria brasiliana dei biocarburanti (già investiti 10,8 miliardi di dollari).

Giuseppe Sarcina

07 dicembre 2009

 

 

 

 

 

Benedetto XVI: "Rispetto

della natura e sviluppo solidale"

L'auspicio del Papa in vista del vertice sul clima di Copenaghen durante l'Angelus in piazza San Pietro

Benedetto XVI durante l'Angelus in piazza San Pietro

CITTÀ DEL VATICANO - L'auspicio che la Conferenza sul clima di Copenaghen sia un successo è venuto anche dal Papa in occasione dell'Angelus celebrato di fronte a migliaia di fedeli in Piazza San Pietro. Il Papa ha chiesto che vengano adottati stili di vita più sobri e che si rispetti la legge di Dio a tutela della natura. "Domani si aprirà, a Copenaghen, la Conferenza dell'Onu sui cambiamenti climatici - ha detto Benedetto XVI - con cui la comunità internazionale intende contrastare il fenomeno del riscaldamento globale". "Auspico - ha aggiunto Ratzinger - che i lavori aiuteranno ad individuare azioni rispettose della creazione e promotrici di uno sviluppo solidale, fondato sulla dignità della persona umana ed orientato al bene comune".

"PENSARE A POVERI E NUOVE GENERAZIONI" - "La salvaguardia del creato - ha proseguito il Papa - postula l'adozione di stili di vita sobri e responsabili, soprattutto verso i poveri e le generazioni future. In questa prospettiva, per garantire pieno successo alla Conferenza, invito tutte le persone di buona volontà a rispettare le leggi poste da Dio nella natura e a riscoprire la dimensione morale della vita umana".

 

06 dicembre 2009

 

 

 

 

Dal 30% al 50% secondo uno studio apparso su Nature Geoscience

Gas serra: il riscaldamento potrebbe essere ben più alto del previsto

Nel Pliocene medio (3 milioni di anni fa) la CO2 era a livello odierno, ma le temperature erano di 3-5 °C più alte

(Ansa)

MILANO - A poche ore dall'apertura dei lavori della conferenza sul clima a Copenaghen, uno studio lancia un serio allarme sugli effetti a lungo termine del riscaldamento globale. Norbert Röttgen, ministro tedesco dell'Ambiente, ha dichiarato che il vertice sarà un fallimento se non riuscirà a fissare entro il limite massimo di due gradi il riscaldamento globale accettabile. Ma questo limite, secondo lo studio pubblicato domenica, potrebbe essere irrealizzabile se non si diminuisce (o al massimo si mantiene uguale) l'attuale livello di anidride carbonica nell'atmosfera. E con le anticipazioni finora emerse degli accordi a Copenaghen, il livello di CO2 non si abbasserà affatto, ma solo sarà rallentato (forse) l'aumento.

VARIABILI - Il riscaldamento a lungo termine causato dall'aumento della concentrazione di gas serra potrebbe essere del 30-50% maggiore del previsto. Lo afferma uno studio sul paleoclima apparso sulla rivista specializzata Nature Geoscience alla vigilia dell'apertura della conferenza di Copenaghen. La capacità di calcolo degli attuali computer non è sufficiente per tenere conto di tutte le variabili del clima a lungo termine. Questo è il motivo per il quale il gruppo di scienziati guidati da Daniel Lunt, dell'Università di Bristol in Gran Bretagna, ha analizzato le temperature e le concentrazioni di anidride carbonica del Pliocene medio, circa 3 milioni di anni fa. La scelta di quell'epoca geologica è dovuta al fatto che la concentrazione di CO2 era simile a quella attuale: 400 ppm (parti per milione) rispetto alle 387 ppm di oggi.

AUMENTO DI 3-5 GRADI - Il risultato che è emerso dagli studi è che le temperature erano da 3 a 5 gradi più calde delle attualil, quindi dal 30% al 50% più elevate di quelle previste dai modelli dal Gruppo Onu sul cambiamento climatico (Ipcc). Le previsioni dell'Ipcc, secondo gli autori dello studio, non prendono in considerazione i cambiamenti degli elementi del nostro clima, tra le quali le "variazioni lente come il ghiaccio e la vegetazione", ha affermato Lunt. Lo studio non intende rimettere in discussione i modelli di previsione climatica per il XXI secolo, ma vuole approfondire l'analisi sul livello limite di CO2 oltre al quale non si può andare per evitare a lungo termine di far saltare l'intero meccanismo. "I nostri studi dimostrano che con un livello di 400 ppm il riscaldamento sarà ben più elevato di due gradi", ammonisce Lunt.

AGIRE SUBITO - "Se vogliamo accettare un riscaldamento globale di 2 gradi oltre al quale non possiamo andare, come dicono molte nazioni partecipanti a Copenaghen, dobbiamo porci come obiettivo un livello di CO2 di circa 380 ppm". Quindi una riduzione rispetto al contenuto attuale di anidride carbonica nell'atmosfera. Ma anche se il mondo dovesse fermare domani le emissioni di CO2, il suo livello nell'atmosfera non inizierà a diminuire che tra qualche secolo. A meno che non ci si inventi un sistema per catturla e stoccarla da qualche parte.

Paolo Virtuani

06 dicembre 2009

 

 

 

Esperti informatici già altre volte al lavoro per i servizi segreti di Mosca

Email rubate dei dati falsificati sul clima: "Opera su commissione di hacker russi"

L'inchiesta del Mail on Sunday sulle accuse di un climatologo belga

Tutto pronto per il vertice di Copenaghen (Epa)

BRUXELLES - Ci sarebbe lo "zampino" di hacker russi dietro il caso delle email "rubate" che evidenzierebbero come i climatologi hanno volutamente alterato i dati sul clima per rendere più credibile il riscaldamento globale. E non di hacker qualsiasi, ma di esperti informatici già altre volte a libro paga dei servizi segreti russi (Fbs) per lavori "sporchi". La denuncia lanciata sabato dal climatologo belga Jean-Pascal van Ypersele, numero due del Gruppo Onu sul cambiamento climatico (Ipcc), è stata ripresa e ampliata dal settimanale britannico Mail on Sunday.

L'ACCUSA - "Ho letto in diversi giornali che il file con le email piratate proveniva da un computer russo, identificato dall’indirizzo Ip", ha detto il climatologo belga. Ho buoni contatti in Russia, e mi dicono che là è normale che gli hacker, che sono molto abili, siano pagati per ’servizi’ di questo genere. Non solo hanno pubblicato e fatto circolare email ’rubate’, ma ne hanno anche fatto un’attenta selezione. Hanno passato in rassegna una corrispondenza di molti anni, comprimendo poi solo le email selezionate in soli 61 Mb", ha accusato van Ypersele. "Quella degli hacker russi pagati da qualcuno che aveva interesse a solevare un polverone proprio alla vigilia della Conferenza di Copenaghen, è un’ipotesi ragionevole, posso dirlo come scienziato".

RUSSIA - Secondo il Mail on Sunday, le email hackerate dall'Università di East Anglia sono state fatte trapelare da un piccolo server nella città siberiana di Tomsk. Il server è di proprietà della Tomline. Il link al quale si accedeva ai documenti è stato rimosso non appena le informazioni sono state riprese da altri siti. Il server viene utilizzato dall'Università di Stato di Tomsk e da altri istituti scientifici. I servizi segreti russi si sarebbero in passato rivolti ad hacker di Tomsk per chiudere siti sgraditi al Cremlino. Nel 2002 alcuni hacker di Tomsk avrebbero manomesso portale che diffondeva notizie critiche sulla Cecenia. "Non ci sono prove certe che l'operazione di hacking sia stata fatta da Tomsk, ma potrebbe esserlo", ha dichiarato un esperto russo, che ha definito l'operazione "sofisticata e ben fatta e dotata di motivazioni politiche in relazione a Copenaghen".

 

06 dicembre 2009

 

 

 

Clima, il rilancio di Obama

A Copenaghen nei giorni cruciali

Il presidente Usa prenderà parte ai negoziati decisivi. Brown: "Darà un grande impulso al negoziato"

WASHINGTON — Sono so­lo 10 giorni, ma bastano a fa­re tutta la differenza. L'im­provvisa decisione di Barack Obama di volare a Copena­ghen non il 9 ma il 18 dicem­bre, per essere presente alla fa­se finale e decisiva della confe­renza sul clima, cambia la di­namica del negoziato e rilan­cia la prospettiva di chiudere la partita danese con un accor­do di sostanza sulla riduzione delle emissioni di gas-serra. "Sulla base delle conversa­zioni con gli altri leader e dei progressi negoziali fatti, il pre­sidente crede che la leader­ship americana possa essere più produttiva partecipando alla conclusione del vertice", ha detto venerdì sera il porta­voce della Casa Bianca, Ro­bert Gibbs. Nei piani origina­li, Obama avrebbe dovuto es­sere nella capitale danese mer­coledì prossimo, giornata inaugurale del vertice, fer­mandosi sulla strada per Oslo dove il giorno dopo riceverà il Premio Nobel per la Pace. La scelta era stata criticata dai gruppi ambientalisti, come Friends of the Earth, secondo i quali il presidente degli Stati Uniti "deve fare molto più di un atto di presenza".

L'ANNUNCIO DELL'INDIA - A convincere la Casa Bian­ca che fosse necessario ri­schiare e impegnarsi diretta­mente è stato, giovedì scorso, l'annuncio dell'India, che se­gue di poche settimane quel­lo simile della Cina: per la pri­ma volta infatti, Pechino e New Dehli si sono impegnate formalmente a ridurre la loro "intensità carbonica", cioè la percentuale di emissioni tossi­che in rapporto al prodotto in­terno lordo. L'India promette di tagliar­la del 25% entro il 2020 rispet­to ai livelli del 2005, mentre la Cina vuole fare anche di più, con una riduzione del 40%-45%, sempre sul 2005. Di fatto, le loro emissioni tossi­che continueranno ad aumen­tare, ma lo faranno a ritmi molto più lenti: i due giganti asiatici rifiutano quindi i tagli drastici e i limiti vincolanti fatti propri dai Paesi più indu­strializzati, ma ora accettano il principio della corresponsa­bilità. Di più, secondo Gibbs c'è anche un "consenso emergen­te " sul fatto che l'accordo di Copenaghen dovrà prevede­re, a partire dal 2012, una li­nea di credito di 10 miliardi di dollari l'anno, per aiutare le nazioni in via di sviluppo ad affrontare i cambiamenti cli­matici. L'annuncio a sorpresa di Obama è stato salutato positi­vamente nelle capitali euro­pee.

CONFERENZA "STRATEGICA" - "Dimostra l'importanza che questa Amministrazione annette al successo della con­ferenza sul clima", ha detto il presidente francese, Nicolas Sarkozy. Mentre secondo il premier britannico Gordon Brown, la partecipazione di Obama alla fase finale del ver­tice "darà un grande impulso al negoziato". "Abbiamo da­vanti una strada ancora mol­to lunga — ha aggiunto Brown —, ma i leader del mondo si stanno unendo per segnalare la volontà di fare un passo storico". Al suo decimo viaggio all' estero, un record per il primo anno di un presidente, Oba­ma porterà nella capitale da­nese il suo impegno a ridurre i gas-serra del 17% (sui livelli del 2005) entro il 2020. Ma il presidente porta anche l'incer­tezza di un obiettivo il cui con­seguimento dipende dall'ap­provazione da parte del Congresso della nuova legge sull'ener­gia e sul clima, blocca­ta al Senato, che vor­rebbe in realtà fissare obiettivi meno ambi­ziosi. Ma a Copenaghen Obama guarda anche con un'altra speran­za: quella di riuscire entro il 18 dicembre a chiudere la trattativa con Mo­sca, per il nuovo Trattato Start sulla riduzione dei missi­li nucleari strategici. "Siamo nella fase finale", dicono i fun­zionari della Casa Bianca. Ma restano problemi sulle proce­dure di verifica e controllo e, ammettono, solo un colpo di scena potrebbe accelerare l'in­tesa definitiva, consentendo a Obama e al leader russo Me­dvedev di firmare il nuovo patto. Sarebbe il modo miglio­re di festeggiare il Premio No­bel per la Pace

Paolo Valentino

06 dicembre 2009

 

 

 

L’Europa e la concorrenza di America, Cina e India

Aziende prudenti sul taglio alle emissioni

Il "Climategate" ha dato argomenti ai settori industriali che dovranno sopportare le decisioni del summit

COPENAGHEN — La risposta delle prosti­tute di Copenaghen alla Conferenza sul cli­ma che si apre domani in città è stata bollen­te. Quando il sindaco, la socialdemocratica Ritt Bjerregaard, ha distribuito in 160 alber­ghi una cartolina-invito nella quale diceva ai delegati "siate sostenibili, non comprate sesso", hanno reagito immediatamente: chi si presenterà con uno di quegli inviti del sin­daco — hanno assicurato — avrà diritto a sesso gratis. Non tutti i settori industriali che non ama­no la Conferenza di Copenaghen — e ce ne sono — hanno dato risposte così nette.

LE LOBBIES - Teme­vano di sembrare guastatori mercenari del pianeta. Nei prossimi giorni, però, faranno sentire la loro voce forse più del previsto. I rappresentanti e i lobbisti delle industrie in­ternazionali che stanno arrivando in Dani­marca, infatti, notano che per la prima volta da anni il cosiddetto "consenso sul clima" sta un po’ vacillando. Che il mondo sia sull’or­lo della catastrofe non è più una certezza indi­scutibile dopo il Climategate scoppiato una settimana fa: un hacker ha rese pubbliche mi­gliaia di email nelle quali scienziati inglesi e americani parlano di dati manipolati o nasco­sti, della necessità di mettere in cattiva luce colleghi dissidenti, dell’obiettivo di controlla­re il sistema delle pubblicazioni scientifiche, tutto con lo scopo di sostenere la tesi del ri­scaldamento fuori controllo della Terra. Uno scandalo che probabilmente non avrà effetti decisivi sulla Conferenza ma ha dato ai settori industriali che più dovranno sopporta­re i costi delle decisioni di Copenaghen un’ar­gomentazione in più. La questione è partico­larmente forte in Europa, dove gli obiettivi di taglio delle emissioni sono più ambiziosi. Già 12 mila impianti industriali partecipano dal 2005 al sistema di scambio dei certificati di emissione, grazie al quale alcune industrie e alcuni Paesi hanno guadagnato denari inspe­rati ma a causa del quale molti di più, in par­ticolare quelli ad alto consumo di energia, hanno dovuto sostenere forti costi. Soprat­tutto in Europa, cuore del sistema dell ’emis­sion trading in quanto aderente al Protocol­lo di Kyoto a differenza degli Stati Uniti e dei Paesi emergenti.

ACCIAIO, ALLUMINIO, AEREI - Ora, i produttori di acciaio, di alluminio, di automobili, come pure le compagnie aeree (che per la prima volta sa­ranno costrette a pagare per le loro emissio­ni), sono comprensibilmente attentissimi a quello che succederà nelle prossime due set­timane. Quando le Confindustrie di Italia e Germania si sono incontrate la settimana scorsa, per esempio, i presidenti Emma Mar­cegaglia e Hans-Peter Keitel si sono trovati d’accordo nell’invitare i governi di Roma e di Berlino a non volere strafare. L’obiettivo dell’Unione europea — tagliare del 20%, ri­spetto ai livelli del 1990, le emissioni di gas serra entro il 2020 — è già considerato ambi­zioso e costoso: arrivare al 30%, come hanno indicato i governi tedesco e britannico, sa­rebbe una penalizzazione difficile da sostene­re, dicono. Il ministro dell’Economia tede­sco, Rainer Brüderle, è più o meno della stes­sa opinione. Come il governo italiano. La cancelliera Angela Merkel e il primo mini­stro britannico Gordon Brown potrebbero però correre più avanti come incentivo ad al­tre parti del mondo a fare di più. Il problema, per l’industria del Vecchio Continente, è che i costi di un tale impegno la metterebbe in una posizione di svantaggio competitivo notevole rispetto a quelle ameri­cane, cinesi, indiane. L’impegno massimo che il presidente Obama è in grado di prende­re è un taglio del 17% delle emissioni del suo Paese ma rispetto al 2005: significa che, ri­spetto alle emissioni del 1990 che sono il rife­rimento della Ue, il taglio sarebbe solo del 4%. Per alcuni settori manifatturieri europei si tratterebbe di una penalizzazione straordi­naria. Pochi, anche nell’industria europea, so­no negazionisti: credono che qualcosa di se­rio su emissioni e clima vada fatto. Ma, im­pressionati dai costi e dal Climategate, inizia­no a dubitare che chi più forte suona la cam­pana dell’allarme abbia ragione.

Danilo Taino

06 dicembre 2009

 

 

 

 

 

dal 7 al 18 dicembre il summit sul clima delle Nazioni Unite

Il futuro della Terra aspetta Copenaghen

I rappresentanti di 192 paesi riuniti per trovare un accordo sulle riduzione dei gas serra

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Altro che riduzioni, gas serra in aumento di F.F. Martin (4 dicembre 2009)

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Gli impegni dei paesi industrializzati

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Le 10 richieste del Wwf

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Il sito ufficiale del vertice di Copenaghen

Poco meno di due settimane per cambiare il Mondo, o per lasciarlo uguale. Comunque vada, al summit del clima che si svolge a Copenaghen dal 7 al 18 dicembre, una cosa è certa: la visione del futuro del pianeta non sarà più la stessa di oggi, sia che le delegazioni dei 192 paesi che partecipano al vertice trovino un accordo vincolante sul clima, sia che non lo trovino. La terza ipotesi, da molti osservatori ritenuta la più probabile, che tutto si riduca a dichiarazioni di intenti più di forma che di sostanza, di fatto non esiste: gli scienziati da tempo lanciano l’allarme sul fatto che i tempi della politica non coincidono con quelli della natura.

Di seguito alcuni dei "perché" utili per seguire i lavori che si svolgono al vertice di Copenaghen.

PERCHÈ SI TIENE IL VERTICE - La maggioranza dei governi, anche se con sostanziali differenze, ritiene che il cambiamento climatico minacci la la natura e di conseguenza la civiltà umana. Gli studi scientifici, in particolare quelli dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), istituito dall'Onu nel 1988, hanno raggiunto conclusioni solide sull’influenza delle attività umane sul clima attuale e sull’impatto del rialzo termico. Due anni fa nei negoziati sul clima di Bali i governi hanno concordato di lavorare su un nuovo accordo nel giro di due anni e oggi sperano di lasciare la capitale danese con questo nuovo patto. I negoziati sono tecnicamente denominati la 15esima Conferenza dei partecipanti alla Convenzione quadro sul cambiamento climatico della Nazioni Unite (Unfccc), in breve COP15. -

PERCHÈ ESISTE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO - Il clima della Terra è sempre cambiato naturalmente nel tempo. Per esempio, la variabilità dell’orbita planetaria altera la distanza dal Sole, originando le grandi ere glaciali e i periodi più temperati. Ma nelle recenti modificazioni del clima c'è un fattore nuovo: l'attività dell'uomo. Secondo l’ultimo rapporto dell’Ipcc, c’è una probabilità superiore al 90% che l’umanità sia responsabile del cambiamento climatico ala quale si sta assistendo e la causa è la combustione di carburanti fossili, carbone, petrolio e gas. Questo produce anidride carbonica (Co2), che, aggiunta alla Co2 naturalmente presente nell’atmosfera, agisce come una coperta, intrappolando l’energia del Sole e riscaldando la superficie terrestre. La deforestazione e altri processi che rilasciano gas serra, come il metano, contribuiscono. Se l’impatto iniziale è un aumento della temperature medie in tutto il mondo, il "riscaldamento globale" produce anche modifiche nella mappa delle precipitazioni, aumenta il livello degli oceani e cambia gli sbalzi termici tra giorno e notte. Questo insieme più complesso di modifiche del clima ha preso il nome di "cambiamento climatico" o anche, più correttamente, "cambiamento climatico antropogenico".

PERCHÈ È NECESSARIO UN NUOVO TRATTATO - Il vertice di Copenaghen rientra nel quadro dell’Unfccc, stabilito dal Summit della Terra di Rio de Janeiro nel 1992. Nel 1997, l’Unfccc ha dato vita al protocollo di Kyoto, che non è sufficiente a evitare lo scenario climatico tratteggiato dall’Ipcc. Kyoto è stato firmato solo da un piccolo gruppo di paesi, che si sono impegnati a ridurre le emissioni, e scade nel 2012. I governi vogliono un accordo più ampio e coraggioso, più sofisticato del Protocollo di Kyoto. In giugno il G8 e una serie di paesi sviluppati hanno concordato di fermare il riscaldamento globale a due gradi centigradi oltre i livelli pre-industriali. In linea di principio l’accordo di Copenaghen deve comportare una riduzione le emissioni tale da bloccare la crescita delle temperature entro i due gradi.

PERCHÈ SONO IN GIOCO COSI' TANTI INTERESSI - I paesi industrializzati hanno proposto i loro obiettivi per ridurre le emissioni di gas serra in modo da mitigare il cambiamento climatico. La data chiave di questi impegni è il 2020, ma molti paesi guardano oltre, al 2050. Australia, Giappone, Nuova Zelanda, Ue e Usa hanno già annunciato i loro obiettivi di riduzione delle emissioni al 2020. Ma anche i paesi emergenti più ricchi dovranno in qualche modo limitare le emissioni, frenandone la crescita piuttosto che riducendole tout court. Cina e India hanno proposto di ridurre la loro "intensità carbonica" ovvero la Co2 emessa per ogni punto di Pil. Altri paesi, come l’Indonesia, hanno promesso di ridurre le emissioni in riferimento a una scenario "a politiche invariate". Per aiutare i paesi in via di sviluppo a limitare i gas serra, i paesi industrializzati hanno concordato in linea di principio di aiutarli in aree quali le energia rinnovabili.

PERCHÈ COSTA SALVARE IL PIANETA - I combustibili fossili rappresentano la fonte di energia meno costosa. Ma la via maestra per ridurre le emissioni di gas serra è evitare di bruciare combustibili fossili, perciò un accordo riuscito quasi certamente comporterà un aumento dei prezzi dell’energia. Il finanziamento delle tecnologie pulite dovrà rientrare nell’accordo. L’Aie (Agenzie internazionale dell'energia) stima una cifra di 10.500 miliardi di dollari in vent’anni per evitare danni "irreparabili". I paesi in via di sviluppo vogliono finanziamenti dell’ordine di centinaia di miliardi di dollari per mitigare gli effetti del cambiamento. La Banca Mondiale parla di 100 miliardi di dollari l’anno per aiutare i paesi poveri ad adattarsi. Attualmente gli aiuti internazionali concessi complessivamente ogni anno dai paesi ricchi sono pari a 100 miliardi di dollari.

GLI SCENARI POSSIBILI - Sono quattro gli scenari possibili: un accordo completo e dettagliato, un accordo di massima con i dettagli da definire nei prossimi mesi o anni, un aggiornamento della Cop, probabilmente fino a metà 2010, una rottura. Quasi tutti i governi che partecipano al negoziato dicono di volere un accordo e molti affermano che è necessario avere tutti gli ingredienti principali prima della scadenza di Kyoto nel 2012. Ma nelle ultime settimane è emerso che molto difficilmente sarà possibile avere un trattato legalmente vincolante: piuttosto l’obiettivo è un accordo politico, dato l’immenso numero di dettagli ancora da definire e il fatto che gli Usa non sono in grado di prendere impegni certi sulla riduzione della emissioni o sui finanziamenti ai pvs. Il trattato per "riempire" l’intesa politica dovrebbe essere messo a punto nel corso del 2010.

LE CONSEGUENZE - Un pieno accordo a Copenhagen risolverebbe il problema del cambiamento climatico? La temperatura media globale è già salita di 0,7 gradi centigradi dal periodo preindustriale a oggi. In qualche area del mondo gli impatti si avvertono già e un accordo a Copenaghen non fermerebbe questi fenomeni, anche se aiuterebbe ad affrontarne le conseguenze. I gas serra restano nell’atmosfera per decenni e le concentrazioni sono tali che un ulteriore aumento delle temperature è quasi inevitabile. Secondo molti analisti è già acquisito un aumento di un grado e mezzo rispetto ai livelli preindustriali. Un accordo forte a Copenhagen potrebbe contenere l’aumento delle temperature sotto i due gradi, ma potrebbe anche non funzionare, viste le incertezze sulla reazione di oceani e atmosfera all’aumento della concentrazione della Co2. Ecco perché i paesi in via di sviluppo mettono l’accento sull’adattamento, che secondo loro è già necessario. I dati dell’Ipcc suggeriscono che per avere una possibilità ragionevole di evitare i due gradi, le emissioni globali devono toccare il massimo e diminuire nel giro di 15-20 anni. Al momento le promesse fatte dai paesi industrializzati non bastano.

Stefano Rodi

05 dicembre 2009

 

 

 

 

Se alla conferenza di Copenhagen non si faranno importanti passi avanti

Altro che riduzioni:

i gas serra aumenteranno

I tagli annunciati da Usa, Cina e India otterrano solo

il rallentamento di una crescita esponenziale

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Il forum "Ambiente e clima"

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Il grafico del "fallimento" di Kyoto

(Afp)

ROMA - Se alla conferenza climatica che sta per iniziare a Copenhagen saranno confermate le offerte di riduzione dei gas serra preannunciate nei giorni scorsi da alcuni dei maggiori inquinatori mondiali dell'atmosfera, come Stati Uniti, Cina e India, allora vorrà dire che, al di là delle positive intenzioni politiche, in pratica le emissioni globali continueranno a salire rispetto ai livelli del 1990 (fissati come linea di riferimento dal Protocollo di Kyoto). Quel che è peggio, continuerà la sostanziale divaricazione fra un' Europa che punta a riduzioni effettive e vincolanti, sotto i livelli del 1990, nello spirito del Protocollo; e il resto del mondo che, per ora, non vuole o non può rinunciare alla crescita delle emissioni, offrendo solo un rallentamento di esse, basato su azioni volontarie piuttosto che imposte. Queste considerazioni discendono da una valutazione comparata delle offerte di riduzione annunciate con grande clamore nei giorni scorsi e da taluni accostate come se fossero confrontabili, ma che di fatto hanno pesi diversi in quanto espresse in unità di misura non omogenee.

L'IMPATTO GLI OBIETTIVI - Il 17% di riduzione delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 2005 prospettato dal presidente degli Stati Uniti Obama come traguardo da raggiungere nel 2020, è ben poco se confrontato con l'8% di riduzione, sotto i livelli del 1990, da conseguire entro il 2012, cui attualmente è vincolata l'Europa. Come pure è molto meno di quell'impegno del 7% (sempre sotto i livelli del 1990) annunciato da Clinton e Gore nel 1997 a Kyoto, prima della marcia indietro di Bush. Ed è incomparabilmente inferiore all'obiettivo del -20% o addirittura del -30% che l'Europa più convinta (Germania e Inghilterra) vorrebbe darsi entro il 2020.

RALLENTAMENTO NON SIGNIFICA DIMINUZIONE - "In pratica, il 17 per cento di riduzioni rispetto al 2005 equivale allo zero rispetto al 1990, ossia a una stabilizzazione delle emissioni USA rispetto a quella data", sintetizza, a conti fatti, il presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile Edo Ronchi (ministro dell'Ambiente ai tempi di Kyoto), senza con ciò svalutare la svolta positiva della politica climatica di Obama rispetto a Bush. Ancora, la riduzione del 45% dell'intensità di carbonio offerta dalla Cina per il 2020 , cifra che in valore assoluto appare straordinaria, tenuto conto della prevedibile crescita del Pil e quindi dei consumi di quel Paese, di fatto corrisponde a un aumento netto delle sue emissioni di gas serra di circa il 35-40%. In termini concreti, grazie ai sui massicci programmi di energie rinnovabili e di efficienza energetica -riferiamo ancora le valutazioni di Edo Ronchi-, la Cina si sta impegnando a quasi dimezzare la crescita delle sue emissioni, che altrimenti schizzerebbero all'80%. Ma pur sempre di crescita si tratterà, e niente affatto di tagli sotto i livelli del 1990. Un discorso analogo vale per il 25% dei tagli sull'intensità di carbonio preannunciato dall'India che, fatti i debiti conti, corrisponderà solo a un rallentamento della crescita delle emissioni di gas serra di questo Paese, le quali aumenteranno comunque di circa il 60%.

EMISSIONI E CRESCITA DEL PIL - Lo spartiacque, come commenta il climatologo dell'Enea Vincenzo Ferrara, è fra chi punta a un disaccoppiamento totale fra emissioni di gas serra e Pil, come vuole fare l'Europa, intenzionata a ridurle sostanzialmente, a prescindere dalla crescita economica; e chi invece, come i grandi Paesi emergenti, non possono ancora fare questo passo, pena la drastica riduzione della loro crescita e la condanna di vasti strati della loro popolazione alla fame cronica di energia. Quanto agli Stati Uniti di Obama, per ora, sembrano essere ancora fermi alla Convenzione di Rio del 1992, che chiamava a una generica stabilizzazione delle emissioni ai livelli del 1990, piuttosto che proiettati in avanti verso una "fase due" del tormentato Protocollo di Kyoto. Se così rimarranno le cose, Copenhagen non riuscirà a invertire la tendenza all'aumento delle emissioni globali che dal 1990 a oggi, in barba a Kyoto, sono aumentate del 41% (dati Global Carbon Project e Fondazione sviluppo sostenibile, 2009); né a scongiurare il pericolo di aumento delle temperature medie oltre i 2 gradi paventato per i prossimi decenni. C’è solo da sperare che al tavolo delle trattative si faccia un passo avanti e un po’ di chiarezza rispetto agli ingannevoli annunci ad effetto della vigilia.

Franco Foresta Martin

05 dicembre 2009

 

 

 

 

i server funzionano con energia "verde"

Ecosia: primo motore di ricerca ecologico

I suoi ideatori dichiarano che quasi l'80% dei profitti finanzieranno un progetto del WWF in Amazzonia

MILANO - Sarà il primo motore di ricerca ecologico e avrà come fine ultimo la protezione di migliaia di ettari di foresta amazzonica. Lunedì prossimo sarà lanciato ufficialmente a Berlino "Ecosia", il motore di ricerca che cercherà di far concorrenza al gigante Google puntando tutto sull'arma verde. Infatti, come dichiarano i suoi ideatori, quasi l'80% dei profitti ricavati da Ecosia finanzieranno un progetto del WWF in Amazzonia e ogni ricerca effettuata con il motore di ricerca ambientalista salverà in media due metri quadri di foresta pluviale. Il progetto è sostenuto anche da Yahoo e Bing e partirà nello stesso giorno in cui a Copenaghen i grandi della Terra cominceranno a discutere i problemi climatici del nostro pianeta.

PUBBLICITÀ ONLINE - Ecosia userà la stessa strategia di pubblicità online ideata a suo tempo da Google e che ha fatto la fortuna della società americana. Il sito ecologico infatti otterrà uno contributo economico dagli sponsor ogni qual volta gli utenti cliccheranno sui link delle aziende pubblicizzate: "Grazie ai link sponsorizzati, i motori di ricerca guadagnano miliardi ogni anno" dichiara Christian Kroll, uno dei fondatori del motore di ricerca ecologico. "Ecosia crede che esista un modo più ecologico per usare questi enormi profitti e ritiene che questi soldi potrebbero servire a combattere il riscaldamento climatico". Secondo i calcoli di Kroll se solo l'1% degli utenti di Internet usassero Ecosia, ogni anno si potrebbe salvare una foresta pluviale grande quanto la Svizzera. "Impostando Ecosia come motore di ricerca predefinito si possono colorare di verde le ricerche online, ridurre le impronte di carbonio e fare la vera differenza per il pianeta" dichiara Kroll

ENERGIA VERDE - I server di Ecosia saranno alimentati a energia verde: "Rendendo le ricerche in rete ecologiche, gli utenti potranno prevenire il cambiamento climatico salvando le foreste in pericolo di estinzione" continua Kroll. Il WWF crede molto nel progetto e in comunicato afferma: "Ecosia sarà il motore di ricerca più ecologico del mondo. Ogni ricerca effettuata con Ecosia realmente proteggerà un pezzo di foresta pluviale. Se Ecosia diventa il tuo motore di ricerca, puoi aiutare l'ambiente ogni qual volta fai una ricerca". Secondo il WWF la situazione dell'Amazzonia e delle foreste pluviali in generale è davvero preoccupante. Negli ultimi 50 anni più della metà delle foreste pluviali del mondo sono state distrutte. Ogni anno l'attività umana contribuisce a far scomparire zone verdi che hanno in media una dimensione superiore alla superficie della Gran Bretagna. La deforestazione,infine, resta una delle principali cause del riscaldamento climatico e dell'inquinamento atmosferico

Francesco Tortora

05 dicembre 2009(ultima modifica: 06 dicembre 2009)

 

 

 

 

Il piano ha fatto risparmiare 44 milioni di kg di C02 Dai voli il 3% delle emissioni

Le nuove rotte (verdi) degli aerei

Le compagnie vogliono soprattutto consumare meno carburante. E pensano a velivoli nuovi e piloti addestrati

MILANO - È come se avessero volato 3.370 aerei tra Catania e Linate senza rilasciare nel cielo nemmeno una particella di anidride carbonica. Oppure 2.450 jet tra Fiumicino e Londra, 1.650 tra Atene e Parigi. O ancora: 175 tra Il Cairo e New York. Nei mesi estivi del 2008 e del 2009 l' utilizzo di "procedure verdi" nel trasporto aereo italiano ha permesso di risparmiare un milione e 114 mila chilometri di volo, 14 milioni e 158 mila chilogrammi di carburante. E soprattutto: 44 milioni e 400 mila chilogrammi di CO2. Per un risparmio totale (in soldoni) che sfiora i cinque milioni di euro: 4 milioni e 955 mila, per l' esattezza. A dirlo è un' anticipazione del bilancio dell' Ente nazionale dell' assistenza al volo (Enav) che ha messo in fila i primi risparmi prodotti dalle misure contenute nel piano pluriennale per il miglioramento dell' efficienza dei voli. Il programma è entrato in vigore il 25 febbraio 2008. E i dati finora elaborati riguardano le due stagioni estive (i mesi da giugno a settembre, osservati speciali in quanto più trafficati). "Numeri che superano le aspettative di previsione, malgrado la crisi e i voli ridotti" spiega il direttore generale dell' Enav Massimo Garbini. Numeri dai quali si può stimare che a fine 2009 i chili di anidride carbonica risparmiati in due anni supereranno i 100 milioni. Nel 2008 i movimenti (decolli, atterraggi, sorvoli) controllati dall' Enav sono stati un milione e 670 mila. E per il 2009 si stima un meno 7%.

LE PROCEDURE VERDI - Nel Flight efficiency plan dell' Enav le procedure verdi sono raggruppate sotto quattro voci. La prima, rotte più brevi: "L' adozione di rotte più razionali e dirette, da sola, ci ha fatto risparmiare un milione di chilometri di volo", spiega il direttore Garbini. La seconda, rotte più ad alta quota e più lineari: "Volando a quote maggiori l' aria è più rarefatta e così s' è guadagnato quasi un altro milione di chili di carburante. Un risparmio ottenuto anche utilizzando maggiormente le rotte riservate ad altre attività". Come quelle militari. La terza, decolli più rapidi e avvicinamenti alle piste più lineari (usati nel 40% degli aeroporti e per il 70% degli atterraggi): "I primi sono garantiti da rotte strumentali (Precision area navigation) e motori più potenti, i secondi da una riduzione della velocità e da discese continue (Continuous descent operations): altri tre milioni e 200 mila chili di benzina risparmiati". È però la quarta voce, la riduzione dei tempi di rullaggio dei jet negli aeroporti, ad aver prodotto i risultati maggiori: "Sei milioni e 400 mila chili di carburante in meno, pari a 20 milioni di chili di CO2 grazie a un risparmio sui tempi di rullaggio di 40 secondi (l' obiettivo è un minuto)". Aggiunge Garbini: "Questo è quello che possiamo realizzare noi, il resto lo deve fare l' industria studiando carburanti verdi e motori che consumino di meno". Secondo la Iata, l' associazione delle compagnie, il trasporto aereo produce solo il 2% della CO2 immessa nell' atmosfera. L' Ue parla di un 3% destinato a salire insieme al numero di passeggeri: più 5% l' anno. Così che dal 2011 il settore rientrerà nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissione e dovrà fare i conti anche con quanto si deciderà a Copenaghen da lunedì prossimo. E le compagnie, oltre alle procedure previste dal piano dell' Enav, ne hanno adottate di loro. Anche perché l' obiettivo è innanzitutto quello di consumare meno. Ecco così che Alitalia ha puntato sulla flotta: "Trentacinque gli A320 con motori certificati col bollino verde. L' età media poi, oggi è di 13-9 anni, nel 2012 sarà di 4: più un aereo è nuovo meno consuma". E poi: "Velocità ridotta sulle rotte intercontinentali, lavaggi dei motori più frequenti, meno chili di acqua a bordo. Motori ausiliari spenti fino al momento di partire". WindJet, 13 Airbus in flotta con una età media di 4 anni e mezzo, ricorda i rullaggi in pista effettuati ormai con un solo motore. E Meridiana anche i corsi di fuel saving tenuti dal direttore addestramento per i piloti. Piloti per i quali il miglior alleato nella battaglia al caro-carburante è diventato il cost-index: "Si aziona prima del decollo - spiega Fabio Berti, presidente dell' associazione dei piloti Anpac -: in base all' aereo, alla rotta, al carico e al meteo indica la velocità che consente di percorrere il maggior numero di miglia a parità di carburante".

Alessandra Mangiarotti

05 dicembre 2009

 

 

 

Il dilemma - Con petrolio e gas, è chiaro che la proprietà spetta a chi estrae Ma a chi appartiene il diritto di sfruttare la risorsa del sole?

Energia pulita dai deserti nordafricani

I pannelli solari del progetto europeo Desertec: elettricità e acqua dal Sahara alla Scandinavia

Nel giro di sei ore i deserti del Nord Africa ricevono più ener­gia dal sole di quanta l’umani­tà ne consumi in un anno. Se fossero coperti di pannelli solari, circa venti metri quadrati nel cuore del Sahara ba­sterebbero a soddisfare il consumo di elettricità di ciascun abitante del mon­do avanzato. E installare centrali a energia solare termodinamica su me­no dello 0,3% delle superfici inabitabili del Sahara, del Sahel e del Medio Orien­te, genererebbe elettricità e acqua pota­bile in quantità sufficiente per soddi­sfare il fabbisogno di tutta quell’area, dell’Unione europea e gli aumenti di consumi stimati per i prossimi anni.

I calcoli, sulla base di rilevazioni dal satellite, sono del Centro tedesco di ri­cerca aerospaziale. Ma la differenza che corre fra la realtà e ciò che potreb­be essere è di circa 400 miliardi di eu­ro. È venti volte l’ammontare di una ro­busta manovra finanziaria in Italia, ma è meno di un terzo rispetto a quanto l’Europa in pochi mesi ha messo a di­sposizione del sistema finanziario per salvarlo. Un’idea del genere può dun­que diventare la scommessa di un con­tinente per un’intera generazione, non quella di una sola impresa o anche di uno solo Paese per qualche anno. Gli addetti ai lavori hanno battezzato il progetto Desertec, con l’ambizione di disseminare di pannelli solari la spon­da Sud del Mediterraneo collegandoli alla sponda nord, fino alla Scandina­via, attraverso una rete di migliaia di chilometri di cavi ad alta tensione. Nel 2050, quando il consumo di energia elettrica nel mondo sarà quasi triplica­to rispetto ai livelli del 2007, la rete De­sertec dovrebbe assicurare almeno il 15% dei consumi in Europa con impat­to di emissioni di CO2 nell’atmosfera pari a zero. Da qualche mese Al Gore ne parla regolarmente nelle sue ben re­munerate conferenze in giro per il pia­neta, per mostrare come la lotta al cam­bio climatico stia per entrare nella sua fase industriale su vasta scala.

Ma il progetto e le tecnologie stavol­ta non sono californiane né giappone­sei: sono, appunto, interamente euro­pee. A novembre, le dodici imprese azioniste di Desertec hanno avviato la fase operativa lanciando un’iniziativa industriale con 400 milioni di euro di finanziamento iniziale entro il 2012. Niente rispetto a quanto andrebbe in­vestito, abbastanza però per far capire al mondo che ormai non si torna indie­tro. Per adesso a mettere gran parte dei fondi e controllare l’iniziativa so­no i grandi gruppi industriali e finan­ziari tedeschi, e non solo perché il pro­getto nasce in Germania ed è stato pro­mosso dal fisico tedesco Gerhard Kies. In prospettiva, sono i giganti del­le tecnologie e dell’energia nella Re­pubblica federale che, più di chiunque altro in Europa, contano di trasforma­re questo tipo di tecnologie verdi in grandi fonti di ricavi nelle prossime generazioni. Non è un caso se fra i grandi azionisti e più convinti sosteni­tori di Desertec figuri per esempio Sie­mens: il gruppo di Monaco di Baviera produce già le nuove tecnologie per i cavi di trasmissione ad alta tensione che permettono una dispersione mini­ma di energia lungo migliaia di chilo­metri. Oggi, quei cavi di Siemens sono in funzione in Cina lungo i 1.400 chilo­metri fra i campi solari della provincia orientale dello Yunnan e il Guandong, sulla costa del Pacifico. In futuro po­trebbero innervare tutto il Magreb in direzione dell’Italia, della Spagna, del­la Grecia e da lì verso l’Europa cen­tro- settentrionale.

Fra i finanziatori-azionisti ci sono poi Deutsche Bank, gruppi dell’ener­gia elettrica come E.On o Rwe, produt­tori di pannelli solari come Man Solar Millennium e Schott Solar o la spagno­la Albengoa Solar, l’assicuratore Muni­ch Re, M + W Zander, una banca salva­ta dal governo di Berlino nella crisi co­me Hsh Nordbank, poi la svizzera Abb e l’algerina Cevital.

Come si vede per adesso in Desertec non investono né i grandi gruppi fran­cesi, impegnati in un progetto alternati­vo sospinto dal governo, né gli italiani. Ma non manca un’impronta italiana nell’intero progetto. La cablatura fra la Tunisia e la Sardegna è la prima desti­nata a entrare in funzione per Desertec e la stessa tecnologia prevista per la rac­colta dell’energia è quella del solare ter­modinamico a concentrazione, svilup­pata dal premio Nobel per la Fisica Car­lo Rubbia. Con i pannelli solari di que­sto tipo, più efficienti del fotovoltaico tradizionale, la produzione di energia continua anche di notte o quando il cie­lo e coperto. In Italia c’è uno dei produt­tori tecnologicamente più avanzati di questi pannelli che concentrano la luce dei raggi solari, la Archimede Solar Energy del gruppo Angelantoni di Mas­sa Martana (Todi), che per ora segue con attenzione il progetto Desertec sen­za investirvi direttamente.

Ma la tecnologia da sola non basta a superare tutti gli ostacoli. Perché, su questa scala, l’uso dell’energia solare crea dilemmi che mettono in gioco i rapporti fra Stati. Con gli idrocarburi, petrolio o gas, era sempre stato chiaro che l’energia è di chi la estrae dal pro­prio territorio e la vende o la lascia vendere in cambio della concessione di diritti. Ma il sole di chi è e chi ha diritto a sfruttarlo come risorsa?

Federico Fubini

05 dicembre 2009

 

REPUBBLICA

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2009-12-08

Clima, Barroso pessimista

"Un trattato non è possibile"

Preoccupato il presidente della Commissione europea. "Servono contributi ai Paesi in via di sviluppo". Sull'onda della svolta verde degli Usa, i negoziati procedono ma restano difficili

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* LO SPECIALE

COPENAGHEN - Sull'esito della conferenza Onu sull'ambiente a Copenaghen, Josè Barroso è pessimista. La firma di un nuovo trattato sul clima "non è possibile, non è stato preparato, ci sono alcuni dei nostri partner che non sono preparati. Invece dobbiamo raggiungere un accordo sulla riduzione delle emissioni dei gas nocivi. Lo dobbiamo ai nostri giovani", dice il presidente della Commissione europea a Europe 1.

Barroso: "Contributi ai Paesi in via di sviluppo". "Quello che cerchiamo di ottenere adesso è un accordo che dopo metteremo in termini di legge affinché diventi un trattato. Serve un accordo a Copenaghen - taglia corto Barroso - in particolare sulla limitazione dei gas a effetto serra per i Paesi più industrializzati, ma anche qualche contributo finanziario per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad adattarsi a questa minaccia".

I risultati in Europa. Orgoglioso del lavoro fatto dall'Europa, il presidente dell'esecutivo comunitario ricorda che i Ventisette sono gli unici ad aver varato norme ambiziose contro i gas nocivi: "Siamo i soli ad aver adottato con una legge, e non solo con dichiarazioni politiche, la riduzione del 20% delle emissioni di anidride carbonica per il 2020".

Al via i tavoli tecnici. Dopo il via ufficiale ieri della conferenza Onu sui cambiamenti climatici, a Copenaghen oggi si entra nel vivo delle consultazioni tecniche. Il nodo resta quello degli impegni sulla riduzione dei gas serra. L'obiettivo: limitare ai 2 gradi l'aumento della temperatura. E tutti guardano ai Paesi a economie emergenti, India e Cina.

La svolta "verde" degli Usa. Il presidente americano Barack Obama, stimolato dal Nobel Al Gore che lo ha incitato a fare di più per l'ambiente, conferma la sua svolta "verde". Per la prima volta, il Paese che assieme alla Cina occupa il vertice della classifica dell'inquinamento, ammette ufficialmente che i gas serra sono un pericolo per gli esseri umani e che la loro produzione deve essere regolata.

Obama atteso a Hopenaghen. Ma a Copenaghen, ribattezzata ieri Hopenaghen (Speranzopoli) dal premier danese Anders Fogh Rasmussen, la ripartizione degli sforzi da compiere è tutt'altro che decisa. Senza un accordo vincolante per tutti i Paesi, anche la promessa cinese di ridurre le emissioni del 40% entro il 2020 si traduce in poca cosa. Così, dopo l'inagurazione di ieri e gli accorati appelli a fare la propria parte per salvare il pianeta, il summit entra nella fase meno spettacolare, ma molto più complicata, dei negoziati. Lo sprint finale sarà negli ultimi giorni, dopo il 15 dicembre, quando a Copenaghen convergeranno molti leader internazionali, Obama incluso.

(8 dicembre 2009) Tutti gli articoli di Scienze e Ambiente

 

 

 

Dalla CO² ai vegetariani

l'alfabeto che salverà la Terra

La svolta di Obama è la premessa per un cambiamento molto più radicale. Via alla Terza rivoluzione industriale che non è né di destra né di sinistra di JEREMY RIFKIN

ABBIAMO due settimane per tirare il freno d'emergenza ed evitare la catastrofe climatica. Ma per raggiungere l'obiettivo dobbiamo rompere i vecchi schemi: non più solo obblighi ma spazio per la Terza rivoluzione industriale che non è né di destra né di sinistra. Ecco un alfabeto per capire qual è la posta in gioco.

ANIDRIDE CARBONICA Il mutamento climatico sta procedendo a velocità superiore alle previsioni: l'obiettivo che fino a ieri sembrava sufficiente, un tetto di concentrazione di CO2 in atmosfera di 450 parti per milione, non ci protegge dal rischio della catastrofe. Come dice Jim Hansen, uno dei più accreditati climatologi, invece di continuare ad accumulare anidride carbonica in cielo dobbiamo tornare indietro, verso le 280 parti per milione dell'era preindustriale. Oggi siamo a quota 387: scendiamo almeno a 350.

BRASILE Meglio tardi che mai. Per decenni il Brasile è stato responsabile della deforestazione dell'Amazzonia, una devastazione che minaccia la sicurezza di uno degli ecosistemi fondamentali. Oggi il governo di Lula ha cambiato rotta: Copenaghen può essere il momento di rendere ufficiale la svolta.

CINA E' il paese che emette più anidride carbonica di tutti gli altri. Ma sta già pagando un prezzo pesante, in termini di vite umane, al cambiamento climatico. Se potesse scegliere tra il carbone e le tecnologie più avanzate della terza rivoluzione industriale cosa farebbe?

EFFICIENZA ENERGETICA E' la base per il riassetto energetico. Molti tagli di emissioni si possono realizzare eliminando gli sprechi e l'inefficienza.

FONDI I fondi per il trasferimento delle tecnologie avanzate ai paesi meno industrializzati sono un atto di giustizia: non si può penalizzare proprio chi è stato escluso dalla seconda rivoluzione industriale. Bisogna permettere a questi paesi di fare il salto della rana passando direttamente alla Terza rivoluzione industriale.

IDROGENO Le rinnovabili sono una fonte pulita ma non costante: c'è bisogno di un serbatoio per immagazzinare l'energia prodotta durante i momenti di picco. Questo serbatoio è l'idrogeno che permette anche di riutilizzare in modo flessibile l'energia accumulata.

KYOTO E' stato il momento che ha segnato l'inizio del percorso dalla geopolitica alla politica della biosfera.

LAVORO La Terza rivoluzione industriale dà spazio a sistemi labour intensive e produrrà milioni di posti di lavoro.

NUCLEARE Il nucleare è la tecnologia della guerra fredda. In più di mezzo secolo non ha risolto i suoi problemi, anzi li ha aggravati: rischi di incidenti durante tutte le fasi del ciclo di produzione, rischio terrorismo, rischio scorie. E nessun beneficio economico.

OBAMA La svolta di Obama è la premessa per un cambiamento che dovrà essere molto più radicale: senza la visione d'assieme, senza la capacità di pensare a lungo termine, il rilancio delle fonti rinnovabili è privo di solide basi.

POST KYOTO La conferenza di Copenaghen può avere successo se si fa il salto dalla prospettiva degli obblighi a quella delle opportunità. Invece di pensare solo a quantificare quello che non si deve fare bisogna cominciare a dire quante fonti rinnovabili, quanti edifici sostenibili, quanto idrogeno, quante smart grid deve realizzare ogni paese.

RINNOVABILI Sono il primo pilastro della terza rivoluzione industriale. Due regioni spagnole, la Navarra e l'Aragona, in dieci anni sono arrivate al 70 per cento di elettricità da fonti pulite. Perché non fare altrettanto?

SCETTICI E' un gruppetto inesistente sotto il profilo scientifico. Riescono ad avere visibilità perché sono supportati dalle lobby delle vecchie fonti energetiche che li usano per seminare dubbi nell'opinione pubblica.

TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Permette sia lo sviluppo economico che la riduzione delle emissioni serra. Poggia su quattro pilastri: le energie rinnovabili, gli edifici sostenibili, l'idrogeno e le reti intelligenti, le smart grid per distribuire l'energia secondo il modello del web. La Terza rivoluzione industriale significa spostare il potere dalle oligarchie che gestiscono le grandi centrali elettriche alle persone. Oggi parliamo attraverso Skype e si creano network liberi di scambio e condivisione delle informazioni. Perché non farlo con l'energia?

UNIONE EUROPEA E' stata l'apripista della battaglia per la difesa della biosfera. E lo ha fatto in condizioni di isolamento e di grande difficoltà. Ora può guardare con più fiducia al futuro, soprattutto se saprà sfruttare le sue grandi potenzialità.

VEGETARIANI La seconda causa di cambiamento climatico al mondo è l'emissione di CO2 derivante dall'allevamento di animali, ovvero dalla grande quantità di carne che consumiamo. Per abbattere le emissioni bisogna passare alla dieta mediterranea, come in Italia, mangiando molte verdure e molta frutta.

(testo raccolto da Antonio Cianciullo)

© Riproduzione riservata (7 dicembre 2009)

 

 

 

 

 

2009-12-07

Lotta contro il tempo al vertice

Usa: i gas serra sono un pericolo

Al via il vertice dell'Onu, 192 i Paesi rappresentati Attesi anche il premier cinese Wen Jabao e Barack Obama. Allarme Epa: "Diminuire le emissioni". Frattini: "Vogliamo un accordo politicamente vincolante per tutti"

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Multimedia

* VIDEO: Lo spot

* MAPPA: Come sale il livello del mare

* LO SPECIALE

COPENAGHEN - Gli Stati Uniti l'hanno ammesso pubblicamente: i "gas serra" sono un pericolo per gli esseri umani e la loro produzione deve essere regolata. L'annuncio è dei vertici dell'Environmental Protection Agency, l'agenzia federale che si occupa della protezione dell'ambiente. La conferenza stampa a Washington è stata tenuta al termine della prima giornata della Conferenza Onu di Copenaghen. Si sono uniti in una sola voce d'allarme ambientalisti, rappresentanti Usa di associazioni di fabbriche (petrolifere, petrolchimici, automobilistiche) e Lisa Jackson, la direttrice dell'Epa, ha puntato il dito in particolare sulle emissioni di anidride carbonica, argomento al centro del vertice sul clima nella capitale danese.

Al via i lavori di Copenaghen. Un vertice che ha gli occhi del mondo puntati addosso. Dopo che oggi 56 testate di 45 Paesi hanno titolato sull'emergenza clima, oggi il summit ha dato il via ai lavori che cercheranno di trovare una soluzione. Partendo da una certezza comune: resta poco tempo. Il Bella Center, la sede del vertice, uno spazio di 121mila metri quadrati, stamattina è preso d'assalto dai circa 15mila delegati (le richieste per partecipare erano state il doppio). I Paesi rappresentati sono 192 e alla fine dei 15 giorni previsti per discutere sul futuro del pianeta, avranno partecipato i leader di 105 nazioni. Tra questi Barack Obama che arriverà il 18 dicembre, una settimana dopo aver ricevuto a Oslo il Nobel per la pace, e il premier cinese Wen Jabao.

Il XV vertice dell'Onu sul clima è stato aperto dal premier danese, Lars Loekke Rasmussen, che ha chiesto una "mobilitazione politica senza precedenti" e un accordo "forte e ambizioso" per ridurre le emissioni dei gas responsabili del riscaldamento del pianeta. "Nelle prossime due settimane, Copenaghen sarà la capitale della speranza - ha detto Rasmussen - Dobbiamo essere in grado di restituire al mondo quello che oggi è stato garantito a noi: la speranza di un futuro migliore". La stessa speranza è l'argomento di un video shock di Mikkel Blaabjerg Poulsen proiettato come monito: una bambina che si sveglia in un deserto arido e viene travolta dalle onde, poi il messaggio: salviamo le nuove generazioni, per favore, salviamo il mondo.

Servono impegni concreti. Ma le decisioni che saranno prese a Copenaghen saranno un successo solo se si trasformeranno, come ha spiegato il responsabile dei preparativi della Conferenza, Yves de Boer, in "azioni significative e immediate, pronte a entrare in vigore il giorno seguente la chiusura del vertice". L'olandese Yves de Boer, segretario generale della Convenzione Onu sui cambiamenti climatici, ha ribadito: "Il tempo delle dichiarazioni formali è finito". Poi ha letto la testimonianza di un bambino asiatico di sei anni, Nyi Lay, che perso genitori e fratello a causa di un ciclone devastante. "I ministri - ha detto de Boer - avranno due giorni di tempo per raggiungere un accordo vincolante prima che giungano a Copenaghen i capi di Stato e di governo".

Il Bella Center di Copenaghen

Per assicurare il successo nella lotta ai mutamenti climatici, i paesi sviluppati dovrebbero destinare, a partire dal 2020, 200 miliardi di dollari l'anno ai Paesi in via di sviluppo. La stima è delle organizzazioni Oxfam International e Ucodep (Unità e Cooperazione per lo Sviluppo dei Popoli) secondo le quali è necessario un fondo globale di 150 miliardi di dollari l'anno a partire dal 2013, per poi arrivare almeno a 200 miliardi entro il 2020. La quota iniziale che Usa e Ue dovrebbero versare è di 50 miliardi di dollari l'anno ciascuno. Sono numeri, ma resta il fatto che nella classifica dei Paesi che più contribuiscono al cambiamento climatico ci sono Cina, Usa, Ue, Russia, India e Giappone. Sono questi i primi sei maggiori produttori di anidride carbonica e quelli da cui proviene il 70 per cento delle emissioni totali. Cina e Usa ne producono il 40 per cento; 20 paesi il 75 per cento e il 78 per cento del loro aumento. L'Italia è al 13esimo posto per emissioni di anidride carbonica (119 milioni di tonnellate nel 2008).

"Non dobbiamo scegliere fra economia e cambiamenti climatici", ha detto il ministro dell'Ambiente e dell'Energia danese, Connie Hedegaard, presidente della Cop15, nel suo intervento alla conferenza. "Dobbiamo poterci guardare negli occhi certi di aver fatto di tutto per il futuro delle prossime generazioni".

Mobilitazione generale. Non è cosa facile. Ma le notizie positive iniziano a affiorare. Iraq e Somalia si sono aggiunti ai Paesi che hanno sottoscritto la convenzione quadro delle Nazioni Unite, mentre l'India, la Cina e il Brasile hanno raggiunto un accordo di massima per operare insieme nel negoziato sui tagli alle emissioni di anidride carbonica, come ha rivelato a New Delhi il ministro per l'Ambiente indiano, Jairam Ramesh: "India, Cina e Brasile hanno una bozza di base. Io ho una copia di questa bozza che servirà a incanalare il negoziato".

Il presidente del Brasile, Lula, ha ribadito che il suo Paese punta a una riduzione di anidride carbonica tra il 36,1 e il 38,9 per cento entro il 2020, piano che - secondo l'approccio di Brasilia - potrebbe a sua volta spianare la strada affinché anche Usa e Cina avanzino proposte nella stessa direzione.

Dal canto suo, Barack Obama ha incontrato oggi pomeriggio l'ex vice presidente Al Gore, tra i maggiori attivisti ambientali, per decidere le linee guida del suo intervento al vertice e ha in agenda una riunione con gli industriali per mercoledì.

Da Pechino affermano che rispetteranno gli impegni presi dal presidente Hu Jintao nel discorso tenuto in settembre all'Assemblea generale dell'Onu, quando ha affermato che la Cina taglierà in modo "significativo" le sue emissioni di gas inquinanti per unità di Prodotto Interno Lordo (Pil) entro il 2020.

La mobilitazione è generale e la spinta per un accordo ambizioso e non solo 'politico' è arrivata anche dal nostro Paese. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha ribadito che l'Italia "vuole un accordo politicamente vincolante per tutti. Non possiamo accettare accordi che per qualcuno sono un suggerimento e per altri un obbligo".

L'ombra del "climagate". Nel giorno dell'apertura, ha comunque aleggiato pesante lo scandalo del 'climategate', nonostante Rajendra Pachauri, presidente dell'Ipcc (l'Intergovernmental Panel on Climate Change che studia il surriscaldamento climatico), abbia spiegato che la vicenda delle email rubate potrebbe essere stato un tentativo per minare la credibilità del suo gruppo, accusato di aver 'peggiorato' i dati sulle condizioni del Terra. "Il gruppo ha una storia di trasparenza e di valutazioni oggettive che va avanti da 21 anni, realizzata grazie a decine di migliaia di scienziati appassionati dei quattro angoli del pianeta".

E mentre il summit, che si può seguire virtualmente dal sito ufficiale, ha preso forma a Copenaghen, dieci milioni di persone di tutto il mondo hanno firmato una petizione online organizzata da 226 partiti verdi, riuniti nel gruppo TckTckTck, per chiedere ai leader di concludere un accordo sul clima che sia "equo, ambizioso e obbligatorio".

(7 dicembre 2009) Tutti gli articoli di Scienze e Ambiente

 

 

 

 

 

A Copenaghen il vertice sul clima

"Il mondo ci guarda, diamogli speranza"

Si sono aperti nella capitale danese i lavori della quindicesima conferenza Onu sui cambiamenti climatici (Cop15). "Nei prossimi giorni Copenaghen sarà Hopenaghen", ha detto il premier danese Rasmussen aprendo i lavori. Un summit che vede per la prima volta la presenza di 103 tra premier e capi di stato. Usa, India e Cina insieme a Brasile e Sudafrica saranno i protagonisti di queste due settimane. Il presidente Usa Barack Obama ha annunciato la sua partecipazione alla chiusura dei lavori, quando si prenderanno le decisioni finali

 

17:22 Mosca, le conclusioni del vertice siano sottoscritte da tutti gli Stati

Il governo di Mosca ritiene indispensabile che le conclusioni del vertice di Copenaghen, "abbiano un carattere globale e siano sottoscritte da tutti gli Stati". Riferendosi ai paesi che non hanno mai ratificato il il protocollo di Kyoto, Putin ha molte volte sottolineato che senza la "firma di chi è responsabile delle maggiori emissioni" il nuovo documento "non avrebbe senso". Mosca intende tenere duro anche sul fatto che gli altri paesi "dovranno tenere conto delle capacità di assorbimento delle foreste russe". Gli ambientalisti russi hanno criticato queste affermazioni per sottolineare che il primo ministro ripete il vecchio gioco a somma zero emissioni-riduzioni. Secondo l'analista di Greenpeace Mikhail Kreindlin, Mosca "per mantenere in vita le foreste federali sarà obbligata a ridurre le proprie emissioni". A novembre il governo russo ha dato mandato a Sberbank, la banca di Stato federale, per la messa all'asta del proprio quantitativo di emissioni nella speranza di poter incassare cosi almeno 40 miliardi di euro. Mosca dunque sosterrà l'iniziativa

danese di dar vita a un accordo in grado di sostituire il protocollo di Kyoto ma il documento finale dovrà prendere in seria considerazione gli interessi della Federazione

16:14 Dalla Cina al Giappone, la top 6 degli inquinatori

Sono Cina, Usa, Ue, Russia, India e Giappone i primi sei maggiori emettitori di Co2 e producono il 70 per cento delle emissioni totali. Secondo la Fondazione per lo sviluppo sostenibile: dal 1990 al 2008 la metà dell'aumento mondiale delle emissioni è stato prodotto dalla Cina che produce il 22,2 per cento delle emissioni globali (1,9 miliardi di tonnellate di carbonio nel 2008). Gli Stati Uniti producono il 18 per cento delle emissioni (1,5 miliardi di tonnellate nel 2008). Cina e Usa producono il 40 per cento delle emissioni mondiali; 20 paesi producono il 75 per cento delle emissioni mondiali e il 78 per cento del loro aumento. L'Italia è al 13esimo posto per emissioni totali di Co2 (119 milioni di tonnellate di Co2 nel 2008)

15:45 Accordo equo e ambizioso, la petizione firmata online da 10 milioni

Dieci milioni di persone di tutto il mondo hanno firmato una petizione online organizzata da 226 partiti verdi, riuniti nel gruppo TckTckTck, per chiedere ai leader di concludere un accordo sul clima che sia ''equo, ambizioso e obbligatorio''. Lo hanno comunicato gli organizzatori dell'iniziativa oggi. La petizione è stata inviata al segretario generale della Conferenza Onu sul clima, Yvo Boer, al primo ministro danese Lars Loekke Rasmussen e alla presidentessa del comitato Connie Hedegaard

15:18 Yvo de Boer: "Il tempo delle dichiarazioni formali è finito"

L'olandese de Boer ha ribadito che "il tempo delle dichiarazioni formali è finito, il tempo per riaffermare posizioni ben note è passato: Copenaghen sarà un successo solo se prenderà azioni immediate e significative". "Questa è la nostra possibilità, se la mancheremo ci vorranno anni per una chance nuova e migliore, se mai ce la faremo", ha sottolineato ancora Hedegaard

 

15:14 Servono 200 miliari all'anno perché la conferenza abbia successo

Ammonta a 200 miliardi di dollari l'anno da destinare, a partire dal 2020, ai Paesi in via di sviluppo, la somma di denaro che i Paesi sviluppati dovrebbero spendere per assicurare il successo del vertice di Copenaghen. La stima è stata fatta dalle organizzazioni Oxfam International e Ucodep (Unità e Cooperazione per lo Sviluppo dei Popoli). Secondo Oxfam e Ucodep, è necessario un fondo globale di 150 miliardi di dollari l'anno a partire dal 2013, per poi arrivare almeno a 200 miliardi entro il 2020. La quota iniziale che Usa e Ue dovrebbero versare è di 50 miliardi di dollari l'anno ciascuno. gli Usa hanno l'opportunità di contribuire al processo annunciando un consistente pacchetto di aiuti finanziari per il clima. Mentre l'Ue può contribuire a cambiare le cose, annunciando la volontà di anticipare la sua quota dei fondi per il clima. "Non basta essere presenti alla conferenza - ha dichiarato Elisa Bacciotti, portavoce di Oxfam International e Ucodep - occorre anche la volontà politica di prendere degli impegni chiari per aiutare i Paesi in via sviluppo a fronteggiare la crisi climatica"

14:48 Frattini: "L'Italia vuole un accordo politico vincolante"

"Non possiamo accettare accordi che siano vincolanti per qualcuno e un optional per altri", ha detto Frattini parlando con i giornalisti a Bruxelles". L'Italia vuole un accordo politico vincolante": è questo il messaggio per la conferenza di Copenaghen sul clima trasmesso dal ministro degli esteri, Franco Frattini

14:45 Jeremy Rifkin: "A Copenaghen mancherà la visione economica"

Il grande assente della conferenza sul clima sarà "la visione economica del futuro che è indispensabile per affrontare la vastità della crisi globale che stiamo vivendo", lo ha detto l'economista americano Jeremy Rifkin nel suo intervento alla conclusione del workshop "Rome Venti-20: towards a low carbon era", duranto tre giorni. "Copenaghen affronterà le minacce del nostro presente - ha spiegato Rifkin - ma quanto uscirà dalla conferenza sarà percepito come un elenco di punizioni e non di ricompense". Per il celebre economista "se le grandi città investissero in piani come quello pensato per Roma, il 5 per cento di quello che spendono per le imprese, tra pubblico e privato, potremmo arrivare a un aumento del 20 per cento dell'energia rinnovabile entro il 2020". Il piano per la capitale romana prevede ospedali a cogenerazione, stadi free carbon, centrali per la ricarica delle auto elettriche e per quelle alimentate a idrogeno

14:26 Parigi, l'impegno annunciato dall'India è incoraggiante

L'annuncio da parte dell'India di un taglio volontario del 20-25 per cento, entro il 2020, dell'intensità delle sue emissioni di gas nocivi per l'ambiente è un "segnale importante". Lo ha detto a Parigi Bernard Valero, portavoce del ministero degli Esteri della Francia. "La decisione annunciata dall'India è un segnale importante nel momento in cui cominciano lavori e negoziati". Secondo il Quai d'Orsay, l'impegno dell'India è "incoraggiante", anche alla luce dei vincoli indiani in materia di sviluppo e lotta alla povertà

13:40 India, polemiche per le dichiarazioni del ministro

Il ministro per l'Ambiente indiano Ramesh è stato duramente criticato oggi in Parlamento per aver annunciato, qualche giorno prima l'apertura del vertice, di prevedere un taglio delle emissioni del 20-25% da qui al 2020 rispetto al 2005. Una dichiarazione, sostengono i parlamentari, che indebolisce i negoziatori indiani a Copenaghen. Finora l'India si è rifiutata di appoggiare qualsiasi impegno preciso sui tagli

13:29 Il Nobel Ostrom: "Non aspettiamo accordi"

Gli individui non dovrebbero aspettare che i leader raggiungano un accordo sulle misure per ridurre i cambiamenti climatici, ma dovrebbero cominciare ad agire da soli. Lo dice il premio Nobel di quest'anno per l'Economia, Elinor Ostrom: "Mi preoccupa l'atteggiamento di chi sta fermo e aspetta che le cose accadano. Se aspettiamo troppo ci saranno disastri"

13:03 "Climategate", la difesa degli scienziati

Il premio nobel Rajendra Pachauri, presidente del panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc), ha respinto i tentativi di screditare il lavoro degli scienziati Ipcc sul clima intervenendo in merito al cosiddetto 'climagate' sulle mail "rubate" in base alle quali gli scienziati avrebbero "corretto" in peggio i dati sul cambiamento climatico. Pachauri ha parlato di un tentativo di screditare un lavoro "trasparente e obiettivo" svolto su più di 21 anni con dati provenienti da tutto il pianeta e registrati da tantissimi organismi scientifici indipendenti. Pachauri ha quindi richiamato all' azione targando il vertice come "storico" e ha ricordato la responsabilità della comunità globale.

12:45 Iraq e Somalia, ultimi firmatari

Con la firma dei governi di Iraq e Somalia, annunciata dal ministro Hedegaard alla Conferenza, i Paesi che hanno sottoscritto la convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici sale a 194: "Possiamo dire che la Convenzione è universale", ha commentato la ministra danese.

12:39 Ministro danese Hedegaard: "Andare oltre interessi particolari"

E' giunta l'ora di aprire le porte all'''era delle basse emissioni di carbonio''. Lo ha detto il ministro dell'Ambiente e dell'Energia danese, Connie Hedegaard, presidente della Cop15, nel suo intervento di apertura dei lavori del summit di Copenhagen. ''Bisogna saper vedere oltre i propri interessi particolari'', e operare in nome di ''costruttivita' e impegno'', adottando ''azioni ambiziose'', ha aggiunto, avvertendo che ''la volontà politica non è mai stata così forte come oggi e se perdessimo questa occasione ci vorrebbero anni per tornare a questo punto''. Copenaghen è il luogo dove assumersi responsabilità e dove ''agire e agire subito'', per questo, ha detto, servono ''sforzi globali'' anche da parte dei paesi in via di sviluppo come ''Cina, India, Corea del Sud, Brasile, Indonesia''. ''Non dobbiamo scegliere fra economia e cambiamenti climatici'', ha avvertito e, alla fine dei lavori, ''dobbiamo poterci guardare negli occhi certi di aver fatto di tutto per il futuro delle prossime generazioni''.

12:37 Il rappresentante Onu per il clima: "Azione rapida e pratica"

La conferenza "non sarà un successo se non comincia immeditamente un'azione significativa" il giorno stesso in cui i lavori termineranno". Lo ha detto il numero uno dell'Onu in materia di clima, Yvo De Boer, che ha lanciato un appello ai delegati dei 192 paesi a concentrarsi "sulle proposte pratiche e serie in grado di lanciare un'azione rapida" contro i cambiamenti climatici. "I paesi in via di sviluppo attendono disperatamente un'azione tangibile e immediata" contro le emissioni di gas a effetto serra e per adattare le loro nazioni ai nuovi dati sul clima", ha ricordato. De Boer, segretario esecutivo della convenzione Onu sui cambiamenti climatici, aveva aperto il suo intervento leggendo la testimonianza di un bambino asiatico di sei anni, Nyi Lay, vittime di un ciclone devastante che ha ucciso i genitori e i fratelli. "I tempi delle dichiarazioni sono finiti, come quelli degli slogan: servitevi del lavoro già fatto e trasformateli in atti", ha sottolineato De Boer.

12:24 "Attendiamo 110 capi di Stato"

"Ad oggi 110 capi di stato e governo hanno annunciato il loro arrivo a Copenaghen per partecipare agli ultimi giorni della conferenza. E' una mobilitazione politica senza precedenti per lottare contro il cambiamento climatico", ha detto il primo ministro danese Rasmussen alla cerimonia di apertura.

12:12 Rasmussen: "Un accordo a portata di mano"

Il premier danese ha quindi esortato i negoziatori a mettere a punto un accordo che sia "forte ed ambizioso". "Le differenze potranno essere superate se ci sarà la volontà politica - si è detto sicuro Rasmussen - Ed io credo che ci sia. Un accordo è a portata di mano".

 

 

 

 

 

 

A Copenaghen il vertice sul clima

"Il mondo ci guarda, diamogli speranza"

Si sono aperti nella capitale danese i lavori della quindicesima conferenza Onu sui cambiamenti climatici (Cop15). "Nei prossimi giorni Copenaghen sarà Hopenaghen", ha detto il premier danese Rasmussen aprendo i lavori. Un summit che vede per la prima volta la presenza di 103 tra premier e capi di stato. Usa, India e Cina insieme a Brasile e Sudafrica saranno i protagonisti di queste due settimane. Il presidente Usa Barack Obama ha annunciato la sua partecipazione alla chiusura dei lavori, quando si prenderanno le decisioni finali

 

11:42 Il filmato shock

La cerimonia di apertura è stata accompagnata dalla proiezione di un breve filmato dove i bambini del futuro mostrano uno scenario apocalittico, con tempeste e paesaggi desertici, che potrebbe diventare realtà se i leader mondiali di oggi non faranno nulla per impedirlo. ''Per favore salvate il mondo'', ha detto una bimba del filmato. Ad aprire i lavori il primo ministro danese Lars Loekke Rasmussen, il sindaco di Copenaghen Ritt Bjerregard e il presidente del Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc), Rajendra Pachauri.

11:26 Rasmussen: "Il mondo ci guarda, diamogli speranza"

Il mondo intero guarda con speranza al summit di Copenaghen nell'auspicio che i negoziati sul clima salvino l'umanità: così il premier danese, Lars Loekkke Rasmussen ha salutato i delegati e le rappresentanze di 192 governi, riuniti a Copenaghen per il XV vertice dell'Onu sul clima, per trovare un accordo che freni il surriscaldamento del pianeta. "nelle prossime due settimane, Copenaghen sarà hopenaghen" ha detto, giocando sul termine inglese "hope", speranza

11:22 Il ministro indiano: "Raggiunto accordo con Cina e Brasile"

India, Cina e Brasile hanno raggiunto un accordo di massima per operare insieme nel negoziato sui tagli alle emissioni di CO2 durante il Vertice di Copenaghen sui Mutamenti climatici che si è aperto oggi. Lo ha rivelato a New Delhi il ministro per l'Ambiente indiano, Jairam Ramesh. Intervenendo in un dibattito parlamentare alla Rajya Sabha (Camera alta), Jairam ha detto che "India, Cina e Brasile hanno una bozza di base. Io ho una copia di questa bozza (...) Una bozza che deve servire ad incanalare il negoziato". In questo modo il ministro, che si recherà a Copenaghen giovedì, si è difeso dalle accuse da parte dell'opposizione del Bjp di aver abbandonato la posizione autonoma dell'India e gli interessi delle nazioni in via di sviluppo per compiacere ai paesi industrializzati

11:20 Grande partecipazione della società civile

Secondo gli organizzatori sono già arrivate nella capitale danese circa 15 mila persone da ogni angolo del pianeta. In realtà le richieste sono state 34 mila, hanno spiegato, ma la maggior parte sono state respinte. La conferenza si svolgerà fino al 18 dicembre in uno spazio aperto di 121 mila metri quadrati, con una capienza massima di 15 mila presenze.

10:45 Aperti i lavori

A "suonare la campanella" il segretario generale della Convenzione Onu sui cambiamenti climatici, Yvo de Boer, il primo ministro danese Lars Loekke Rasmussen, il sindaco di Copenaghen Ritt Bjerregard e il presidente del Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc), Rajendra Pachauri.

10:45 Prestigiacomo: "Si vince o si perde insieme"

Il vertice di Copenaghen sui cambiamenti climatici è "una partita che si vince o siperde tutti assieme". E' il messaggio del ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo in un intervento su 'Il Sole 24 Ore', scritto in occasione del summit: "Copenaghen è l'occasione non tanto e non solo per riscrivere le regole sulle emissioni dei gas serra - spiega il ministro - ma anche quella per rifondare le regole dei rapporti fra paesi industrializzati, paesi emergenti e paesi poveri e costruire su queste nuove regole un nuovo modello di sviluppo ecosostenibile".

10:31 Brown: "Accordo vincolante entro 6 mesi"

Il Premier britannico Gordon Brown ha lanciato un appello ai leader mondiale affinché al vertice si raggiunga un accordo sul clima che diventi ''giuridicamente vincolante entro sei mesi''. ''Il nostro obiettivo e' quello di raggiungere un accordo completo ed esaustivo, che dovrà essere convertito in un trattato internazionale giuridicamente vincolante entro un termine non superiore a sei mesi'', ha ribadito Gordon Brown in un articolo scritto per il Guardian. ''A volte arrivano dei momenti decisivi nella storia'', ha detto Brown. ''Per noi tutti il momento decisivo del 2009 dovrà essere efficace''.

10:29 La lettera dei premi Nobel

Il Segretariato dei Summit dei Premi Nobel per la Pace ha inviato a tutti i capi di stato coinvolti nel vertice di Copenhagen una lettera-appello per esortarli, in quanto maggiori responsabili delle Nazioni e dei Governi del nostro pianeta, a dare il via al più presto ad un nuovo percorso d'impegno nell'affrontare e risolvere radicalmente il problema dei cambiamenti climatici, come largamente richiesto, prendendo quelle decisioni concrete così tanto attese da tutto il mondo. La lettera, firmata da Walter Veltroni Co-Presidente, assieme a Mikhail Gorbachev, del summit dei Premi Nobel per la Pace, contiene in allegato la risoluzione finale elaborata durante il 10th World Summit dei Premi Nobel per la Pace, tenutosi a Berlino durante le commemorazioni del ventennale della caduta del Muro, che ha al centro proprio il tema dei cambiamenti climatici.

10:27 Grande folla di delegati

Il Bella Center, sede del vertice è preso d'assalto dai delegati: quindicimila la capienza massima del centro conferenze ma le richieste sono state più del doppio, circa 34mila, e 15mila delegati sono rimasti fuori.

 

 

 

 

A Copenaghen il vertice sul clima

"Il mondo ci guarda, diamogli speranza"

Si sono aperti nella capitale danese i lavori della quindicesima conferenza Onu sui cambiamenti climatici (Cop15). "Nei prossimi giorni Copenaghen sarà Hopenaghen", ha detto il premier danese Rasmussen aprendo i lavori. Un summit che vede per la prima volta la presenza di 103 tra premier e capi di stato. Usa, India e Cina insieme a Brasile e Sudafrica saranno i protagonisti di queste due settimane. Il presidente Usa Barack Obama ha annunciato la sua partecipazione alla chiusura dei lavori, quando si prenderanno le decisioni finali

 

11:42 Il filmato shock

La cerimonia di apertura è stata accompagnata dalla proiezione di un breve filmato dove i bambini del futuro mostrano uno scenario apocalittico, con tempeste e paesaggi desertici, che potrebbe diventare realtà se i leader mondiali di oggi non faranno nulla per impedirlo. ''Per favore salvate il mondo'', ha detto una bimba del filmato. Ad aprire i lavori il primo ministro danese Lars Loekke Rasmussen, il sindaco di Copenaghen Ritt Bjerregard e il presidente del Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc), Rajendra Pachauri.

11:26 Rasmussen: "Il mondo ci guarda, diamogli speranza"

Il mondo intero guarda con speranza al summit di Copenaghen nell'auspicio che i negoziati sul clima salvino l'umanità: così il premier danese, Lars Loekkke Rasmussen ha salutato i delegati e le rappresentanze di 192 governi, riuniti a Copenaghen per il XV vertice dell'Onu sul clima, per trovare un accordo che freni il surriscaldamento del pianeta. "nelle prossime due settimane, Copenaghen sarà hopenaghen" ha detto, giocando sul termine inglese "hope", speranza

11:22 Il ministro indiano: "Raggiunto accordo con Cina e Brasile"

India, Cina e Brasile hanno raggiunto un accordo di massima per operare insieme nel negoziato sui tagli alle emissioni di CO2 durante il Vertice di Copenaghen sui Mutamenti climatici che si è aperto oggi. Lo ha rivelato a New Delhi il ministro per l'Ambiente indiano, Jairam Ramesh. Intervenendo in un dibattito parlamentare alla Rajya Sabha (Camera alta), Jairam ha detto che "India, Cina e Brasile hanno una bozza di base. Io ho una copia di questa bozza (...) Una bozza che deve servire ad incanalare il negoziato". In questo modo il ministro, che si recherà a Copenaghen giovedì, si è difeso dalle accuse da parte dell'opposizione del Bjp di aver abbandonato la posizione autonoma dell'India e gli interessi delle nazioni in via di sviluppo per compiacere ai paesi industrializzati

11:20 Grande partecipazione della società civile

Secondo gli organizzatori sono già arrivate nella capitale danese circa 15 mila persone da ogni angolo del pianeta. In realtà le richieste sono state 34 mila, hanno spiegato, ma la maggior parte sono state respinte. La conferenza si svolgerà fino al 18 dicembre in uno spazio aperto di 121 mila metri quadrati, con una capienza massima di 15 mila presenze.

10:45 Aperti i lavori

A "suonare la campanella" il segretario generale della Convenzione Onu sui cambiamenti climatici, Yvo de Boer, il primo ministro danese Lars Loekke Rasmussen, il sindaco di Copenaghen Ritt Bjerregard e il presidente del Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc), Rajendra Pachauri.

10:45 Prestigiacomo: "Si vince o si perde insieme"

Il vertice di Copenaghen sui cambiamenti climatici è "una partita che si vince o siperde tutti assieme". E' il messaggio del ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo in un intervento su 'Il Sole 24 Ore', scritto in occasione del summit: "Copenaghen è l'occasione non tanto e non solo per riscrivere le regole sulle emissioni dei gas serra - spiega il ministro - ma anche quella per rifondare le regole dei rapporti fra paesi industrializzati, paesi emergenti e paesi poveri e costruire su queste nuove regole un nuovo modello di sviluppo ecosostenibile".

10:31 Brown: "Accordo vincolante entro 6 mesi"

Il Premier britannico Gordon Brown ha lanciato un appello ai leader mondiale affinché al vertice si raggiunga un accordo sul clima che diventi ''giuridicamente vincolante entro sei mesi''. ''Il nostro obiettivo e' quello di raggiungere un accordo completo ed esaustivo, che dovrà essere convertito in un trattato internazionale giuridicamente vincolante entro un termine non superiore a sei mesi'', ha ribadito Gordon Brown in un articolo scritto per il Guardian. ''A volte arrivano dei momenti decisivi nella storia'', ha detto Brown. ''Per noi tutti il momento decisivo del 2009 dovrà essere efficace''.

10:29 La lettera dei premi Nobel

Il Segretariato dei Summit dei Premi Nobel per la Pace ha inviato a tutti i capi di stato coinvolti nel vertice di Copenhagen una lettera-appello per esortarli, in quanto maggiori responsabili delle Nazioni e dei Governi del nostro pianeta, a dare il via al più presto ad un nuovo percorso d'impegno nell'affrontare e risolvere radicalmente il problema dei cambiamenti climatici, come largamente richiesto, prendendo quelle decisioni concrete così tanto attese da tutto il mondo. La lettera, firmata da Walter Veltroni Co-Presidente, assieme a Mikhail Gorbachev, del summit dei Premi Nobel per la Pace, contiene in allegato la risoluzione finale elaborata durante il 10th World Summit dei Premi Nobel per la Pace, tenutosi a Berlino durante le commemorazioni del ventennale della caduta del Muro, che ha al centro proprio il tema dei cambiamenti climatici.

10:27 Grande folla di delegati

Il Bella Center, sede del vertice è preso d'assalto dai delegati: quindicimila la capienza massima del centro conferenze ma le richieste sono state più del doppio, circa 34mila, e 15mila delegati sono rimasti fuori.

 

 

 

COPENAGHEN

Clima, ci resta poco tempo

Un'unica voce da 56 giornali

In occasione della conferenza che si apre in Danimarca, i quotidiani di 45 Paesi pubblicano questo editoriale comune e si appellano ai rappresentanti dei 192 stati presenti

Il logo dell'iniziativa con le testate dei 56 giornali

Oggi 56 giornali di 45 paesi stanno facendo un passo senza precedenti, quello di parlare con una unica voce in un editoriale comune. Lo facciamo perché l'umanità si trova ad affrontare una grave emergenza.

Se non ci uniamo per intraprendere delle azioni decisive, il cambiamento climatico devasterà il nostro pianeta e con esso la nostra prosperità e la nostra sicurezza. I pericoli sono diventati sempre più manifesti nel corso dell'ultima generazione. Ora hanno cominciato a parlare i fatti: 11 degli ultimi 14 anni sono stati i più caldi mai registrati, la calotta artica si sta sciogliendo e i surriscaldati prezzi del petrolio e dei generi alimentari sono solo un assaggio della distruzione che ci attende. Sulle pubblicazioni scientifiche la domanda non è più se la causa sia imputabile agli essere umani, ma quanto è breve il tempo che abbiamo ancora a disposizione per contenere i danni. Nonostante tutto ciò, fino a questo momento la risposta del mondo è stata tiepida e debole.

Il cambiamento climatico è stato prodotto nel corso di secoli, ha conseguenze che dureranno per sempre e le possibiità che abbiamo di controllarlo saranno determinate dai prossimi 14 giorni. Ci appelliamo ai rappresentanti del 192 paesi riuniti a Copenhagen affinché non esitino, non si lascino prendere la mano dalle controversie e non si accusino reciprocamente, ma che ricavino delle opportunità dal più grande fallimento della moderna politica. Si dovrebbe evitare una lotta tra il mondo ricco e quello povero o tra Occidente e Oriente. Il cambiamento climatico colpisce tutti e deve essere risolto da tutti.

L'aspetto scientifico è complesso ma i fatti sono chiari. Il mondo deve prendere delle misure per contenere entro 2°C gli incrementi della temperatura, un obiettivo che richiederà che il picco globale delle emissioni e l'inizio del loro successivo decremento avvenga entro i prossimi 5-10 anni. Un innalzamento superiore di circa 3-4°C - la stima più bassa dell'incremento della temperatura qualora non si agisca - inaridirà i continenti e trasformerà le terre agricole in deserti. La metà di tutte le specie potrebbe estinguersi, un numero senza precedenti di persone sarebbe costretto all'esodo, interi paesi sarebbero innondati dal mare.

Sono in pochi a ritenere che Copenhagen possa ancora produrre un trattato in una sua versione finale - verso un tale trattato si è potuto cominciare a fare reali progressi solo con l'arrivo del presidente Obama alla Casa Bianca e la fine di anni di ostruzionismo degli Stati Uniti. Il mondo si trova ancora oggi alla mercé della politica interna statunitense, dato che il presidente non può impegnarsi pienamente sulle azioni necessarie finché non lo avrà fatto il Congresso degli Stati Uniti.

A Copenhagen però i rappresentanti politici possono e devono trovare un consenso sugli elementi essenziali di un accordo giusto ed efficace nonché - e questo è un punto cruciale - su un rigido calendario per trasformare questo accordo in un trattato. La prossima conferenza delle Nazioni Unite sul clima prevista per il giugno prossimo a Bonn dovrebbe essere considerata la data ultima o, come ha detto un negoziatore, "possiamo concederci un tempo supplementare ma non di rigiocare la partita".

Al centro dell'accordo ci deve essere una intesa tra il mondo ricco e quello in via di sviluppo che preveda, tra le altre cose, come sarà distribuito il costo della lotta al cambiamento climatico - e come si distribuirà una risorsa che solo recentemente è diventata preziosa: le migliaia di miliardi circa di tonnellate di anidride carbonica che rilasceremo prima che la colonnina del mercurio abbia toccato livelli pericolosi.

Alle nazioni ricche piace ricordare la verità aritmetica secondo la quale non ci può essere una soluzione finché i giganti del mondo in via di sviluppo, quale la Cina, non adotteranno misure più radicali di quelle messe in atto finora. Il mondo ricco, però, è responsabile per la maggior parte dell'anidride carbonica che si è accumulata nell'atmosfera - tre quarti di tutta l'anidride carbonica rilasciata dal 1850. Il mondo ricco deve quindi ora indicare la strada e ogni singolo paese in via di sviluppo deve impegnarsi a ridurre le emissioni in modo tale da abbassare entro un decennio il proprio contributo di gas serra a livelli sostanzialmente inferiori a quelli del 1990.

I paesi in via di sviluppo vorranno ricordare che loro hanno contribuito alle cause del problema solo in misura minore e che le regioni più povere del mondo saranno quelle più colpite. Tuttavia, questi paesi contribuiranno sempre di più al riscaldamento e devono quindi impegnarsi in prima persona in una azione significativa e quantificabile. Sebbene finora sia l'azione dei paesi avanzati sia quella dei paesi in via sviluppo non abbia raggiunto il livello auspicato da taluni, il recente impegno su nuovi target per le emissioni da parte dei due paesi che più inquinano al mondo, Stati Uniti e Cina, sono dei passi importanti nella direzione giusta.

La giustizia sociale esige che il mondo industrializzato si dimostri generoso nel fornire risorse per aiutare i paesi più poveri a adattarsi al cambiamento climatico e a adottare tecnologie pulite che consentano loro di crescere economicamente senza che ciò comporti un aumento delle emissioni. Anche l'architettura di un futuro trattato dovrà essere stabilita in maniera ferma, prevedendo un monitoraggio multilaterale rigoroso, premi equi per la protezione delle foreste e una valutazione credibile delle "emissioni esportate", in modo tale che il costo possa essere suddiviso in maniera equa tra chi produce prodotti inquinanti e chi li consuma. L'equità richiede inoltre che la dimensione del peso che ciascun paese sviluppato si accollerà tenga in considerazione la sua capacità di reggerlo; per esempio, i nuovi membri della Ue sono spesso molto più poveri della "vecchia Europa" e non dovrebbero soffrire di più dei loro partner più ricchi.

La trasformazione avrà un costo ingente che sarà in ogni caso molto inferiore al conto pagato per salvare la finanza globale e molto meno costoso delle conseguenze di non fare alcunché.

Molti di noi, nel mondo sviluppato in particolare, dovranno cambiare il proprio stile di vita. L'era dei voli che costano meno del tragitto in taxi all'aeroporto sta volgendo alla fine. Dovremo acquistare, mangiare e viaggiare in maniera più intelligente. Dovremo pagare di più per l'energia e usarne meno.

La prospettiva del passaggio a una società a basso impatto di anidride carbonica contiene tuttavia più opportunità che sacrifici. Alcuni paesi hanno già verificato che abbracciare la trasformazione può portare crescita, posti di lavoro e una migliore qualità della vita.

Anche il flusso dei capitali ci dice che l'anno scorso, per la prima volta, gli investimenti destinati alle varie forme di energia rinnovabile hanno superato quelli impiegati per la produzione di elettricità da combustibili fossili.

Liberarci della assuefazione all'anidride carbonica in pochi decenni che si riveleranno brevi, facendo fronte a una sfida senza uguali nella nostra storia, richiederà uno sforzo straordinario all'ingegneria e all'innovazione. Ma se mandare l'uomo sulla luna o scoprire i segreti dell'atomo sono state imprese nate dal conflitto e dalla competizione, la corsa contro l'anidride carbonica che sta per iniziare dovrà essere improntata a uno sforzo collaborativo che miri alla salvezza collettiva.

Per avere la meglio sul cambiamento climatico occorrerà che l'ottimismo trionfi sul pessimismo, che una visione di ampia portata trionfi sulla miopia, su di ciò che Abraham Lincoln chiamò "i migliori angeli della nostra natura".

È con questo spirito che 56 giornali di tutto il mondo si sono uniti per questo editoriale. Se noi che proveniamo da ambiti nazionali e politici così diversi possiamo concordare su ciò che occorre fare, anche i nostri leader possono farlo.

I rappresentanti politici che si riuniranno a Copenhagen hanno la possibiità di decidere quale sarà il giudizio della storia su questa generazione: una che ha capito la minaccia e che ne è stata all'altezza con le sue azioni oppure una talmente stupida da aver visto arrivare la catastrofe e di non avere fatto alcunché per impedirla. Vi imploriamo di fare la scelta giusta.

(Traduzione di Guiomar Parada)

(7 dicembre 2009)

 

 

 

 

Clima, il mondo cerca la svolta

Via al vertice di Copenaghen

Quindicimila persone in rappresentanza di 192 Paesi. Due settimane per arrivare a conclusioni vere su emissioni e aiuti alle nazioni più povere. Presenti 105 leader mondiali tra cui Barack Obama

Resta poco tempo, l'appello di 56 quotidiani

Lo smog che avvolge Hong Kong

COPENAGHEN - Quindici giorni per cercare di imprimere una vera svolta alla battaglia mondiale per salvare il nostro pianeta dal disastro dei cambiamenti climatici. Si apre oggi a Copenaghen la Conferenza mondiale dell'Onu sul clima: 15mila partecipanti in rappresentanza di 192 Paesi e gli occhi del mondo puntati sulla capitale danese per capire e giudicare se da questo vertice uscirà davvero qualcosa di nuovo, di importante, di duraturo e, soprattutto, di effettivamente concreto. Un vertice al quale, nella parte conclusiva prenderanno parte i leader di 105 nazioni, Obama in testa. Il presidente Usa interverrà il 18 dicembre e da lui si attendono prese di posizione importanti.

Due i temi fondamentali: un'intesa sulla riduzione dei gas serra con tutto quello che comporta per i Paesi più industrializzati, per quelli emergenti e per l'intreccio non sempre virtuoso delle rispettive economie. In sostanza, si dovrà stabilire come dividersi i costi economici della riduzione dell'inquinamento. Insieme, si dovrà stabilire quali cifre (miliardi di dollari) mettere a disposizione dei Paesi più poveri per aiutarli a emergere costruendo economie per quanto possibile solide ma basate su tecnologie pulite.

(7 dicembre 2009) Tutti gli articoli di Scienze e Ambiente

 

 

 

 

La svolta di Obama è la premessa per un cambiamento molto più radicale

Via alla Terza rivoluzione industriale che non è né di destra né di sinistra

Da anidride carbonica a vegetariani

ecco l'alfabeto che salverà il pianeta

di JEREMY RIFKIN

Abbiamo due settimane per tirare il freno d'emergenza ed evitare la catastrofe climatica. Ma per raggiungere l'obiettivo dobbiamo rompere i vecchi schemi: non più solo obblighi ma spazio per la Terza rivoluzione industriale che non è né di destra né di sinistra.

Ecco un alfabeto per capire qual è la posta in gioco.

ANIDRIDE CARBONICA Il mutamento climatico sta procedendo a velocità superiore alle previsioni: l'obiettivo che fino a ieri sembrava sufficiente, un tetto di concentrazione di CO2 in atmosfera di 450 parti per milione, non ci protegge dal rischio della catastrofe. Come dice Jim Hansen, uno dei più accreditati climatologi, invece di continuare ad accumulare anidride carbonica in cielo dobbiamo tornare indietro, verso le 280 parti per milione dell'era preindustriale. Oggi siamo a quota 387: scendiamo almeno a 350.

BRASILE Meglio tardi che mai. Per decenni il Brasile è stato responsabile della deforestazione dell'Amazzonia, una devastazione che minaccia la sicurezza di uno degli ecosistemi fondamentali. Oggi il governo di Lula ha cambiato rotta: Copenaghen può essere il momento di rendere ufficiale la svolta.

CINA E' il paese che emette più anidride carbonica di tutti gli altri. Ma sta già pagando un prezzo pesante, in termini di vite umane, al cambiamento climatico. Se potesse scegliere tra il carbone e le tecnologie più avanzate della terza rivoluzione industriale cosa farebbe?

EFFICIENZA ENERGETICA E' la base per il riassetto energetico. Molti tagli di emissioni si possono realizzare eliminando gli sprechi e l'inefficienza.

FONDI I fondi per il trasferimento delle tecnologie avanzate ai paesi meno industrializzati sono un atto di giustizia: non si può penalizzare proprio chi è stato escluso dalla seconda rivoluzione industriale. Bisogna permettere a questi paesi di fare il salto della rana passando direttamente alla Terza rivoluzione industriale.

IDROGENO Le rinnovabili sono una fonte pulita ma non costante: c'è bisogno di un serbatoio per immagazzinare l'energia prodotta durante i momenti di picco. Questo serbatoio è l'idrogeno che permette anche di riutilizzare in modo flessibile l'energia accumulata.

KYOTO E' stato il momento che ha segnato l'inizio del percorso dalla geopolitica alla politica della biosfera.

LAVORO La Terza rivoluzione industriale dà spazio a sistemi labour intensive e produrrà milioni di posti di lavoro.

NUCLEARE Il nucleare è la tecnologia della guerra fredda. In più di mezzo secolo non ha risolto i suoi problemi, anzi li ha aggravati: rischi di incidenti durante tutte le fasi del ciclo di produzione, rischio terrorismo, rischio scorie. E nessun beneficio economico.

OBAMA La svolta di Obama è la premessa per un cambiamento che dovrà essere molto più radicale: senza la visione d'assieme, senza la capacità di pensare a lungo termine, il rilancio delle fonti rinnovabili è privo di solide basi.

POST KYOTO La conferenza di Copenaghen può avere successo se si fa il salto dalla prospettiva degli obblighi a quella delle opportunità. Invece di pensare solo a quantificare quello che non si deve fare bisogna cominciare a dire quante fonti rinnovabili, quanti edifici sostenibili, quanto idrogeno, quante smart grid deve realizzare ogni paese.

RINNOVABILI Sono il primo pilastro della terza rivoluzione industriale. Due regioni spagnole, la Navarra e l'Aragona, in dieci anni sono arrivate al 70 per cento di elettricità da fonti pulite. Perché non fare altrettanto?

SCETTICI E' un gruppetto inesistente sotto il profilo scientifico. Riescono ad avere visibilità perché sono supportati dalle lobby delle vecchie fonti energetiche che li usano per seminare dubbi nell'opinione pubblica.

TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Permette sia lo sviluppo economico che la riduzione delle emissioni serra. Poggia su quattro pilastri: le energie rinnovabili, gli edifici sostenibili, l'idrogeno e le reti intelligenti, le smart grid per distribuire l'energia secondo il modello del web. La Terza rivoluzione industriale significa spostare il potere dalle oligarchie che gestiscono le grandi centrali elettriche alle persone. Oggi parliamo attraverso Skype e si creano network liberi di scambio e condivisione delle informazioni. Perché non farlo con l'energia?

UNIONE EUROPEA E' stata l'apripista della battaglia per la difesa della biosfera. E lo ha fatto in condizioni di isolamento e di grande difficoltà. Ora può guardare con più fiducia al futuro, soprattutto se saprà sfruttare le sue grandi potenzialità.

VEGETARIANI La seconda causa di cambiamento climatico al mondo è l'emissione di CO2 derivante dall'allevamento di animali, ovvero dalla grande quantità di carne che consumiamo. Per abbattere le emissioni bisogna passare alla dieta mediterranea, come in Italia, mangiando molte verdure e molta frutta.

(testo raccolto da Antonio Cianciullo)

© Riproduzione riservata (7 dicembre 2009)

 

 

 

 

http://racconta.repubblica.it/wwf-calcolatore-co2/main.php

CALCOLO EMISSIONI CO2

GAS SERRA

SETTORE CASA

I gas serra e in particolare la CO2 sono rilasciati ogni volta che si utilizza energia per riscaldare e raffreddare la casa, per scaldare l'acqua, per accendere le luci e alimentare gli elettrodomestici e i dispositivi elettronici.

E' possibile conseguire una forte riduzione delle emissioni di anidride carbonica attraverso semplici azioni nella propria abitazione. Esistono molte possibilitá per risparmiare energia e/o usarla in modo piú efficiente ed efficace. Sicuramente il non eccedere con il riscaldamento invernale o il condizionamento estivo, anche scegliendo indumenti idonei alla stagione, non solo risponde (o dovrebbe rispondere) a regole di buon senso, ma ti permette di ridurre sensibilmente i consumi della tua abitazione. Peraltro, quello che forse molti non sanno é che le temperature invernali nei locali, siano essi residenziali o uffici, non dovrebbero superare i 18-20°C: é ben noto invece come spesso tanto in abitazioni private, ma ancora di piú in edifici pubblici/"collettivi" (uffici, scuole, ospedali, ecc.), si possano registrare temperature anche superiori ai 24-25°C, dannose all'ambiente e alla salute.

Altrettanto dannose sono le temperature troppo basse impostate sui condizionatori nel periodo estivo: regolare per esempio il condizionatore a 20°C provoca un incremento vertiginoso dei consumi energetici oltre ad esporci al rischio di patologie, in primis dell'apparato respiratorio. Puoi fare la differenza, anche per il condizionamento estivo (qualora realmente necessario), regolando le temperature a non meno di 26°C, considerando come anche 27-28°C potrebbero essere sufficienti quando le temperature esterne superano il 32-33°C. Peraltro, la sensazione di confort (inteso come benessere fisico e psichico) non é garantita solo da un abbassamento artificiale delle temperature ma, piuttosto, da una migliore deumidificazione e da piú adeguate condizioni di ventilazione.

 

SETTORE TRASPORTI

* Previous

* Next

* Move

* Close

Il settore dei trasporti in Italia é responsabile dell'emissione di 128,5 milioni di tonnellate di CO2 l'anno, di cui il trasporto su gomma costituisce il 92% (118,3).

Puoi fare la differenza se adotti provvedimenti per ridurre i tuoi viaggi e cerchi di viaggiare in modo efficiente, per esempio utilizzando mezzi pubblici e car-pooling (ossia la condivisione di un mezzo di trasporto privato da parte di piú persone che percorrono almeno in parte un medesimo tragitto) e in parte il car-sharing (servizio per l'uso a tempo di veicoli di proprietá collettiva messi a disposizione da una organizzazione apposita).

 

SETTORE ALIMENTAZIONE

Non solo le calorie: quando pensi al tuo pasto, oltre all'apporto energetico in calorie prova a considerare anche il suo livello di sostenibilitá, ossia la quantitá di energia necessaria a produrlo. Essere consapevole di quanta energia é necessaria per l'alimentazione éil primo passo per uno stile di vita a piú basse emissioni.

Nelle societá pre-industriali il rapporto tra l'energia utilizzata per la produzione di un alimento e il suo contenuto in calorie era pari a 1 (ossia tanta energia era spesa per produrlo tanta l'alimento ne restituiva all'organismo), oggi é mediamente pari a 100, ossia é utilizzata 100 volte piú energia per produrre un alimento di quanta questo ne fornisca nel momento in cui viene consumato.

 

SETTORE BENI E SERVIZI

É necessaria energia per produrre, trasportare e gestire le merci acquistate. Puoi decidere di modificare le tue abitudini di consumo e ridurre la tua impronta di carbonio.

Semplici azioni, quali preferire i formati elettronici invece di quelli cartacei di quotidiani e riviste, possono aiutare a ridurre la tua impronta di carbonio.

 

 

 

LIMES

http://temi.repubblica.it/limes/tag/clima-e-ambiente

Il clima del G2 2.0

Il nucleare non si farà

In Italia si dà peso a una questione che non esiste, quella dell’energia atomica. I costi del ritorno alle centrali nucleari sono insostenibili, sicché il dibattito è puramente retorico.

La nostra missione è la green economy.

di Ermete Realacci - Francesco Ferrante

Tra Europa e Asia Centrale niente partnership energetica

Pochi soldi e poca voglia spingono Bruxelles verso gas e petrolio centroasiatici. Ai satrapi locali non interessa la democrazia e strizzano l'occhio a Russia e Cina.

di Luba Azarch (German Council on Foreign Relations, Dgap)

Il Quaderno Speciale in edicola e in libreria dal primo dicembre

Il clima del G2

Usa e Cina affossano Copenaghen

Prima l'energia, poi l'ambiente

Se l'Italia torna al nucleare

Le carte a colori di Limes QS 3/2009 Il clima del G2

Le nuove rotte russe

Le nuove opportunità di navigazione e commerciali che lo scomparire dei ghiacci del Polo Artico aprirebbe alla Russia.

carta di Laura Canali

Le carte a colori di Limes QS 3/2009 Il clima del G2

Le nuove rotte artiche

Il ridursi della superficie ghiacciata del Polo Artico aprirà nuove rotte navigabili nel Mar Glaciale Artico.

carta di Laura Canali

Le carte a colori di Limes QS 3/2009 Il clima del G2

La Russia nell’Artico

Il Cremlino vuole recitare un ruolo da protagonista, se non da solista, nella futura

spartizione delle ricchezze che l’Artico racchiude.

carta di Laura Canali

Le carte a colori di Limes QS 3/2009 Il clima del G2

Il grande Nord

La situazione dell'Artico conteso tra le rivendicazioni russe, norvegesi, americane, canadesi e danesi.

carta di Laura Canali

Rubrica Il punto

video editoriale: Il clima del G2

Il video editoriale di presentazione del Quaderno speciale di Limes Il clima del G2 in edicola dal primo dicembre.

di Lucio Caracciolo

Focus Obama in Cina (e in Asia)

Usa-Cina: sul clima a Pechino tira una brutta aria

Il capo della superpotenza globale è arrivato a Pechino con il cappello in mano. Depotenziato Copenaghen, il presidente cinese ha detto con cruda chiarezza che gli Usa non possono vivere al di sopra dei loro mezzi a spese della Cina.

di Fabrizio Maronta

Ambiente e geopolitica in Medio Oriente

Israele: il turismo dei parchi, un’arma geopolitica

Israele avrebbe escogitato un piano per impedire la divisione di Gerusalemme tra israeliani e palestinesi: la costruzione di parchi verdi sui territori occupati dalle famiglie palestinesi, che sarebbero così costrette ad abbandonare le loro case. La denuncia di Ir Amin.

di Paola Caridi*

Dall'Archivio di Limes

La breve parabola del nucleare nostrano

In occasione dell'intesa tra Francia e Italia per la costruzione di quattro impianti nucleari in Italia da parte di Enel-Edf ripubblichiamo on line questo articolo sulla storia del nucleare in Italia e sulla dispersione del patrimonio tecnologico e industriale. Il caso Ippolito. Chernobyl e il referendum.

di Lorenzo Pinna

Il Progetto Masdar

Insieme per un mondo senza CO2

La Svizzera e gli Emirati Arabi hanno avviato una collaborazione strategica nel settore delle tecnologie energetiche. La soluzione sta nel cambiare completamente gli stili di vita delle persone.

di Lorenzo Gadaleta

Carte a colori Limes 4/08 Il marchio giallo

Energie 'pulite' a caro prezzo

Gli sforzi della Cina per affrancarsi dalla dipendenza da carbone e petrolio: lo stadio dello sviluppo delle fonti "alternative".

carta di Laura Canali

Rubrica Le Russie di Putin (e Medvedev)

La corsa al Polo e il rovescio della medaglia

Il riscaldamento globale determinerà lo scioglimento dei ghiacci artici liberando enormi quantità di risorse energetiche nascoste sotto i fondali polari, ma anche quello del permafrost che ricopre il profondo nord della Russia, privandolo delle sue immense ricchezze, di infrastrutture militari strategiche e della sua geografia.

di Mauro De Bonis

Rubrica Il punto

Si apre la Partita al Polo

L'innalzamento delle temperature e lo scioglimento dei ghiacci artici aprono un nuovo scenario che dilata l'estensione dello spazio geopolitico del nostro pianeta. La Partita al Polo promette poste in gioco più che rilevanti, che avranno ripercussioni globali, delle quali l'Europa farebbe meglio ad accorgersi presto.

di Lucio Caracciolo

Le carte a colori del QS 2/08 Partita al Polo

Il Grande Nord

Il campo della partita artica ancora tutta da giocare: confini marittimi, controversie ed aree contese tra le potenze del Grande Nord. La posta in gioco è tutta energetica.

carta di Laura Canali

Le carte a colori del QS 2/08 Partita al Polo

Le nuove rotte artiche

Il progressivo scioglimento dei ghiacci promette di liberare, oltre ad enormi quantità di risorse energetiche, anche nuove rotte marittime, che modificheranno radicalmente le dinamiche degli scambi commerciali, andando a sostituire quelle tradizionali attualmente esistenti.

carta di Laura Canali

Le carte a colori del QS 2/08 Partita al Polo

Il Canada nell'Artico

Nella corsa all'accaparramento delle risorse ed al controllo delle nuove rotte commerciali, il Canada svolge un ruolo di attore protagonista, avendo posto l'Artico tra le sue priorità geopolitiche.

carta di Laura Canali

Le carte a colori del QS 2/08 Partita al Polo

La Lega anseatica

Storia, cultura e, soprattutto, una forte tradizione all'integrazione economica: questi i fattori che accomunano gli Stati dell'Europa settentrionale, in primis quelli scandinavi, e che si espressero grazie all'esistenza della Lega commerciale anseatica che coprì il Mar Baltico nel XIV e XVI secolo.

carta di Laura Canali

Rubrica Le Russie di Putin (e Medvedev)

Russia e Norvegia provano a spartirsi il Mar di Barents

Nel più generale tentativo di mettere le mani sulle ricchezze polari, Mosca e Oslo imboccano la strada della diplomazia per risolvere dispute e contenziosi secolari.

di Mauro De Bonis

 

 

Limes QS 2/08 in edicola ed in libreria dal 13 giugno

Partita al Polo

L'Artico più caldo apre un nuovo mondo

Usa, Russia e potenze boreali

A caccia di risorse nel Grande Nord

* i Quaderni Speciali non sono inclusi nell'abbonamento

* vai alle carte a colori del Quaderno Speciale

* vai al Focus Partita al Polo

* vai agli altri volumi di Limes

* leggi l'introduzione di Lucio Caracciolo

L'autodistruzione della Cina

L'epicentro del terremoto in Cina è non lontano dalla diga delle Tre gole e dal Progetto idroelettrico di Nujiang, i monumentali simboli della crescita economica cinese ma anche due gravi minacce all'equilibrio ambientale in Cina.

di Alfonso Desiderio - carta di Laura Canali

Archivio vecchio limesonline

Onu: i conflitti per l'acqua

I conflitti legati al cambiamento climatico e all'acqua coinvolgono ad oggi 46 paesi. Protagonisti di questa speciale lotta sono attori statali e non. Questo e molto altro nel recente rapporto realizzato da International Alert, di cui si presenta qui una sintesi (16/04/08).

di Lorenzo Gadaleta

Archivio vecchio limesonline

L'energica Europa

Le grandi ambizioni di Bruxelles. La Commissione vuole energia pulita e punta sulle nuove tecnologie. Per un futuro "a zero carbonio" (28/11/07).

di Cecilia Tosi

Limes n. 6/2007 in edicola ed in libreria dal 23 novembre 2007

Il clima dell'energia

Il tempo che farà

Le guerre dei tubi

L'Italia a rischio

Le carte a colori di Limes 6/07 Il clima dell'energia

Il tempo che farà

Quali conseguenze avranno sulle regioni biogeografiche europee i cambiamenti climatici previsti per il XXI secolo? Una proiezione dell'Agenzia Europea dell'Ambiente.

carta di Laura Canali

Archivio vecchio limesonline

Il deserto avanza in Sicilia

I cambiamenti climatici hanno accelerato la desertificazione dell’isola, come di altre regioni meridionali. Il 27% del territorio italiano è a rischio. L’erosione delle coste, la deforestazione e la pressione migratoria da sud (22/11/07).

di Piero Messina

Archivio vecchio limesonline

Energia e ambiente: cosa può fare la politica

L'energia come motore dell'evoluzione di una società. Accanto agli idrocarburi crescono le fonti rinnovabili. Il tema della sicurezza degli approvvigionamenti e le preoccupazioni ambientali. Servono politiche di lungo respiro e scelte bipartisan (22/11/07).

di Giuseppe Vatinno

Archivio vecchio limesonline

Dove troviamo l’energia? E l’ambiente?

La rubrica settimanale basata sulla rassegna stampa interna di Limes. La rubrica contiene articoli, documenti e approfondimenti, reperiti sulla rete, di valore geopolitico legati all'attualità oppure legati a temi su cui Limes ha lavorato o sta lavorando (19/11/07).

di Livio Zaccagnini

Archivio vecchio limesonline

L’ambiente caldo scalda i cuori

La rubrica settimanale basata sulla rassegna stampa interna di Limes. La rubrica contiene articoli, documenti e approfondimenti, reperiti sulla rete, di valore geopolitico legati all'attualità oppure legati a temi su cui Limes ha lavorato o sta lavorando (08/11/07).

di Livio Zaccagnini

Archivio vecchio limesonline

La scommessa sull'etanolo

Tesina di fine corso del Master in Geopolitica: il Mondo nuovo (edizione 2006-2007) organizzato da SIOI, LiMes e Oltreillimes.

Scarica il PDF (864 KB) (02/07/07).

di Gabor S. de Zagon

Le carte a colori Limes QS 1/06 Tutti giù per terra

Effetto serra

L'effetto serra: l'energia solare, attraverso l'atmosfera, arriva alla superficie terrestre e viene convertita in calore. Questo provoca l'emissione di raggi infrarossi. Parte di quei raggi viene assorbita e riemessa dalle molecole del gas serra.

carta di Laura Canali

Limes QS 1/06

Tutti giù per terra

Cambia il clima, cambia il mondo

O Cindia o noi?

Le guerre ambientali

Le carte a colori Limes QS 1/06 Tutti giù per terra

Dal clima polare a quello arido

Le diverse fasce climatiche e la relativa vegetazione: clima equatoriale umido e foresta. Clima tropicale e savana. Clima arido. Clima temperato. Clima boreale. Clima subpolare e tundra. Clima polare e ghiacciai. Quali conseguenze avranno sulle regioni biogeografiche i cambiamenti climatici?

carta di Laura Canali

Le carte a colori Limes 4/06 Gli imperi del mare

Ghiaccio oggi, acqua domani?

L'oceano Artico e i territori che lo circondano: Alaska, Canada, Groenlandia, Federazione Russa, Paesi scandinavi. Territori fra loro diversi, nei quali la presenza del ghiaccio permanente varia a seconda della latitudine.

carta di Laura Canali

Le carte a colori Limes 3/06 L'Africa a colori

Climi e ambienti

Le diverse aree climatiche del continente africano: dal Mediterraneo agli altopiani, dal tropicale secco a quello umido, dal subtropicale al deserto. Le aree a rischio di desertificazione.

carta di Laura Canali

 

 

 

 

L'UNITA'

per l'articolo completo vai al sito Internet

http://www.unita.it

2009-12-08

Copenaghen, comincia il negoziato sull'ambiente.i Barroso: "L'accordo è possibile, ma non un trattato"

Per il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso a Copenaghen un accordo è possibile, ma è impensabile puntare a un trattato sul clima.

"Credo che non ci sarà un trattato a Copenaghen, non è possibile, non è stato preparato, ci sono alcuni partner che non sono pronti", ha dichiarato Barroso in un'intervista in onda sulla tv francese Canal +. L'obiettivo che ritiene realisticamente realizzabile, e che quindi perseguirà l'esecutivo Ue, spiega, "è un accordo che poi sarà tradotto in termini giuridici, in modo da trasformarlo in trattato".

Quanto all'intesa che il 'realistà Barroso prevede per i prossimi giorni, sarà "sui grandi elementi, in particolare sui limiti ai gas ad effetto serra per i Paesi più industrializzati e anche qualche contributo finanziario per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad adattarsi alla minaccia" dei cambiamenti climatici.

"Bisogna dare l'esempio e l'Europa l'ha fatto", aggiunge Barroso, difendendo l'obiettivo del taglio del 20% dei gas a effetto serra entro il 2020. "E siamo pronti a spingerci anche più in alto se gli altri fanno uno sforzo, cosa che ancora non mi pare stia avvenendo", conclude il presidente della Commissione Ue.

08 dicembre 2009

 

 

 

Gas serra, battaglia sui tagli. Sì del Sudafrica, l’Italia frena

di Marco Mongiellotutti gli articoli dell'autore

"Nelle prossime due settimane questa sarà Hope-naghen", ha esordito ieri il premier danese Lars Loekkke Rasmussen davanti ad una selva di telecamere e un'affollata platea dei delegati venuti da 192 Nazioni, "Il mondo ci guarda".

La trattativaMa i motivi di speranza non vengono dai Paesi sviluppati che, Italia in testa, continuano a mostrarsi prudenti. È dall'altra parte del globo che arrivano in nottata le notizie positive: il presidente del Sudafrica Jacob Zuma ha annunciato di voler ridurre del 34% entro il 2020 e del 42% entro il 2025 la Co2 rispetto alle proiezioni di crescita a politiche inalterate. Un taglio deciso che permetterebbe al Paese di raggiungere il picco delle emissioni tra il 2020 e il 2025, stabilizzarle nel decennio successivo e poi iniziare la discesa.

Degli annunci di tagli alla Co2 arrivano da ogni parte del mondo, ha esultato il ministro dell'Ambiente danese Connie Hedegaard, che guida i negoziati, "la volontà politica non è mai stata così forte come oggi e se perdessimo questa occasione ci vorrebbero anni per tornare a questo punto".

Ma la conferenza "non sarà un successo se non poterà immediatamente ad un'azione significativa", ha ammonito il capo negoziatore dell'Onu, Yves de Boer.

Una studentessa ventiquattrenne delle isole Fiji, Leah Wickham, ha preso la parola per fare un appello ai politici:"Fra cinquant'anni i miei figli si formeranno le loro famiglie. Spero che potranno ancora chiamare casa le nostre bellissime isole".

I livelli del mare sono già aumentati di 17 centimetri, ha ricordato Rajendra Pachauri, il presidente delle migliaia di scienziati dell'Ipcc che studiano il cambiamento climatico. Ma anche oggi ha tenuto banco la polemica sulla presunta manomissione delle email con i dati sul clima da parte di due scienziati e il capo negoziatore saudita, Mohammed al-Sabban, ha chiesto un'indagine indipendente. Le polemiche comunque non sembrano attecchire nel continente africano, dove il cambiamento climatico è avvertito come una drammatica realtà. Il Sudafrica infatti è il primo Paese emergente a definire una tabella di marcia precisa, con un picco per le emissioni assolute, invece di limitarsi ad indicare delle riduzioni in rapporto al Pil come Cina e India. Secondo la responsabile clima del Wwf, Mariagrazia Midulla, quello del Sudafrica "è un segnale forte da parte di un Paese emergente che dovrebbe stimolare i Paesi industrializzati verso target più ambiziosi".

I Paesi ricchi recalcitrantiAl momento sono i ricchi della terra a rappresentare l'ostacolo maggiore sulla strada di un accordo globale che a parole tutti dicono di volere.

"Gli obiettivi di riduzione indicati fino ad oggi dai Paesi sviluppati non sono sufficienti, soprattutto considerando che le loro emissioni hanno continuato a crescere", ha accusato l'ambasciatore sudanese Lumumba Stanislaus-Kaw Di-Aping, a nome dei Paesi del G77. Non basta neanche il 20% di riduzione annunciato dall'Ue perché, hanno spiegato gli ambientalisti, non garantisce un vero cambiamento di modello di sviluppo, soprattutto dopo che la crisi economica ha attenuato gli sforzi necessari a raggiungerlo.

Per questo a Bruxelles, dove ieri si è tenuta la riunione dei ministri degli Esteri europei, è tornata a serpeggiare l'ipotesi di alzare da subito l'asticella al 30% per facilitare un accordo globale, invece di aspettare gli altri come previsto dal mandato negoziale concordato ad ottobre.

A frenare è stata ancora una volta l'Italia. "Vogliamo un accordo vincolante per tutti", ha tagliato corto il ministro Franco Frattini, "lo abbiamo già detto al vertice Ue di ottobre, se c'è un accordo globale si può passare al 30%, se no no".

08 dicembre 2009

 

 

 

Clima, la sfida di Copenhagen

di Daniele Pernigottitutti gli articoli dell'autore

Perché la Conferenza di Copehagen (COP15) è così importante?

A fine 2012 termina il primo periodo di adempimento del Protocollo di Kyoto ed è pertanto necessario negoziare i tagli delle emissioni per il periodo successivo. La mancata definizione di nuovi impegni di riduzione per l’inizio del 2013 sarebbe deleterio per l’efficacia della lotta ai cambiamenti climatici e per il mercato mondiale della CO2. Un accordo a Copenhagen è fondamentale per consentire i tempi tecnici necessari per rendere operativo il nuovo accordo prima della fine del 2012.

Cosa prevede il Protocollo di Kyoto?

Richiede complessivamente ai Paesi sviluppati di tagliare le proprie emissioni del 5% entro il 2012, rispetto ai valori del 1990. Gli USA si sono sottratti a tale obbligo, non ratificando il Protocollo. I Paesi in via di sviluppo, invece, lo hanno sottoscritto ma sono in questa prima fase esclusi da tagli vincolanti delle emissioni.

Cos’è l’UNFCCC?

È la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, definita nel 1992 a Rio de Janeiro. L’UNFCCC contiene i principi e gli indirizzi che la comunità internazionale ha deciso di adottare per affrontare i cambiamenti climatici. Gli incontri annuali dell’UNFCCC, chiamati "COP", rappresentano l’unico ambito titolato a concordare e modificare le azioni e i trattati futuri, come avvenne nel 1997 con il Protocollo di Kyoto.

Come sono strutturati i lavori?

Esistono due tavoli negoziali indipendenti. Il KP è quello deputato a definire i nuovi vincoli di riduzione per i Paesi sviluppati che hanno aderito al Protocollo di Kyoto. Quello LCA, stabilito a Bali nel 2007, vuole invece stabilire degli obblighi per tutti i paesi sviluppati (inclusi gli USA) e le azioni che dovrebbero essere attuate dai Paesi in via di sviluppo per contribuire alla riduzione delle emissioni mondiali di gas serra.

Quali sono i possibili obiettivi per un accordo a Copenhagen?

Il IV Rapporto sui cambiamenti climatici dell’IPCC, il gruppo di scienziati di tutto il mondo che opera sotto il cappello ONU, ha presentato un chiaro scenario. Per contenere i possibili danni del riscaldamento globale sotto una soglia accettabile è necessario che l’innalzamento di temperatura (oggi pari a circa 0,75 °C) non superi i 2°C e per fare questo la concentrazione di CO2 in atmosfera (attualmente pari a 385 ppm) non deve superare i 450 ppm.

Quali nuovi impegni attendersi dai Paesi sviluppati (PS)?

Per mantenere la concentrazione di CO2 sotto i 450 ppm, gli scienziati dell’IPCC chiedono la riduzione entro il 2020 delle emissioni dei PS del 25-40% ed entro il 2050 dell’80%, tenendo come anno di confronto il 1990. Sull’obiettivo di lungo periodo esiste un largo consenso, ma l’accordo è difficile su quello al 2020. Ad esempio, l’obiettivo -17% proposto dagli USA è riferito al 2005 e se ricalcolato rispetto al 1990 è pari solo al -4% (il Protocollo di Kyoto prevedeva che gli USA raggiungessero il -7% entro il 2012).

Quali nuovi impegni attendersi dai Paesi in via di sviluppo (PVS)?

Non avendo i PVS completato il loro percorso di sviluppo economico e di lotta alla povertà non è pensabile attribuire loro degli obiettivi assoluti di riduzione delle emissioni. Il IV rapporto IPCC prevede invece che essi operino per la realizzazione di un percorso di sviluppo a minore contenuto di carbonio. È così ipotizzato che essi riducano la loro intensità di carbonio (emissioni di CO2/PIL) del 15-30% entro il 2020.

Vi sono altri punti sono in discussione?

I due tavoli KP e LCA intendono anche trovare come facilitare il trasferimento di tecnologie pulite a favore dei paesi in via di sviluppo e di promuovere l’adozione di misure di adattamento, soprattutto per i Paesi in via di sviluppo, in grado di ridurre l’impatto causato dai cambiamenti climatici.

È prevista la creazione di strumenti legati alle foreste?

Storicamente gli interventi sulle foreste sono stati rivolti alle azioni di riforestazione, laddove le foreste erano precedentemente state distrutte. Da Copenhagen dovrà invece uscire un nuovo strumento, denominato REDD, in grado di proteggere le foreste esistenti. Queste vengono di fatto ad acquisire il valore di capitale mondiale per la protezione del clima dell’intero pianeta, anziché di aree a scarso valore economico per il paese che le ospita.

Chi si accollerà l’onere economico di tutti questi interventi?

I Paesi sviluppati sono chiamati a contribuire in modo principale alla creazione di un fondo in grado di supportare i Paesi in via di sviluppo, soprattutto quelli cosiddetti "meno sviluppati". Il fondo dovrà essere immediatamente operativo e costituito anche grazie a sistemi di tassazione del mercato della CO2. Ad oggi il consenso maggiore è perché esso venga gestito direttamente all’interno dell’UNFCCC.

05 dicembre 2009

 

 

 

Temperatura, mari e gas serra Le prove del disastro clima

di Pietro Grecotutti gli articoli dell'autore

La quindicesima Conferenza delle parti che hanno sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici che si apre oggi a Copenaghen ha unavalenza politica. I rappresentanti di quasi duecento diversi Paesi dovranno decidere se ecomecontrastare i mutamenti in atto del sistema climatico del pianeta Terra.Mala decisione politica si fonda su fatti e previsioni strettamente scientifici. I fatti, inoppugnabili, che riguardano per così dire la dinamica del clima sono almeno due. La temperatura media alla superficie del pianeta Terra è già aumentata: oggi è più alta di circa 0,8 °C rispetto a un secolo fa. Il livello medio dei mari è aumentato, in questo stesso periodo, di una ventina di centimetri. A questi due fatti inoppugnabili se ne accompagnano almeno altri due misurabili con minore precisione, ma del tutto congruenti. I ghiacciai, in tutto il mondo, si stanno sciogliendo: in Antartide, in Groenlandia, sulle grandi catene montuose. Inoltre negli ultimi decenni è aumentata la frequenza degli eventi meteorologici estremi, come gli uragani. C’è un altro fatto, inoppugnabile, che riguarda la composizione chimica dell’atmosfera: la presenza in atmosfera di biossido di carbonio è aumentata del 30% rispetto all’epoca pre-industriale. Allo stesso modo è aumentata la presenza in atmosfera di altre sostanze, come il metano e il protossido di azoto. Mentre ne sono apparse alcune sintetizzate dall’uomo e sconosciute in natura: come i clorofluorocarburi. Tutti questi gas sono noti ai chimici e ai fisici come "gas serra" per la loro capacità di assorbire la radiazione infrarossa e, quindi, il calore proveniente dalla Terra.

Da questi fatti certi è possibile trarre alcune conclusioni e fare alcune previsioni. La teoria del clima prevede, infatti, che queste due classi di fatti che abbiamo ricordano non sono indipendenti. Temperatura e presenza di gas serra in atmosfera sono correlati. Meno certo è il rapporto di causa ed effetto: è l’aumento di gas serra che determina l’aumento della temperatura o succede (anche) il contrario, una maggiore temperatura determina una maggiore presenza di gas serra in atmosfera? Ci sono alcuni fattori che possonodeterminare l’aumento della temperatura media alla superficie del pianeta Terra. Il primo è l’aumento dell’energia radiante proveniente dal Sole. Più di recente si è messo in luce anche l’azione dei raggi cosmici provenienti dallo spazio profondo. Gli scienziatihanno studiato la variazione dell’attività solare e del flusso di raggi cosmici negli ultimi due secoli e, in particolare, negli ultimi decenni e hanno concluso che i cambiamenti di questo "fattori cosmici" non è in grado di spiegare l’aumento della temperatura media del pianeta.

Ci deve essere un’altra causa, probabilmente "terrestre". Anche in questo caso tutte le cause naturali non sono in grado di spiegare né i cambiamenti del clima né la variazione della composizione atmosferica. La causa di gran lunga più probabile sembra essere quella antropica. I gas serra in atmosfera sono aumentati a causa di alcune attività umane (uso dei combustibili fossili, deforestazioni, attività agricole e industriali). Ciò ha determinato l’aumento della temperatura e, di conseguenza, l’aumento del livello dei mari.Sulla base di questa teoria, tutti i diversi modelli di previsione al calcolatore ci dicono sostanzialmente che le emissioni antropiche di gas serra in atmosfera continueranno ad aumentare, anche la temperatura media del pianeta lo farà. Anzi, se noi bloccassimo oggi tutte le emissioni antropiche di gas serra, per inerzia nei prossimi decenni la temperatura aumenterà ancora di un grado. Manoi siamo ben lontani dal blocco. Anzi, dal 1992a oggi le emissioni antropiche di gas serra sono aumentate del 30% e negli ultimi anni l’aumento è stato più accelerato che mai. Con questo ritmo, alla fine del secolo la temperatura potrebbe essere più alta di 2 o addirittura, nel caso dello scenario peggiore di 6 gradi rispetto all’epoca pre-industriale. Un’enormità. Di qui due esigenze, complementari. Prevenire le emissioni e cercare di contenere l’aumento della temperatura entro i 2 gradi, abbattendo almeno del50%le emissioni globali entro il 2050. Iniziare ad adattarsi a una pianeta con una temperatura media ancora più alta dell’attuale. Di questo si discuterà a Copenaghen.

07 dicembre 2009

 

 

 

 

Il punto - I dieci milioni di Tck, tck, tck

di Daniele Pernigottitutti gli articoli dell'autore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

"Basta parlare. Abbiamo bisogno di un accordo equo, ambizioso e legalmente vincolante". Servono gli applausi per incoraggiare la giovane rappresentante delle Isole Figi a continuare tra le lacrime e con un filo di voce. "Noi vogliamo salvare la nostra cultura e la nostra identità". L’occasione è la simbolica consegna a Yvo de Boer e Connie Hedegaard, padroni di casa alla conferenza del clima di Copenhagen, della richiesta di azione dei 10.000.000 di aderenti al movimento Tck, tck, tck, nato per ricordare l’inesorabile scorrere del tempo in visione del possibile accordo a Copenhagen.

Medesimo senso di urgenza presente nel filmato di apertura della conferenza, in grado di ammutolire in un attimo i quasi 1.000 giornalisti presenti in sala stampa. Una bambina danese si trova improvvisamente circondata dalla terra rotta per la siccità, poi da uragani ed inondazioni. Si tratta per fortuna solo di un incubo, segnale però della crescente consapevolezza che le nuove generazioni hanno rispetto alla gravità del clima che cambia, spesso affrontato con superficialità dagli adulti di oggi.

Assume così forza l’invito della Hedegaard affinché il pubblico svolga un’azione di pressione nei confronti dei propri politici. Forza che la Ministro uscente del clima danese, politico stimato anche dagli elettori dell’opposto schieramento, ha saputo dimostrare di avere fin dal primo momento nel chiedere ora un accordo, perché l’attenzione non è mai stata così alta e ritardare non servirebbe a niente. Nel frattempo la Ue esce allo scoperto e fa sapere che Cina ed USA conoscono esattamente le richieste europee per aumentare il proprio impegno dal 20% al 30% per il 2020. Gli USA rispondono che loro spingono per una seria visione di lungo periodo al 2050. Copenhagen è appena iniziato, ma stavolta sembra che si faccia davvero sul serio.

08 dicembre 2009

 

 

2009-12-07

Clima, la sfida di Copenaghen Al via il vertice

di Marco Mongiellotutti gli articoli dell'autore

Anno 2009. Il pianeta Terra è a rischio autodistruzione a causa dell'inquinamento atmosferico e del conseguente aumento della temperatura. Nei capannoni di un centro congressi alla periferia di Copenhagen i rappresentanti politici di tutto il pianeta si incontrano per cercare di concordare una riduzione delle emissioni di gas serra, mentre le telecamere rimbalzano le immagini del summit ai quattro angoli del globo, tra i grattacieli scintillanti delle metropoli ricche e inquinanti e tra le baraccopoli delle regioni già sconvolte da uragani, alluvioni e siccità di un clima impazzito.

NON È FANTASCIENZA

Potrebbe sembrare l'inizio di un racconto di fantascienza ma è la realtà di quanto sta avvenendo nel mondo e nella capitale danese, dove si è aperta oggi la conferenza Onu sul cambiamento climatico. Davanti al Bella Center, dove si tiene il vertice, un vento gelido fa girare una grande turbina eolica, che servirà a limitare le emissioni di Co2 prodotte dal mega evento. Nei dodici giorni del vertice arriveranno qui circa 30 mila persone, tra cui 16 mila delegati e oltre cento capi di Stato e di Governo, incluso il presidente americano Barack Obama, che ha fatto sapere all'ultimo che sarà presente il 18, l'ultima e decisiva giornata, invece che solamente il 9 come era stato annunciato in precedenza. Un segnale che negli arrugginiti ingranaggi della diplomazia internazionale qualcosa si sta muovendo. Per l'Italia invece arriverà il 16 un recalcitrante Silvio Berlusconi, che negli ultimi due anni ha firmato controvoglia gli impegni ambientali dell'Unione europea, invocando "pragmatismo" e lamentandosi dei costi dell'attuale protocollo di Kyoto. "L'Italia sta con l'Ue, poi discutiamo, ma andiamo con un disegno condiviso", ha assicurato ieri il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, presente per seguire il negoziato giorno per giorno. "Entro due settimane da lunedì i Governi devono dare una risposta adeguata alla sfida urgente del cambiamento climatico", ha ricordato ieri il responsabile delle Nazioni Unite per i negoziati sul clima Yvo de Boer. L'obiettivo, accettato dalle 192 delegazioni nazionali presenti, è quello di limitare a due gradi l'innalzamento della temperatura terrestre per contenere le conseguenze catastrofiche prima che diventino irreversibili.

L’INTESA POLITICA

Ormai si sa che dal vertice non uscirà un trattato internazionale giuridicamente vincolante,comee ra previsto dalla tabella di marcia concordata a Bali due anni fa, ma un accordo politico che potrebbe comunque sbloccare l'impasse. La griglia di partenza vede l'Unione europea in testa con un 20% di riduzione delle emissioni entro il 2020 e rispetto al 1990. Obiettivo già approvato e pronto a diventare il 30%. Gli Stati Uniti per ora hanno concesso il 4%, Cina e India si sono rifiutati di parlare di riduzioni assolute e hanno promesso riduzioni delle emissioni solo in rapporto alla crescita del Pil, in misura di rispettivamente il 40-45% e del 24%. Il Giappone ha annunciato il taglio del 25% della Co2. "Mai in 17 anni di negoziati sul clima così tante differenti nazioni hanno fatto insieme così tante promesse concrete", ha sottolineato de Boer, "Copenhagen è già un punto di svolta nella risposta internazionale al cambiamento climatico". Ma, nonostante l'ottimismo mostrato dai politici, la delusione delle associazioni e della società civile per la modestia degli impegni è forte e le autorità di Copenhagen temono le ripercussioni nelle manifestazioni che si terranno durante il vertice. La tensione resta alta. Ieri una valigia incustodita ha fatto scattare le misure di sicurezza e per una mezz'ora sono stati chiusi gli accessi al Bella Center, dove si tiene e alle entrate della stazione della metropolitana adiacente.

07 dicembre 2009

 

 

 

Temperatura, mari e gas serra Le prove del disastro clima

di Pietro Grecotutti gli articoli dell'autore

La quindicesima Conferenza delle parti che hanno sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici che si apre oggi a Copenaghen ha unavalenza politica. I rappresentanti di quasi duecento diversi Paesi dovranno decidere se ecomecontrastare i mutamenti in atto del sistema climatico del pianeta Terra.Mala decisione politica si fonda su fatti e previsioni strettamente scientifici. I fatti, inoppugnabili, che riguardano per così dire la dinamica del clima sono almeno due. La temperatura media alla superficie del pianeta Terra è già aumentata: oggi è più alta di circa 0,8 °C rispetto a un secolo fa. Il livello medio dei mari è aumentato, in questo stesso periodo, di una ventina di centimetri. A questi due fatti inoppugnabili se ne accompagnano almeno altri due misurabili con minore precisione, ma del tutto congruenti. I ghiacciai, in tutto il mondo, si stanno sciogliendo: in Antartide, in Groenlandia, sulle grandi catene montuose. Inoltre negli ultimi decenni è aumentata la frequenza degli eventi meteorologici estremi, come gli uragani. C’è un altro fatto, inoppugnabile, che riguarda la composizione chimica dell’atmosfera: la presenza in atmosfera di biossido di carbonio è aumentata del 30% rispetto all’epoca pre-industriale. Allo stesso modo è aumentata la presenza in atmosfera di altre sostanze, come il metano e il protossido di azoto. Mentre ne sono apparse alcune sintetizzate dall’uomo e sconosciute in natura: come i clorofluorocarburi. Tutti questi gas sono noti ai chimici e ai fisici come "gas serra" per la loro capacità di assorbire la radiazione infrarossa e, quindi, il calore proveniente dalla Terra.

Da questi fatti certi è possibile trarre alcune conclusioni e fare alcune previsioni. La teoria del clima prevede, infatti, che queste due classi di fatti che abbiamo ricordano non sono indipendenti. Temperatura e presenza di gas serra in atmosfera sono correlati. Meno certo è il rapporto di causa ed effetto: è l’aumento di gas serra che determina l’aumento della temperatura o succede (anche) il contrario, una maggiore temperatura determina una maggiore presenza di gas serra in atmosfera? Ci sono alcuni fattori che possonodeterminare l’aumento della temperatura media alla superficie del pianeta Terra. Il primo è l’aumento dell’energia radiante proveniente dal Sole. Più di recente si è messo in luce anche l’azione dei raggi cosmici provenienti dallo spazio profondo. Gli scienziatihanno studiato la variazione dell’attività solare e del flusso di raggi cosmici negli ultimi due secoli e, in particolare, negli ultimi decenni e hanno concluso che i cambiamenti di questo "fattori cosmici" non è in grado di spiegare l’aumento della temperatura media del pianeta.

Ci deve essere un’altra causa, probabilmente "terrestre". Anche in questo caso tutte le cause naturali non sono in grado di spiegare né i cambiamenti del clima né la variazione della composizione atmosferica. La causa di gran lunga più probabile sembra essere quella antropica. I gas serra in atmosfera sono aumentati a causa di alcune attività umane (uso dei combustibili fossili, deforestazioni, attività agricole e industriali). Ciò ha determinato l’aumento della temperatura e, di conseguenza, l’aumento del livello dei mari.Sulla base di questa teoria, tutti i diversi modelli di previsione al calcolatore ci dicono sostanzialmente che le emissioni antropiche di gas serra in atmosfera continueranno ad aumentare, anche la temperatura media del pianeta lo farà. Anzi, se noi bloccassimo oggi tutte le emissioni antropiche di gas serra, per inerzia nei prossimi decenni la temperatura aumenterà ancora di un grado. Manoi siamo ben lontani dal blocco. Anzi, dal 1992a oggi le emissioni antropiche di gas serra sono aumentate del 30% e negli ultimi anni l’aumento è stato più accelerato che mai. Con questo ritmo, alla fine del secolo la temperatura potrebbe essere più alta di 2 o addirittura, nel caso dello scenario peggiore di 6 gradi rispetto all’epoca pre-industriale. Un’enormità. Di qui due esigenze, complementari. Prevenire le emissioni e cercare di contenere l’aumento della temperatura entro i 2 gradi, abbattendo almeno del50%le emissioni globali entro il 2050. Iniziare ad adattarsi a una pianeta con una temperatura media ancora più alta dell’attuale. Di questo si discuterà a Copenaghen.

07 dicembre 2009

 

 

 

 

il SOLE 24 ORE

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2009-12-08

Gli Stati Uniti aprono sul clima. Rasmussen: "Possiamo farcela, l'accordo è vicino"

di Marco Magrini

8 novembre 2009

La più bella notizia, al vertice climatico delle Nazioni Unite che si è aperto ieri a Copenhagen, è venuta da Washington. Lisa Jackson, la presidente dell'Epa, la Environmental protection agency, ha convocato all'ultimo minuto una conferenza stampa per annunciare che l'anidride carbonica rappresenta un danno per la salute. Un passo che prelude a imminenti regolamentazioni sulle emissioni di gas serra per le nuove automobili in vendita e i nuovi stabilimenti industriali in costruzione, anche in assenza dell'apposita legge ferma al Senato.

Che la decisione dell'Epa sia arrivata proprio ieri, mentre nella capitale danese si apriva il sipario su questo summit così cruciale, è un chiaro segnale politico. "Abbiamo preso più iniziative contro il riscaldamento globale negli ultimi undici mesi che negli otto anni passati", ha detto la Jackson durante la conferenza stampa a Washington, vista in webcast anche a Copenhagen. L'esplicito riferimento è al doppio mandato dell'amministrazione Bush, che aveva puntualmente messo i bastoni fra le ruote degli ultimi otto vertici Onu.

La conferenza stampa a orologeria della Jackson è un segnale politico che Barack Obama manda agli altri 191 paesi del mondo: gli Stati Uniti ci sono. La mancata approvazione del Climate Change Bill, promesso in campagna elettorale e poi arenatosi in Senato, era stata sin qui la più brutta notizia per l'intero processo diplomatico pre-Copenhagen: era la prova che i soliti Stati Uniti, la nazione energivora che ha emissioni procapite doppie di quelle europee, il paese che ha firmato il Protocollo di Kyoto senza neppure presentarlo al Congresso per la ratifica, non sanno mantenere le promesse.

Se Obama aveva spostato la sua apparizione a Copenhagen da domani (con il vertice appena cominciato e la possibilità di fare solo un accorato appello) a venerdì 18, la giornata conclusiva, un motivo doveva pur esserci. Il presidente deve mantenere le sue promesse. Negli Stati Uniti, l'opposizione repubblicana ha subito cominciato a strepitare, sostenendo che in questo modo viene aggirato il Congresso. Ma a Copenhagen, c'è chi ha accolto le notizie da Washington come una bella speranza in più per il successo del vertice.

"Possiamo farcela, un accordo è vicino", ha detto il primo ministro danese Lars Lökke Rasmussen alla cerimonia di apertura del vertice, "per due settimane questa sarà Hopenhagen, perché, alla fine dobbiamo riuscire a dare al mondo quel che noi abbiamo già oggi: hope, la speranza di un futuro migliore".

Rajendra Pachauri, il presidente dell'Ipcc, il consesso di scienziati che è finito sotto accusa per la presunta manipolazione dei dati climatici, a causa di una collezione di e-mail trafugate all'università inglese dell'East Anglia, è stato risoluto. Ha detto che l'obbiettivo condiviso del vertice – non far salire la temperatura media di oltre 2 gradi centigradi – potrebbe non essere abbastanza, per evitare un aumento nel livello dei mari che potrebbe sommergere paesi come le Maldive o parte di altri come il Bangladesh. E poi, ovviamente, ha spezzato una lancia per il buon nome dell'Ipcc. "La coerenza di molteplici prove scientifiche – ha detto – conferma la qualità del lavoro della comunità scientifica".

Ovviamente, la partita è solo cominciata. Dopo l'annuncio a sorpresa di Washington, potrebbero arrivarne altri da Bruxelles. L'Unione europea, che sin qui è stata la paladina e l'animatrice degli annuali vertici climatici, a Copenhagen potrebbe rischiare di restare diplomaticamente schiacciata fra gli Stati Uniti e la Cina. A meno che non rilanci. "L'Unione europea – ha detto il ministro svedese Andreas Calgren, ora che Stoccolma è presidente di turno – è pronta ad aumentare dal 20 al 30% il proprio impegno di riduzione dei gas serra, ma occorre che gli altri portino qualcos'altro sul tavolo". Secondo il Financial Times, l'Europa sarebbe pronta a offrire fra uno e tre miliardi di euro nel triennio 2010-2012 per l'adattamento di paesi poveri agli effetti del cambiamento climatico.

La posta in gioco – la progressiva riconversione energetica del pianeta – è così alta, che le sorprese diplomatiche sono già previste in programma. "I negoziatori – ha detto ieri Yvo De Boer, il segretario generale dell'Unfccc, la convenzione Onu che organizza i vertici climatici – hanno il più chiaro segnale possibile dai leader del mondo: solide proposte per implementare una rapida azione. Mai, in 17 anni di negoziati sul clima, così tante nazioni avevano annunciato così tanti impegni. Così, mentre ci saranno ancora molti passi da fare su questa strada, Copenhagen è già oggi il momento-chiave nella risposta internazionale ai cambiamenti climatici".

La partita è solo cominciata. Ma gli Stati Uniti hanno bussato. Ci sono.

8 novembre 2009

 

 

 

 

Usa e Ue condannati all'intesa

di Stuart Eizenstat

8 novembre 2009

Il presidente Barack Obama ha definito il cambiamento del clima una delle sfide più importanti della nostra epoca e sta esercitando pressioni per far approvare una legge che instauri il sistema cap-and-trade a livello interno; allo stesso tempo sta cercando di dare nuovo impulso all'impegno degli Stati Uniti nei negoziati delle Nazioni Unite.

Questo atteggiamento diverso non significa che Usa e l'Ue adesso siano d'accordo su come contrastare il cambiamento del clima. Malgrado una convergenza di massima su obiettivi a lungo termine - una riduzione prossima all'80% delle emissioni di biossido di carbonio entro il 2050 -, sussistono ostacoli non indifferenti da superare e per entrambi è necessaria una vera leadership per evitare che a Copenhagen si rischi l'insuccesso.

Unione europea e Stati Uniiti partono da posizioni molto diverse. Quando l'Ue ratificò il Protocollo di Kyoto, si impegnò a tagliare entro l'anno 2012 le emissioni di CO2 nella misura dell'8% rispetto ai livelli del 1990. Gli Usa non sottoscrissero gli impegni di Kyoto, e già nel 2005 le loro emissioni di gas serra di fatto aumentarono del 19% rispetto al 1990, mentre le emissioni degli allora 15 paesi dell'Ue nello stesso periodo aumentarono dell'8%.

Uno sguardo più attento alle cifre dimostra che buona parte della performance dell'Ue non è dovuta a pianificazione. Poiché il punto di riferimento del 1990 assunto a Kyoto coincideva con la riunificazione della Germania, le emissioni della Germania Est di fatto poterono essere incluse nei dati di riferimento iniziali dell'Ue. In quegli stessi anni cambiò anche la politica energetica britannica, che passò dallo sfruttamento del carbone all'uso di gas naturale del Mare del Nord. Se Regno Unito e Germania fossero escluse dai dati rilevati nel periodo 1990-2005, le emissioni dei 13 paesi Ue risulterebbero aumentate del 24%.

Ne consegue che la differenza principale tra Usa e Ue non è l'adesione al Protocollo di Kyoto e non sono nemmeno le politiche per il clima varate in Europa, bensì fattori esterni. L'Agenzia europea per l'ambiente sostiene che l'Ue rispetterà gli obiettivi che si è prefissata alla scadenza del 2012. Per riuscirci, però, l'Ue dovrà ricorrere alla riforestazione e ad altri meccanismi stabiliti a Kyoto - come lo scambio commerciale dei permessi di emissione - ai quali in origine l'Ue si era opposta.

Secondo: gli obiettivi di riduzione delle emissioni proposti dall'amministrazione Obama sono il massimo che il Congresso sarà disposto a sottoscrivere, in ogni caso ben lontani dall'impegno assunto dall'Ue. Nel budget federale di Obama si fissa la soglia delle riduzioni intorno al 14% rispetto ai livelli del 2005 da raggiungere entro il 2020, con un taglio dell'83% da concretizzare entro il 2050. La legge Waxman-Markey, approvata con esiguo margine di vantaggio dalla Camera nell'estate del 2009, in sostanza adotta le linee volute dalla Casa Bianca. Ma la legge che il Congresso finirà per approvare avrà obiettivi meno ambiziosi. Gli Stati Uniti sono quindi arrivati alla conferenza di Copenhagen con propositi e un punto di riferimento diversi da quelli europei.

L'Ue deve anche considerare che una compatta falange di senatori americani è decisa a stroncare qualsiasi legge vincolante obbligatoria sul clima e che la crisi globale ha creato lo scenario peggiore per gravare con un ulteriore onere finanziario le aziende e le famiglie. Io credo che il Congresso finirà con approvare una legge con cap-and-trade obbligatorio, ma è verosimile che ciò avvenga l'anno prossimo e che si tratti di qualcosa di inferiore agli obiettivi dell'Ue. Oltretutto, a Copenhagen Obama difficilmente accetterà un accordo vincolante che fissi obiettivi più ambiziosi rispetto a quelli stabiliti dal Congresso. Né l'Amministrazione riuscirà a raccogliere un supporto di due terzi di voti del Senato a favore di un accordo post-Kyoto senza un parallelo impegno altrettanto vincolante da parte di Cina e India. La Cina si è già imposta rigidi parametri energetici a livello interno, ma non sarà d'accordo a firmare ancor più restrittivi target di riduzione delle emissioni. Esiste il rischio che lo scotto da pagare per far approvare una legge interna Usa cap-and-trade possa consistere in sanzioni commerciali da applicare ai paesi emergenti che inquinano di più e rifiutano di accettare limiti obbligatori più restrittivi.

Ci sono modi per evitare un conflitto tra Ue e Usa a Copenhagen. Un contatto continuo con i massimi funzionari dell'amministrazione Obama aiuterà l'Unione europea a comprendere le concessioni possibili, e sforzi concertati tra Ue e Usa si riveleranno essenziali per persuadere i paesi in via di sviluppo come Cina e India a dare un loro contributo sostanziale per il raggiungimento di un'intesa. Il problema non è solo della concorrenza tra aziende americane ed europee: per evitare che si verifichino aumenti della temperatura pericolosi è indispensabile che i paesi in via di sviluppo prendano serie iniziative.

Il trattato di Rio del 1992 aveva già confermato la necessità di interventi "comuni ma differenziati" da parte dei paesi in via di sviluppo. Mentre Cina e altri paesi in via di sviluppo possono chiedere un trasferimento delle tecnologie dalle nazioni industrializzate, l'Ue e gli Usa possono ribadire che ciò non deve andare a discapito della proprietà intellettuale. Ancor più importante, ciascun partecipante dovrebbe assumersi l'impegno di far fronte ai propri obiettivi, e di fare il possibile perché tutti insieme pervengano a quel livello di riduzione delle emissioni che gli scienziati ritengono indispensabile. Ciò è in contrasto con Kyoto, dove i paesi sviluppati adottarono obiettivi identici. Un cambiamento difficile da adottare per l'Ue, in quanto le sue aziende dovranno rispettare una serie di parametri molto più rigidi di quelli della concorrenza negli Stati Uniti o altrove. Viste le circostanze questo è il meglio che possiamo augurarci.

Gli atteggiamenti degli americani sul cambiamento climatico si sono evoluti sotto l'amministrazione Obama, ma le realtà politiche limiteranno i progressi che gli Usa potranno fare a Copenhagen e nel periodo successivo. Quanto prima queste limitazioni saranno prese in considerazione, tanto maggiori saranno le probabilità di raggiungere un significativo accordo. Benjamin Franklin disse una volta ai coloni americani: "Dobbiamo stare assieme o fineremo insieme". E la stessa cosa vale oggi per Stati Uniti e Unione Europea.

© Project Syndicate, 2009

(traduzione di Anna Bissanti)

L'autore è stato caponegoziatore Usa a Kyoto e sottosegretario di Stato nella amministrazione Clinton

8 novembre 2009

 

 

 

 

 

Agire costa meno che non fare nulla

di Nicholas Stern

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8 dicembre 2009

Il pericolo dei cambiamenti climatici non risiede unicamente, e nemmeno prevalentemente, nell'innalzamento della temperatura. La gran parte dei danni è riconducibile all'acqua o alla mancanza di acqua: temporali, siccità, inondazioni, innalzamento dei mari. I livelli di riscaldamento a cui rischiamo di andare incontro sarebbero profondamente nocivi per tutti i paesi del mondo, ricchi e poveri. Una trasformazione della geografia fisica del pianeta cambia anche la geografia umana, dove viviamo e come viviamo.

Non sappiamo con certezza di quanto aumenterà la temperatura globale se le cose resteranno come sono. Qui, per illustrare i rischi, ho optato per uno scenario di 5°C in più, perché pare che ci sia un 50% di probabilità che alla fine la temperatura cresca in questa misura, se proseguiamo con i ritmi di crescita attuali o se lasciamo le cose come stanno. Un aumento di 5°C sarebbe devastante, ma purtroppo ci sono buone probabilità che sia superiore ai 6°C o più nel prossimo secolo. E anche con una stima molto ottimistica delle conseguenze di un non intervento, ci dobbiamo comunque attendere un aumento della temperatura intorno ai 4°C, cosa che produrrebbe comunque effetti estremamente dannosi perché innescherebbe dinamiche di instabilità che non possiamo ancora capire fino in fondo.

La gravità di un incremento 5°C risulta evidente se pensiamo che nell'ultima glaciazione, circa 10mila anni fa, il pianeta era di 5°C più freddo di adesso. Gran parte del nord Europa, del nord America e delle zone situate a latitudini corrispondenti erano sepolti sotto centinaia di metri di ghiaccio, e gli esseri umani vivevano concentrati molto più vicino all'equatore. Dobbiamo tornare indietro dai 30 ai 50 milioni di anni, fino all'Eocene, per trovare temperature più alte di 5°C rispetto a quelle di prima dell'era industriale: in quell'epoca, le terre emerse erano costituite soprattutto da foreste paludose. Incrementi della temperatura di questa entità, e i cambiamenti climatici che ne conseguono, determinano dislocazioni massicce, danno vita a nuove, colossali vulnerabilità e ridisegnano gli schemi di insediamento. Non si tratta della differenza climatica che c'è fra Stoccolma e Madrid, non basterà un po' più di aria condizionata e un po' più di argini per difenderci dalle inondazioni.

Ma nutro ancora delle speranze. Questi enormi rischi possono essere ridotti in modo drastico, con un costo ragionevole, ma soltanto se ci muoviamo insieme, seguendo delle politiche chiare e ben strutturate, a cominciare da adesso. Agire costa molto meno che non fare niente; in altre parole, indugiare diventerebbe una strategia anticrescita. Il mondo a basse emissioni che dobbiamo e possiamo creare sarà molto più attraente del non fare nulla. La crescita non solo sarà sostenuta, ma sarà più pulita, meno frenetica e con maggiore biodiversità. Conosciamo molte delle tecnologie necessarie e ne inventeremo di nuove, e possiamo progettare le strutture economiche, politiche e sociali che ci porteranno a questo risultato. Abbiamo bisogno di analisi chiare, impegno ad agire e spirito di collaborazione. Non è economicamente necessario, e nemmeno eticamente responsabile, fermare o ridurre drasticamente la crescita per gestire i cambiamenti climatici. Senza una crescita forte sarà estremamente difficile per i poveri dei paesi in via di sviluppo uscire dalla povertà, e non dobbiamo combattere i cambiamenti climatici a danno del loro futuro. Oltretutto, sarebbe politicamente molto difficile ottenere un consenso popolare alla lotta ai cambiamenti climatici dicendo alla gente che deve scegliere tra crescita e responsabilità ambientale. Sarebbe non solo errato dal punto di vista dell'analisi, ma porrebbe anche grandi difficoltà dal punto di vista etico e risulterebbe talmente distruttivo politicamente che si risolverebbe in un fallimento.

Questo non significa sostenere che il mondo possa continuare a crescere in maniera indefinita. Non è nemmeno chiaro che cosa includerebbe un'affermazione del genere; società, tenore di vita, metodi di produzione e consumo, tutto evolve e si trasforma. L'immagine di un'espansione indefinita è una rappresentazione del futuro che non è plausibile, ma due cose sono fondamentali: primo, trovare un modo per incrementare il tenore di vita (comprese salute, istruzione e libertà) per debellare la povertà nel mondo; secondo, scoprire modi di vivere che siano sostenibili nel tempo, specialmente in relazione all'ambiente. Una crescita forte, del tipo giusto, sarà necessaria e fattibile per molti decenni.

(Traduzione di Gaia Seller)

L'autore è presidente dell'Istituto Graham per i cambiamenti climatici e l'ambiente della London School of Economics. Il brano che riportiamo è tratto dal libro The Global Deal

8 dicembre 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2009-12-07

Al via il vertice di Copenhagen,

Cina India e Brasile compatti

7 dicembre 2009

VIDEO / Al vertice arriva la catastrofe. In un video l'appello dei bambini

VIDEO / La diretta del vertice

VIDEO / 350.org, le modelle si spogliano contro il riscaldamento globale

Clima: 10 temi per capire la posta in gioco a Copenhagen

Segui il vertice sul Twitter 24 Copenhagen

Photogallery / I cortei per il clima nel mondo

La guida ai luoghi "green" di Copenhagen

Le speranze dell'umanità guardano a Copenaghen. Si è aperto ufficialmente il vertice storico sul clima sotto l'egida dell'Onu. La 15/a Conferenza della Convenzione Onu sui cambiamenti climatici (Cop15) riunita per due settimane nella capitale danese ha la responsabilità di arrivare, il 18 dicembre prossimo, a un accordo per fermare la febbre del Pianeta. Due settimane di tempo in cui i 192 paesi presenti dovranno trovare un'intesa. Vertice storico proprio perchè alta è l'attenzione e la partecipazione mondiale con 110 capi di stato e di governo che confluiranno a Copenaghen gli ultimi due giorni di vertice, al momento delle decisioni. Intanto novità per possibili aperture arrivano da India, Cina e Brasile che avrebbero raggiunto un accordo comune per lavorare a un testo a Copenaghen mentre anche il Sudafrica si dà dei limiti.

Ma oggi è il giorno degli appelli e dello sprint iniziale da parte dei rappresentanti Onu e degli scienziati. Grande anche l' impronta per i lavori dettata dai padroni di casa, i danesi.

In particolare il premier danese Lars Loekke Rasmussen ha detto che "possiamo cambiare e dobbiamo cambiare" chiamando tutti a contribuire, a essere realistici e flessibili. In ballo qui a Copenaghen, ci sono "le speranze dell'umanità".

"Il tempo è scaduto, è arrivato il momento di unirci", ha detto il capo negoziatore per l'Onu, il segretario generale della Convenzione sui cambiamenti climatici Yvo de Boer alla cerimonia di apertura del maxi vertice sul clima a Copenaghen. "Abbiamo 6 giorni per definire l'accordo prima che arrivino i ministri e poi solo una manciata di ore prima dell'arrivo dei capi di stato. Il tempo è finito. È ora di essere uniti, di trasformare gli accordi in azioni reali e pensare ai milioni di bambini nel mondo", ha sottolineato.

Da parte sua premio nobel Rajendra Pachauri, presidente del panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc), ha respinto i tentativi di screditare il lavoro degli scienziati Ipcc sul clima intervenendo in merito al cosiddetto "climagate" sulle mail rubate in base alle quali gli scienziati avrebbero "corretto" in peggio i dati sul cambiamento climatico. Pachauri ha parlato di un tentativo di screditare un lavoro "trasparente e obiettivo" svolto su più di 21 anni con dati provenienti da tutto il pianeta e registrati da tantissimi organismi scientifici indipendenti. Pachauri ha quindi richiamato all' azione targando il vertice come "storico" e ha ricordato la responsabilità della comunità globale.

Intanto sul fronte dei paesi a economie emergenti, che rappresentano l'osso duro da convincere, arrivano novità. India, Cina e Brasile hanno infatti raggiunto un accordo di massima per operare insieme nel negoziato sui tagli alle emissioni di CO2 durante il Vertice di Copenaghen, ha rivelato a New Delhi il ministro per l'Ambiente indiano, Jairam Ramesh. Dal canto suo il Sudafrica ha dichiarato la disponibilità a rallentare del 34% entro il 2020 e del 42% entro il 2025 la crescita delle emissioni dei gas serra, a patto che ciò avvenga nel quadro di un accordo internazionale e di aiuti finanziari e tecnologici da parte dei paesi più sviluppati.

Ad aprire il vertice un video shock con protagonisti i bambini mentre il Wwf ha allestito due porte, una rossa che rappresenta la febbre del Pianeta e una verde, che significa fuori dalla crisi e per tutti i delegati che passavano ovviamente sotto la porta verde un timbro sulla mano per il voto per la Terra.

7 dicembre 2009

 

 

 

 

 

La lunga via dello sviluppo sostenibile

di Marco Magrini

7 DICEMBRE 2009

Il successo del vertice di Copenhagen non dipende tanto dal trattato che verrà, o non verrà, firmato. Dipende dal grado di concordia che 192 paesi di questo piccolo pianeta sapranno raggiungere alla prima, vera chiamata collettiva del mondo globalizzato. Qui non si discute più di confini o di sfere d'influenza. Ma dell'unica cosa che tutte le nazioni dividono in comune: l'atmosfera.

La scelta è epocale. Si tratta di sterzare il cammino della civiltà dall'energia fossile all'energia rinnovabile, e senza frenare la crescita economica. Il che, non è soltanto suggerito dal rischio - solo il rischio - che i nostri nipoti e pronipoti non ereditino quel pianeta ospitale che abbiamo ereditato noi. Lo suggerisce il rischio economico, geopolitico e anche geologico della patologica dipendenza da idrocarburi. Ma soprattutto, lo suggerisce una grandiosa opportunità: dirigere le forze del genere umano – scienza, ricerca, industria, finanza - verso la creazione di un sistema energetico sostenibile.

Il premio Nobel Richard Smalley aveva fatto la graduatoria dei dieci grandi problemi del mondo: energia, acqua, cibo, ambiente, povertà, guerre, malattie, istruzione, democrazia, sovrappopolazione. E diceva: "Se scopriamo come avere energia, pulita e abbondante, li risolviamo tutti e dieci".

Se Copenhagen sarà un successo, non lo diranno i politici, o gli ambientalisti. I veri giudici del vertice, sono quelli che devono ancora nascere.

7 DICEMBRE 2009

 

 

Una sfida da vincere tutti insieme

di Stefania Prestigiacomo

7 dicembre 2009

A lla conferenza sul clima di Copenhagen, da oggi, si lavora. Si lavora su molti tavoli. Sui contenuti e sulla forma giuridica dell'intesa. Ma soprattutto si devono sciogliere i nodi che dietro i mille tecnicismi nascondono la sostanza politica di questa sfida.

Ci sono più consapevolezza e responsabilità tra i leader mondiali. Copenhagen rappresenta un'occasione. Una partita che si vince o si perde tutti insieme.

Da molti anni un appuntamento internazionale non era circondato da aspettative e attese come è accaduto per la Conferenza sul clima che si apre oggi a Copenhagen. Da oggi, quindi, si lavora. Si lavora su molti tavoli: sui contenuti e sulla forma giuridica dell'intesa; e si devono sciogliere i nodi che dietro il tecnicismo nascondono la sostanza politica di questa sfida.

Perché io credo che il grande potenziale della Conferenza stia proprio nella consapevolezza di responsabilità che via via è maturata da parte di tutti i leader mondiali. Copenhagen è l'occasione non tanto e non solo per riscrivere le regole sulle emissioni dei gas serra, ma anche quella per rifondare le regole dei rapporti fra paesi industrializzati, paesi emergenti e paesi poveri e costruire su queste nuove regole un nuovo modello di sviluppo ecosostenibile. Un modello che non veda la tutela dell'ambiente come un limite, un freno alla crescita, ma indichi nella green economy un paradigma capace di creare opportunità per le imprese e nuove occasioni di lavoro.

La posta in gioco è altissima sia dal punto di vista ambientale che da quello politico-economico. Ma è una partita si vince o si perde tutti assieme.

Io credo che i dati del problema, depurati da propaganda e ansie di visibilità, siano noti. C'è un occidente che ha molto inquinato e che è cresciuto su un equilibrio iniquo in cui una parte fortunata del mondo consumava gran parte delle risorse del pianeta. Questo schema è andato in crisi a causa della crescita dei giganti asiatici, Cina e India in primo luogo, che hanno strumenti e risorse per autoalimentare una crescita enorme rispetto ai parametri occidentali. Questo sviluppo ha portato la Cina a essere il primo emettitore di CO2 al mondo e l'India a diventare il sesto, con prospettive che rischiano di rendere più che doppie in 20 anni le emissioni globali di gas serra. Sul solco dei grandi paesi asiatici si muovono altri "emergenti" come Messico, Sudafrica, Brasile, Corea.

Se si vuole contenere entro 2 gradi l'aumento della temperatura mondiale da qui al 2050 come deciso dai 20 leader del mondo al G8 dell'Aquila è necessario prevedere nel medio periodo un rallentamento sostanziale nella corsa alle emissioni di questi paesi, altrimenti qualsiasi misura di taglio della CO2 in occidente, anche il più drastico, sarà vano.

La questione è delicata e squisitamente politica. Occorre trovare un equilibrio che, contenendo le emissioni globali entro i limiti indicati dall'Ipcc, il panel intergovernativo sui cambiamenti climatici, consenta ai paesi emergenti di proseguire il loro sviluppo e ai paesi del terzo mondo di attuare da un lato misure di adattamento ai cambiamenti climatici e dall'altro perseguire una crescita "low-carbon". Le affermazioni degli ultimi giorni di cinesi e indiani vanno lette proprio in questo senso: c'è una disponibilità a intervenire sulla crescita di emissioni in relazione al Pil. Ciò non significa disponibilità al taglio delle emissioni tout court come fatto dall'Europa e annunciato dagli Usa ma bensì un'attenuazione delle emissioni in presenza di una crescita economica che i governi intendono continuare a promuovere e che per essere "sostenibile" dovrà essere supportata da impegni finanziari dell'occidente e dal trasferimento delle tecnologie a basse emissioni dei paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo.

In questo quadro complesso si inserisce la posizione americana che con il Presidente Obama ha segnato una svolta strategica in favore della lotta ai cambiamenti climatici. Il Congresso ha approvato una legge che punta entro il 2020 a ridurre le emissioni del 17% rispetto al 2005 (l'Europa entro il 2020 le taglierà del 20% ma rispetto al 1990, l'impegno Usa vale circa il 5% di riduzione rispetto al 1990). Ma il Senato di Washington non ha ancora avviato l'esame della legge e quindi Obama non potrà sottoscrivere a Copenaghen accordi "impegnativi".

Per questi motivi si punta a un'intesa che sia "politicamente vincolante", un accordo che costituisca la cornice condivisa all'interno della quale nel corso del 2010 calare impegni precisi secondo il principio delle "responsabilità comuni ma differenziate", sancito nella conferenza di Rio de Janeiro del 1992.

Questo risultato sarebbe una vittoria storica della comunità internazionale perché, a differenza di Kyoto, impegnerebbe tutti i paesi a uno sforzo globale per il clima. L'Italia a Copenaghen profonderà il massimo impegno perché a questo risultato si possa giungere. Abbiamo vissuto il 2008 da protagonisti segnando con il G8 ambiente e il G8 all'Aquila importanti tappe di avvicinamento alla Conferenza Onu, speriamo di potere, tra due settimane, condividere, con tutti i paesi del mondo, il successo in questa battaglia.

7 dicembre 2009

 

 

l via il vertice di Copenhagen sul clima, 10 temi per capire la posta in gioco

di Marco Magrini

Centonovantadue delegazioni, 45 capi di stato, 15mila persone accreditate, 5mila giornalisti. Con il vertice sui cambiamenti climatici, che si apre oggi, Copenhagen diventa per due settimane la capitale mondiale dell'ambiente.

L'obiettivo - tutt'altro che scontato - è di trovare un'intesa globale per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Con un rischio, neppure tanto velato: quello di una Unione europea cristallizzata sui tetti alle emissioni, che potrebbero invece essere disattesi dagli altri paesi, Usa e Cina in testa. Il vertice, al contrario, sarà un successo se promuoverà ricerca, innovazione e investimenti.

 

 

 

 

Regole certe per l'industria

di Jacopo Giliberto

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3 dicembre 2009

Dal summit di Copenaghen sul clima, che si aprirà la settimana prossima, le imprese si aspettano una politica nazionale e internazionale meno umorale di quella seguita finora. Si aspettano regole meno fumose, vincoli meno stravaganti rispetto a quelli che sta subendo la sola Italia secondo le regole sullo scambio delle quote imposte in modo anticoncorrenziale da Bruxelles. Il sistema europeo forse non è quello più azzeccato perché si basa su scambi virtuali di quote di emissione che in realtà sono un vantaggio economico per chi ha saputo negoziare meglio a Bruxelles (Francia e Germania, per esempio) a scapito della competitività delle aziende i cui governi sono stati meno efficaci. Agli schemi normativi in stile europeo, vengono preferiti dalle aziende i programmi e i progetti operativi.

Altrimenti finisce che gli investimenti sfumano, come certifica la rilevazione Istat sulla spesa ambientale italiana: nel 2007 gli investimenti in ecologia dell'industria sono scesi del 7,4% rispetto all'anno precedente. La composizione degli investimenti per settore ambientale ha registrato "un forte calo dell'incidenza di quelli per la protezione dell'aria e del clima – rileva l'Istat – mentre è aumentato in misura significativa il peso relativo delle spese per la gestione dei rifiuti".

L'Enel per esempio ha condotto moltissimi investimenti ambientali in Cina, paese che ha deciso di impegnarsi attivamente nel contenere la crescita delle emissioni e dove le imprese italiane accompagnate dal ministero dell'Ambiente hanno sviluppato duecento progetti verdi per circa 340 milioni, ma i benefici ambientali conseguiti dall'Enel non sono stati accreditati alla società, la quale così per rientrare nel limite europeo alle emissioni dovrà comprare a caro prezzo i diritti di emissione dalle vecchie centrali elettriche tedesche o polacche alimentate con lignite. L'Edison ha speso nelle fonti rinnovabili di energia, ma l'Italia vuole rivedere i canoni delle concessioni idroelettriche e non ha ancora deciso come limare gli incentivi all'energia fotovoltaica.

Sono incertezze che sconcertano chi deve investire. Così molte industrie energetiche cominciano a guardare più volentieri le ipotesi di una carbon tax, "ma fatta correttamente, chiara, semplice, costante e prevedibile – osserva Chicco Testa, esperto di energia e di ambiente – che è uno strumento altrettanto valido e funzionale dell'incentivo, di cui è il contraltare. Bisogna decidere se aiutare i bravi dando loro soldi o disincentivare i cattivi togliendoli".

L'ipotesi di una carbon tax coordinata a livello internazionale, avverte Corrado Clini, direttore generale al ministero dell'Ambiente e negoziatore nei trattati ambientali, non è da escludere: "Anche molte grandi compagnie petrolifere statunitensi sembrano preferire alle soluzioni fumose ed emotive una formula chiara come una tassazione sul contenuto di carbonio, che consente di pianificare gli investimenti, sebbene i petrolieri amino meno di altri le tasse e i vincoli".

Le imprese vogliono certezze ambientali, conferma Luca Dal Fabbro dell'Eon Italia, altrimenti – come diceva durante un incontro promosso dalla rivista "Formiche" – si mette a rischio il programma del colosso tedesco di dimezzare nel 2030 le emissioni di anidride carbonica delle sue centrali e di portare le fonti rinnovabili di energia dall'8% di oggi al 36% con una spesa di 8 miliardi di euro.

Nella confusione normativa italiana, spesso capace di grandi innovazioni come gli apprezzati certificati verdi e certificati di efficienza energetica, chi si forma in Italia ha esperienza da vendere. Così in mezzo mondo gli esperti italiani di quote di emissione sono richiestissimi, e hanno successo le imprese come la neonata Puraction con Antonio Urbano e Angela Racca o l'Icasco dove Pietro Valaguzza offre servizi avanzati di trading sui mercati paralleli per l'ambiente. "Le aziende italiane ed europee, in particolare quello a rischio di perdita di competitività per le regole ambientali – conferma Valaguzza – cercano di avere risposte alle loro domande sul futuro del Protocollo di Kyoto in modo da poter prendere decisioni consapevoli".

3 dicembre 2009

 

 

 

 

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NOTIZIE

Regole certe per l'industria

L'intesa parte dalle foreste

La vera ricchezza? Risparmiare energia

Gas serra: Cina al passo con gli Usa taglia le emissioni

Copenhagen: paesi emergenti contro la bozza danese

Al via il vertice di Copenhagen sul clima, 10 temi per capire la posta in gioco

ANALISI

L'intesa parte dalle foreste

di Marco Magrini

3 dicembre 2009

Sull' albero del destino climatico planetario, dove 192 Paesi del mondo cercheranno di cogliere le opportunità per ridurre le proprie emissioni di anidride carbonica, c'è un frutto più basso, più facile da cogliere. È il frutto della deforestazione.

L'abbattimento delle foreste, soprattutto quelle tropicali, toglie di mezzo ogni anno un'oceano di vegetazione che, grazie alla fotosintesi, si nutrirebbe e crescerebbe assorbendo centinaia di milioni di tonnellate di CO2. Questa pratica così diffusa - spariscono di media 13 milioni di ettari all'anno - contribuisce a circa un quinto dello squilibrio atmosferico provocato dalle attività umane.

Ieri, Yvo De Boer, il gran cerimoniere del vertice climatico dell'Onu che si apre lunedì a Copenhagen, si è detto sicuro che l'accordo ci sarà. Ma che, molto verosimilmente, verrà concluso e firmato solo fra sei o sette mesi, a metà 2010. I dettagli, le vere cifre, i meccanismi di mercato delle emissioni post-Kyoto, nonché le futuribili soluzioni per consentire al pianeta di schivare il boomerang dei combustibili fossili, sono ancora in alto mare. Ma una cosa appare già certa: il frutto facile della deforestazione, verrà colto.

Nel 97, all'atto di firmare il Protocollo di Kyoto, la deforestazione viene dichiaratamente esclusa dagli incentivi finanziari dei diritti sul carbonio. Nel 2005, i 192 Stati partecipanti ammettono: la deforestazione è dilagata, abbiamo sbagliato. Due anni fa, a Bali, la decisione di mettere in piedi un piano, battezzato Redd, per incoraggiare la diminuzione dei disboscamenti, fino ad arrestarli del tutto entro il 2020.

"Credo sia ormai scontato che sarà parte del nuovo accordo globale", ha detto alla Reuters Tony La Vina, presidente dei negoziati sul Redd. "Il fatto curioso è che, sul tavolo dei negoziati, questo è il progetto allo stato più avanzato".

Fa poca meraviglia: sulla bilancia dell'effetto-serra, la deforestazione (20%) pesa più di tutto il settore trasporti (18%) del mondo intero. E poi, basta pagare. Il Redd include già meccanismi di controllo e di calcolo sugli effettivi risultati, e i satelliti della Nasa che tracciano la deforestazione diranno con precisione se è vero o no. È facile quindi che certi Paesi industrializzati saranno ben contenti di assolvere a parte dei propri obblighi di riduzione ai certificati di carbonio che, si presume, circoleranno su un mercato finanziario planetario, e non più quasi solo europeo.

Proprio ieri, il Brasile – che quando si parla di foreste pluviali è la superpotenza mondiale – ha annunciato che presenterà a Copenhagen un proprio piano sulla deforestazione, dove si chiederà che i Paesi ricchi non possano usare il Redd per coprire più del 10% dei tagli alle emissioni che saranno chiamati a fare. "Altrimenti qualche Paese - dice il ministro brasiliano all'Ambiente, Carlos Minc - invece di ridurre le sue emissioni nelle proprie fabbriche e centrali elettriche, potrebbe abusare del programma". Il Brasile, dopotutto, ha sufficienti foreste da dover proteggere. E sufficienti soldi da poter incassare. Si stima che un mercato dei crediti di carbonio per compensare una ridotta deforestazione, varrebbe già nel 2013 alcuni miliardi di dollari l'anno.

I satelliti testimoniano che in Brasile, negli ultimi dodici mesi, sono stati abbattuti 7mila chilometri quadrati di foresta: il minimo da vent'anni. "Ma soprattutto grazie alla caduta dei prezzi del manzo e della soia – rimarca Paulo Gustavo, direttore della politica ambientale di Conservation International – che hanno scoraggiato la conversione da foresta a terreno agricolo".

Il presidente Lula ha pubblicamente festeggiato, anche per testimoniare dei successi delle forze dell'ordine nell'arginare il fenomeno. Detto questo, pare che il suo Paese, uno dei cinque grandi in via di sviluppo, offrirà a Copenhagen una riduzione fra il 38 e il 42% delle proprie emissioni previste per il 2020. È una buona offerta, che avrà il suo peso sui negoziati. Metà di questo sforzo, verrà proprio cogliendo il frutto più basso: un drastico stop alla deforestazione amazzonica.

Peccato che un rapporto pubblicato ieri dall'Agenzia internazionale per l'energia, sollevi forti dubbi sul funzionamento del Redd, che sarà costretto fra l'aumento dei consumi alimentari mondiali e l'alto livello di corruzione che domina i Paesi tropicali. Basti dire che in Indonesia, secondo le stime di Global Witness, la corruzione legata alla deforestazione illegale vale 2 miliardi di dollari, quanto il budget del sistema sanitario nazionale.

Il frutto della deforestazione è basso. Ma non così basso.

3 dicembre 2009

 

 

 

 

La vera ricchezza? Risparmiare energia

di Jacopo Giliberto

4 dicembre 2009

Le imprese si preparano alla sfida di Copenaghen sul clima guardando soprattutto al tema dell'efficienza energetica. Che è un giacimento nascosto di energia a costo zero e a inquinamento zero.

Secondo il sistema industriale, per conseguire risultati importanti sul fronte dell'ambiente basterebbe rafforzare con un sistema efficace di incentivi e stimoli il programma nazionale attuale, che già oggi prevede per il 2016 di risparmiare energia pari a poco più di 10 milioni di tonnellate. Questi 10 milioni di tonnellate di combustibile corrispondono, in termini di emissioni tagliate, a circa 30 milioni di tonnellate di anidride carbonica in meno nell'aria (e costi in meno per il sistema Italia).

Invece di imporre vincoli costosissimi secondo i progetti di Bruxelles, l'obiettivo di efficienza e risparmio energetico delineato dal governo potrebbe essere raddoppiato, a tutto beneficio dell'indotto italiano delle coibentazioni degli edifici, nelle finestre con i doppi vetri e i serramenti moderni, nelle caldaie ad alta efficienza nelle quali la tecnologia italiana ha ancora molto da insegnare.

Questo sarà uno dei temi caldi che da lunedì e per due settimane il sistema delle imprese dovrà affrontare a Copenaghen per il summit sul clima. Ieri sul Sole 24 Ore l'imprenditore Aldo Fumagalli Romario, presidente della commissione Sviluppo sostenibile, affermava appunto l'importanza di investire nel cosiddetto settore "residenziale", cioè gli edifici. A titolo di confronto, il 60% delle emissioni italiane viene dalle case, dai trasporti, dall'agricoltura, dal segmento dei servizi, che non sono vincolati dalle direttive europee sulle emissioni. Nelle abitazioni italiane medie i consumi annui di energia sono nell'ordine di 110 chilowattora l'anno per ogni metro quadro di casa (in Alta Italia, dove il clima è meno mite, si arriva a 150-200 chilowattora l'anno), mentre in Svezia dal clima ancora più rigido le perdite di calore non possono essere superiori a 60 chilowattora l'anno per metro quadro di abitazione.

Molto può essere fatto anche nell'industria. Secondo le stime più consolidate, il costo di un motore elettrico (per esempio di un compressore industriale) in tutto il suo ciclo di vita è per circa il 95% nel consumo di corrente, un paio di punti percentuali per la manutenzione, e non più del 3-4% per l'acquisto dell'apparecchio. Ma quando si tratta di comprare un motore elettrico, l'imprenditore guarda solamente il fattore prezzo, e compra senza remore un motoraccio d'importazione ad alto spreco e a bassa efficienza. Spenderà in corrente molto di più di quanto non contava di risparmiare.

4 dicembre 2009

 

 

L'energia pulita è più sicura

di James Woolsey

7 dicembre 2009

Gli odierni immani problemi energetici che investono l'intero pianeta riflettono non poco i piani di sviluppo aziendale del XIX secolo che tre dei più grossi settori industriali al mondo stanno ancora portando avanti.

Le aziende elettriche di servizio ancora oggi bruciano in buona parte combustibili fossili per rivendere l'energia prodotta a residenze private e aziende. Le società petrolifere ancora oggi estraggono e raffinano il petrolio, ed essenzialmente vendono benzina e carburante diesel. Le case automobilistiche tuttora lavorano l'acciaio trasformandolo in veicoli che in genere devono essere alimentati con combustibili derivati dal petrolio.

Fino a tempi alquanto recenti, ciascuno di questi giganteschi settori industriali era comodamente intento a seguire questa strada scorrevole e familiare che dal XIX secolo porta al XXI secolo. Ciascuno di essi, oltretutto, era riuscito con successo a ottenere che il governo lo mettesse al riparo da qualsiasi obbligo a effettuare drastici cambiamenti.

I recenti sviluppi, però, stanno iniziando a creare una situazione sempre più difficile e insostenibile attorno a queste industrie. In realtà molti osservatori presagiscono l'avvicinarsi di tempeste di epiche dimensioni. Che cosa è accaduto?

Prima di tutto le prove attestanti il cambiamento del clima hanno iniziato a convincere quasi tutti i climatologi e molti altri osservatori ben informati che l'approccio da noi seguito ancor oggi per la produzione e l'uso dell'energia è molto dannoso per la biosfera. Poiché le variazioni nelle emissioni di diossido di carbonio - diversamente da altri inquinanti quali il diossido di zolfo e il diossido di azoto - non possono essere rilevate con facilità, e tenuto conto della durata plurisecolare del CO2 nell'atmosfera, il problema di ridurne la concentrazione nell'atmosfera è molto più arduo da risolvere rispetto ad altri problemi ambientali.

Del resto, non siamo nemmeno abituati a occuparci di un cambiamento climatico potenzialmente esponenziale, poiché fenomeni quali il riscaldamento portano per esempio a un rilascio di anidride carbonica dalla tundra, e accelerano di conseguenza il riscaldamento in una sorta di circolo vizioso.

Il dibattito pubblico oltretutto è quanto mai confuso dal predominio di una mentalità per la quale prevale il "tutto o niente", e dal fatto che gli scettici sostengono che se una percentuale qualsiasi del cambiamento del clima è provocata da fenomeni naturali (per esempio il variare dall'inclinazione dell'asse terrestre nell'arco di svariati millenni), allora nessuna percentuale di esso è antropogenica, ovvero imputabile alle attività umane.

Nondimeno, vi sono ottime ragioni per indurci a cercare di mitigare per quanto possibile almeno la percentuale antropogenica di cambiamento del clima imputabile alle emissioni di CO2 e ad altre pratiche estremamente nocive quali la deforestazione.

Inoltre, aumenta la preoccupazione per due tipi di problemi di sicurezza legati all'energia: il rischio in forte aumento di episodi di violenza provocati dall'uso che facciamo dell'energia, e i costi elevati di tale energia.

Il rischio principale di episodi di violenza provocati dalla natura del sistema elettrico stesso è il pericolo di gravi blackout dovuti ad attentati veri e propri o cyber-attacchi contro una rete di trasmissione e distribuzione dell'energia sempre più fragile.

Per quanto riguarda il petrolio, predominante nel settore dei trasporti, l'alta concentrazione di giacimenti e depositi in Medio Oriente, specialmente quelli che possono essere sfruttati a prezzi più stracciati, rende i paesi importatori di petrolio molto vulnerabili sia ad attentati terroristici contro le infrastrutture petrolifere, sia ostaggi di prezzi da monopolio. Ogni qualvolta è possibile, l'Opec ricorre a tagli della produzione per mantenere i prezzi a livelli che siano quanto meno di un certo ordine di grandezza superiori al costo di produzione più un ragionevole guadagno. Come ha sottolineato Paul Collier, dell'Università di Oxford, la preponderanza di dittatori e di monarchie autocratiche tra le fila dei più importanti

con il contributo di Shell esportatori di petrolio indica che dove esistono queste ingenti rendite economiche, si creano enormi pressioni contro i processi di diversificazione economica e di democratizzazione. Buona parte del terrorismo, in definitiva, è finanziata dal petrolio.

Quello che Collier chiama il "Miliardo Inferiore", il sesto più indigente della popolazione mondiale, soffre immensamente per le conseguenze degli alti prezzi del petrolio. Un grosso indebitamento nazionale, un'energia dispendiosa rappresentano gravi problemi per i paesi relativamente ricchi, ma sono vere e proprie disgrazie per l'Africa sub-sahariana e il resto dei poveri della Terra.

Quali potrebbero essere, dunque, le possibili soluzioni? Innanzitutto, come ha spiegato Anne Korin, che si occupa di campagne energetiche, dobbiamo fare del petrolio quello che è stato fatto del sale oltre un secolo fa: il sale da millenni era una merce strategica per le miniere di sale si sono combattute delle guerre - perché era l'unico prodotto in grado di conservare i generi alimentari deperibili.

Ma l'avvento dell'elettricità, della refrigerazione e della congelazione pose fine in tempi relativamente rapidi al monopolio del sale. Pur essendo il sale tuttora un utile bene di consumo, nessuno considera più le miniere di sale strumenti di potere o di influenza nazionale. Adesso occorre far sì che anche il petrolio vada al più presto incontro a un destino analogo.

Il monopolio del petrolio nel settore dei trasporti può essere sbaragliato almeno in parte grazie al processo di elettrificazione (con veicoli ibridi elettrici da collegare per la ricarica a una normale presa elettrica, per esempio), e anche con la seconda generazione di biocarburanti, come il butanolo prodotto dai residui industriali della lavorazione della cellulosa, e da biocombustibili a base di alghe e scarti vegetali vari.

Alcuni studi dimostrano chiaramente che, con un costo differenziato a seconda delle fasce orarie, l'elettrificazione dei veicoli non richiede la realizzazione di impianti specifici di generazione dell'elettricità, e anche che già ora, con le nostre odierne reti elettriche alimentate a carbone, i veicoli elettrici emettono meno CO2 dei veicoli alimentati a benzina o diesel. E, poiché le emissioni di CO2 della rete sono pulite, il ruolo inquinante che i veicoli tradizionali ricoprono come fonti di emissioni declinerà.

È di grande importanza migliorare altresì l'efficienza dell'uso dell'elettricità, specialmente nel settore dell'illuminazione, responsabile di una buona fetta dei consumi. Quella a led sta iniziando a decollare. Parecchie nazioni potrebbero inoltre imparare molto dall'uso creativo del calore disperso che in Danimarca è utilizzato per la cogenerazione.

L'energia solare sta iniziando a guadagnare considerevole terreno e rilevanza, specialmente per le piccole aziende agricole e sui tetti degli edifici. La Germania, che ha adottato un meccanismo di feed-in tariff , sta spianando la strada, incoraggia una più ampia diffusione dell'energia solare e questo approccio sta iniziando a essere adottato a livello statale anche in America.

La riduzione dei costi dell'energia solare, i miglioramenti dell'efficienza, batterie sempre più funzionali, altri mezzi di immagazzinamento dell'elettricità contribuiscono a rendere possibile un mondo di generazione distribuita del'energia, a partire da fonti rinnovabili. Ciò, a sua volta, fa ben sperare in una maggiore libertà dai pericoli creati dalle nostre vulnerabili reti elettriche e dalla nostra dipendenza dal petrolio.

Ex direttore Cia partner Vantagepoint

traduzione di Anna Bissanti

 

 

7 dicembre 2009

 

 

 

 

 

 

 

Incentivi fiscali e premi per favorire l'ambiente

di Luca De Stefani

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8 dicembre 2009

Per incentivare il risparmio energetico negli edifici e la produzione di energia da fonti rinnovabili, in Italia si è puntato, da un lato, sulle agevolazioni fiscali: che permettono di detrarre dalle imposte il 36% o il 55% delle spese sostenute per gli investimenti "verdi". E, dall'altro lato, sui premi legati alla quantità di energia prodotta dai pannelli fotovoltaici. Per chi acquista elettrodomestici di classe energetica non inferiore ad A+ (esclusi i frigoriferi) è poi prevista una detrazione Irpef del 20%, che scadrà alla fine di quest'anno. Anche chi sostituisce i vecchi frigoriferi con modelli ecologici ha diritto a ridurre le imposte del 20%, ma questa agevolazione potrà essere utilizzata solo fino al 31 dicembre 2010.

L'agevolazione fiscale più consistente per incentivare il risparmio energetico permette di detrarre dall'Irpef o dall'Ires lorda il 55% delle spese sostenute, sugli edifici già accatastati, per installare pannelli solari per produrre acqua calda, per sostituire gli impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaia a condensazione, per gli interventi sulle strutture opache verticali (pareti isolanti o cappotti), sulle strutture opache orizzontali (coperture e pavimenti), sulle finestre comprensive di infissi (con bassa trasmittanza termica) e per gli interventi generali di riqualificazione energetica degli edificio. Questa agevolazione scadrà il 31 dicembre 2010 ed è rivolta ai privati, ai professionisti, agli enti pubblici e privati che non svolgono attività commerciale, alle società semplici e anche ai soggetti che conseguono reddito d'impresa (ditte individuali, familiari e coniugali, società di persone e società di capitali). Gli interventi devono essere eseguiti su edifici esistenti, su parti di edifici esistenti o su unità immobiliari esistenti di qualsiasi categoria catastale, anche rurali.

Scadrà il 31 dicembre 2009, invece, la possibilità di detrarre dall'Irpef o dall'Ires il 55% delle spese sostenute per la sostituzione intera o parziale degli impianti di climatizzazione invernale non a condensazione.

Inoltre, i contribuenti possono detrarre dall'Irpef il 36% dei costi sostenuti per installare impianti basati sull'impiego delle fonti rinnovabili di energia (come gli impianti a energia solare, eolica, idraulica), per la coibentazione degli edifici, per installare nuovi generatori di calore ad alto rendimento e impianti e pannelli fotovoltaici per produrre energia elettrica. Per utilizzare l'agevolazione non è necessario che l'unità immobiliare residenziale sia adibita ad abitazione principale o che si trasferisca lì la propria residenza. I beneficiari del l'incentivo devono rispettare queste condizioni: essere i soggetti che hanno sostenuto le spese agevolate (e queste devono restare a loro carico); essere soggetti passivi dell'Irpef, residenti e non residenti nel territorio dello stato; e possedere o detenere, sulla base di un titolo idoneo, l'immobile sul quale sono stati effettuati gli interventi. L'agevolazione doveva scadere il 31 dicembre 2011, ma il disegno di legge finanziaria per il 2010 l'ha prorogata al 31 dicembre 2012.

Però, se ci si avvale della detrazione Irpef del 36% per installare i pannelli fotovoltaici, l'elettricità prodotta non può essere incentivata attraverso il cosiddetto "conto energia", le cui tariffe sono state aggiornate dal decreto del 19 febbraio 2007. Le tariffe incentivanti e il premio aggiuntivo per gli impianti abbinati a un uso efficiente dell'energia non sono infatti applicabili all'elettricità prodotta dai pannelli fotovoltaici per i quali sia stata riconosciuta o richiesta la detrazione fiscale per le ristrutturazioni edilizie del 36 per cento.

8 dicembre 2009

 

I piani regionali spingono i tagli dei consumi

di Valentina Melis

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Ampliamento degli edifici sì, ma con un occhio all'edilizia sostenibile. Le 16 leggi regionali emanate fino ad ora per dare attuazione all'intesa Stato-regioni sul piano casa del 31 marzo scorso (fissata nel provvedimento del 1° aprile) condizionano gli interventi sugli immobili a determinati risultati "verdi", che vanno dai minori consumi per riscaldamento o condizionamento, agli incentivi per fonti rinnovabili e recupero dell'acqua piovana.

In Lombardia, la legge regionale 13/2009 consente di ampliare fino al 20% il volume di edifici residenziali mono e bifamiliari purché ci sia una diminuzione certificata di oltre il 10% del fabbisogno annuo di energia per la climatizzazione invernale. Alla fine dell'intervento di ampliamento, il proprietario deve dotarsi dell'attestato di certificazione energetica dell'intero edificio. Il bonus volumetrico per demolire e ricostruire gli edifici passa dal 30% al 35% se l'intervento comporta una dotazione di alberi pari almeno al 25% della superficie del lotto interessato.

In Veneto (legge regionale 14/2009) le pensiline e le tettoie realizzate per installare impianti solari e fotovoltaici non concorrono a formare cubatura. La stessa soluzione è stata adottata in Abruzzo (legge regionale 16/2009): le pensiline e le tettoie realizzate o da realizzare per installare impianti fotovoltaici e altri impianti di produzione di energia a uso domestico derivante da fonti rinnovabili, non concorrono a formare superficie per l'applicazione delle norme sui limiti di ampliamento degli edifici. I progetti per i nuovi edifici e per la ristrutturazione di edifici esistenti, poi, devono prevedere l'introduzione, negli impianti idrico-sanitari, di dispositivi certificati come idonei ad assicurare una "significativa" riduzione del consumo d'acqua. Devono prevedere anche, se possibile, l'adozione di sistemi di captazione, filtro e accumulo delle "acque meteoriche" provenienti dalle coperture degli edifici.

Nel Lazio, la legge regionale 21/2009 - impugnata dal Governo nella parte in cui subordina l'esecuzione dei lavori alla redazione del fascicolo di fabbricato - prevede che gli ampliamenti degli edifici siano realizzati nel rispetto di quanto previsto dalle norme sulla sostenibilità energetico-ambientale e di bioedilizia e, in particolare, dal Dlgs 192/2005.

Nelle Marche (legge regionale 22/2009, anche questa impugnata dal Governo per alcune disposizioni integrative al Codice degli appalti), è previsto che alla domanda del titolo abilitativo, alla dichiarazione di inizio attività o al progetto di opera pubblica, sia allegata una relazione redatta dal progettista o da un tecnico abilitato da cui risulti, tra l'altro, il miglioramento delle prestazioni energetiche che si prevede di conseguire. Se queste dichiarazioni non trovano riscontro nell'opera realizzata, è previsto il pagamento di una multa pari al doppio dell'incremento di valore che l'edificio ha guadagnato per l'incremento di superficie dovuto all'ampliamento.

In Toscana (legge regionale 24/2009), così come in Puglia (legge 14/2009) l'edificio interessato dall'ampliamento deve essere dotato di "finestre con vetrature con intercapedini di aria o di gas", cioè infissi a doppi vetri. In Umbria (legge regionale 13/2009) gli edifici demoliti e ricostruiti devono conseguire una certificazione di sostenibilità ambientale che li porti a entrare nella classe B (buono), fra le categorie previste dal disciplinare tecnico attuativo dell'articolo 4 della legge regionale 17/2008, che classifica gli edifici in base a vari parametri, dal risparmio energetico, all'uso di fonti rinnovabili, all'uso di materiali eco-compatibili.

La Sardegna (legge regionale 4/2009) fa crescere il bonus regionale del 20% per l'ampliamento degli edifici fino a un massimo del 30% se si consegue una riduzione di almeno il 15% del fabbisogno di energia primaria o si dimostra il rispetto dei parametri previsti dal Dlgs 192/05

 

 

Agire costa meno che non fare nulla

di Nicholas Stern

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8 dicembre 2009

Il pericolo dei cambiamenti climatici non risiede unicamente, e nemmeno prevalentemente, nell'innalzamento della temperatura. La gran parte dei danni è riconducibile all'acqua o alla mancanza di acqua: temporali, siccità, inondazioni, innalzamento dei mari. I livelli di riscaldamento a cui rischiamo di andare incontro sarebbero profondamente nocivi per tutti i paesi del mondo, ricchi e poveri. Una trasformazione della geografia fisica del pianeta cambia anche la geografia umana, dove viviamo e come viviamo.

Non sappiamo con certezza di quanto aumenterà la temperatura globale se le cose resteranno come sono. Qui, per illustrare i rischi, ho optato per uno scenario di 5°C in più, perché pare che ci sia un 50% di probabilità che alla fine la temperatura cresca in questa misura, se proseguiamo con i ritmi di crescita attuali o se lasciamo le cose come stanno. Un aumento di 5°C sarebbe devastante, ma purtroppo ci sono buone probabilità che sia superiore ai 6°C o più nel prossimo secolo. E anche con una stima molto ottimistica delle conseguenze di un non intervento, ci dobbiamo comunque attendere un aumento della temperatura intorno ai 4°C, cosa che produrrebbe comunque effetti estremamente dannosi perché innescherebbe dinamiche di instabilità che non possiamo ancora capire fino in fondo.

La gravità di un incremento 5°C risulta evidente se pensiamo che nell'ultima glaciazione, circa 10mila anni fa, il pianeta era di 5°C più freddo di adesso. Gran parte del nord Europa, del nord America e delle zone situate a latitudini corrispondenti erano sepolti sotto centinaia di metri di ghiaccio, e gli esseri umani vivevano concentrati molto più vicino all'equatore. Dobbiamo tornare indietro dai 30 ai 50 milioni di anni, fino all'Eocene, per trovare temperature più alte di 5°C rispetto a quelle di prima dell'era industriale: in quell'epoca, le terre emerse erano costituite soprattutto da foreste paludose. Incrementi della temperatura di questa entità, e i cambiamenti climatici che ne conseguono, determinano dislocazioni massicce, danno vita a nuove, colossali vulnerabilità e ridisegnano gli schemi di insediamento. Non si tratta della differenza climatica che c'è fra Stoccolma e Madrid, non basterà un po' più di aria condizionata e un po' più di argini per difenderci dalle inondazioni.

Ma nutro ancora delle speranze. Questi enormi rischi possono essere ridotti in modo drastico, con un costo ragionevole, ma soltanto se ci muoviamo insieme, seguendo delle politiche chiare e ben strutturate, a cominciare da adesso. Agire costa molto meno che non fare niente; in altre parole, indugiare diventerebbe una strategia anticrescita. Il mondo a basse emissioni che dobbiamo e possiamo creare sarà molto più attraente del non fare nulla. La crescita non solo sarà sostenuta, ma sarà più pulita, meno frenetica e con maggiore biodiversità. Conosciamo molte delle tecnologie necessarie e ne inventeremo di nuove, e possiamo progettare le strutture economiche, politiche e sociali che ci porteranno a questo risultato. Abbiamo bisogno di analisi chiare, impegno ad agire e spirito di collaborazione. Non è economicamente necessario, e nemmeno eticamente responsabile, fermare o ridurre drasticamente la crescita per gestire i cambiamenti climatici. Senza una crescita forte sarà estremamente difficile per i poveri dei paesi in via di sviluppo uscire dalla povertà, e non dobbiamo combattere i cambiamenti climatici a danno del loro futuro. Oltretutto, sarebbe politicamente molto difficile ottenere un consenso popolare alla lotta ai cambiamenti climatici dicendo alla gente che deve scegliere tra crescita e responsabilità ambientale. Sarebbe non solo errato dal punto di vista dell'analisi, ma porrebbe anche grandi difficoltà dal punto di vista etico e risulterebbe talmente distruttivo politicamente che si risolverebbe in un fallimento.

Questo non significa sostenere che il mondo possa continuare a crescere in maniera indefinita. Non è nemmeno chiaro che cosa includerebbe un'affermazione del genere; società, tenore di vita, metodi di produzione e consumo, tutto evolve e si trasforma. L'immagine di un'espansione indefinita è una rappresentazione del futuro che non è plausibile, ma due cose sono fondamentali: primo, trovare un modo per incrementare il tenore di vita (comprese salute, istruzione e libertà) per debellare la povertà nel mondo; secondo, scoprire modi di vivere che siano sostenibili nel tempo, specialmente in relazione all'ambiente. Una crescita forte, del tipo giusto, sarà necessaria e fattibile per molti decenni.

(Traduzione di Gaia Seller)

L'autore è presidente dell'Istituto Graham per i cambiamenti climatici e l'ambiente della London School of Economics. Il brano che riportiamo è tratto dal libro The Global Deal

8 dicembre 2009

 

 

L'energia pulita è più sicura

di James Woolsey

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7 dicembre 2009

Gli odierni immani problemi energetici che investono l'intero pianeta riflettono non poco i piani di sviluppo aziendale del XIX secolo che tre dei più grossi settori industriali al mondo stanno ancora portando avanti.

Le aziende elettriche di servizio ancora oggi bruciano in buona parte combustibili fossili per rivendere l'energia prodotta a residenze private e aziende. Le società petrolifere ancora oggi estraggono e raffinano il petrolio, ed essenzialmente vendono benzina e carburante diesel. Le case automobilistiche tuttora lavorano l'acciaio trasformandolo in veicoli che in genere devono essere alimentati con combustibili derivati dal petrolio.

Fino a tempi alquanto recenti, ciascuno di questi giganteschi settori industriali era comodamente intento a seguire questa strada scorrevole e familiare che dal XIX secolo porta al XXI secolo. Ciascuno di essi, oltretutto, era riuscito con successo a ottenere che il governo lo mettesse al riparo da qualsiasi obbligo a effettuare drastici cambiamenti.

I recenti sviluppi, però, stanno iniziando a creare una situazione sempre più difficile e insostenibile attorno a queste industrie. In realtà molti osservatori presagiscono l'avvicinarsi di tempeste di epiche dimensioni. Che cosa è accaduto?

Prima di tutto le prove attestanti il cambiamento del clima hanno iniziato a convincere quasi tutti i climatologi e molti altri osservatori ben informati che l'approccio da noi seguito ancor oggi per la produzione e l'uso dell'energia è molto dannoso per la biosfera. Poiché le variazioni nelle emissioni di diossido di carbonio - diversamente da altri inquinanti quali il diossido di zolfo e il diossido di azoto - non possono essere rilevate con facilità, e tenuto conto della durata plurisecolare del CO2 nell'atmosfera, il problema di ridurne la concentrazione nell'atmosfera è molto più arduo da risolvere rispetto ad altri problemi ambientali.

Del resto, non siamo nemmeno abituati a occuparci di un cambiamento climatico potenzialmente esponenziale, poiché fenomeni quali il riscaldamento portano per esempio a un rilascio di anidride carbonica dalla tundra, e accelerano di conseguenza il riscaldamento in una sorta di circolo vizioso.

Il dibattito pubblico oltretutto è quanto mai confuso dal predominio di una mentalità per la quale prevale il "tutto o niente", e dal fatto che gli scettici sostengono che se una percentuale qualsiasi del cambiamento del clima è provocata da fenomeni naturali (per esempio il variare dall'inclinazione dell'asse terrestre nell'arco di svariati millenni), allora nessuna percentuale di esso è antropogenica, ovvero imputabile alle attività umane.

Nondimeno, vi sono ottime ragioni per indurci a cercare di mitigare per quanto possibile almeno la percentuale antropogenica di cambiamento del clima imputabile alle emissioni di CO2 e ad altre pratiche estremamente nocive quali la deforestazione.

Inoltre, aumenta la preoccupazione per due tipi di problemi di sicurezza legati all'energia: il rischio in forte aumento di episodi di violenza provocati dall'uso che facciamo dell'energia, e i costi elevati di tale energia.

Il rischio principale di episodi di violenza provocati dalla natura del sistema elettrico stesso è il pericolo di gravi blackout dovuti ad attentati veri e propri o cyber-attacchi contro una rete di trasmissione e distribuzione dell'energia sempre più fragile.

Per quanto riguarda il petrolio, predominante nel settore dei trasporti, l'alta concentrazione di giacimenti e depositi in Medio Oriente, specialmente quelli che possono essere sfruttati a prezzi più stracciati, rende i paesi importatori di petrolio molto vulnerabili sia ad attentati terroristici contro le infrastrutture petrolifere, sia ostaggi di prezzi da monopolio. Ogni qualvolta è possibile, l'Opec ricorre a tagli della produzione per mantenere i prezzi a livelli che siano quanto meno di un certo ordine di grandezza superiori al costo di produzione più un ragionevole guadagno. Come ha sottolineato Paul Collier, dell'Università di Oxford, la preponderanza di dittatori e di monarchie autocratiche tra le fila dei più importanti

con il contributo di Shell esportatori di petrolio indica che dove esistono queste ingenti rendite economiche, si creano enormi pressioni contro i processi di diversificazione economica e di democratizzazione. Buona parte del terrorismo, in definitiva, è finanziata dal petrolio.

Quello che Collier chiama il "Miliardo Inferiore", il sesto più indigente della popolazione mondiale, soffre immensamente per le conseguenze degli alti prezzi del petrolio. Un grosso indebitamento nazionale, un'energia dispendiosa rappresentano gravi problemi per i paesi relativamente ricchi, ma sono vere e proprie disgrazie per l'Africa sub-sahariana e il resto dei poveri della Terra.

Quali potrebbero essere, dunque, le possibili soluzioni? Innanzitutto, come ha spiegato Anne Korin, che si occupa di campagne energetiche, dobbiamo fare del petrolio quello che è stato fatto del sale oltre un secolo fa: il sale da millenni era una merce strategica per le miniere di sale si sono combattute delle guerre - perché era l'unico prodotto in grado di conservare i generi alimentari deperibili.

Ma l'avvento dell'elettricità, della refrigerazione e della congelazione pose fine in tempi relativamente rapidi al monopolio del sale. Pur essendo il sale tuttora un utile bene di consumo, nessuno considera più le miniere di sale strumenti di potere o di influenza nazionale. Adesso occorre far sì che anche il petrolio vada al più presto incontro a un destino analogo.

Il monopolio del petrolio nel settore dei trasporti può essere sbaragliato almeno in parte grazie al processo di elettrificazione (con veicoli ibridi elettrici da collegare per la ricarica a una normale presa elettrica, per esempio), e anche con la seconda generazione di biocarburanti, come il butanolo prodotto dai residui industriali della lavorazione della cellulosa, e da biocombustibili a base di alghe e scarti vegetali vari.

Alcuni studi dimostrano chiaramente che, con un costo differenziato a seconda delle fasce orarie, l'elettrificazione dei veicoli non richiede la realizzazione di impianti specifici di generazione dell'elettricità, e anche che già ora, con le nostre odierne reti elettriche alimentate a carbone, i veicoli elettrici emettono meno CO2 dei veicoli alimentati a benzina o diesel. E, poiché le emissioni di CO2 della rete sono pulite, il ruolo inquinante che i veicoli tradizionali ricoprono come fonti di emissioni declinerà.

È di grande importanza migliorare altresì l'efficienza dell'uso dell'elettricità, specialmente nel settore dell'illuminazione, responsabile di una buona fetta dei consumi. Quella a led sta iniziando a decollare. Parecchie nazioni potrebbero inoltre imparare molto dall'uso creativo del calore disperso che in Danimarca è utilizzato per la cogenerazione.

L'energia solare sta iniziando a guadagnare considerevole terreno e rilevanza, specialmente per le piccole aziende agricole e sui tetti degli edifici. La Germania, che ha adottato un meccanismo di feed-in tariff , sta spianando la strada, incoraggia una più ampia diffusione dell'energia solare e questo approccio sta iniziando a essere adottato a livello statale anche in America.

La riduzione dei costi dell'energia solare, i miglioramenti dell'efficienza, batterie sempre più funzionali, altri mezzi di immagazzinamento dell'elettricità contribuiscono a rendere possibile un mondo di generazione distribuita del'energia, a partire da fonti rinnovabili. Ciò, a sua volta, fa ben sperare in una maggiore libertà dai pericoli creati dalle nostre vulnerabili reti elettriche e dalla nostra dipendenza dal petrolio.

Ex direttore Cia partner Vantagepoint

traduzione di Anna Bissanti

7 DICEMBRE 2009

 

Fissare obiettivi raggiungibili tra 15 anni

di Michael Spence

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7 dicembre 2009

É opinione largamente condivisa che alcune attività umane, in primis l'utilizzo di combustibili fossili, contribuiscano ad aumentare in modo significativo la concentrazione di gas serra nell'atmosfera. Questi gas, in particolare il CO2, acuiscono il rischio di arrecare gravi danni al clima. Ciò significa che i limiti da imporre al nostro consumo di combustibili fossili non possono quantificarsi soltanto in termini di disponibilità dei rifornimenti, ma devono tener conto anche dei costi ambientali.

Sussiste una notevole incertezza in relazione alla portata dell'impatto sulle temperature e sul clima di questi livelli in aumento di gas serra nell'atmosfera. Questa incertezza deve essere tenuta in debito conto. I Paesi in via di sviluppo e in forte crescita quali Brasile, Russia, India, Cina e altri nel G-20- comprendono collettivamente la metà della popolazione umana. Se continueranno nelle loro robuste traiettorie di crescita, come plausibile, si avvicineranno ai livelli di reddito dei Paesi avanzati entro la metà del secolo o poco dopo.

A quel punto, la percentuale della popolazione mondiale avente livelli di reddito da Paese industrializzato (circa 20mila dollari o più) salirà dal 16 al 66% del totale. Se tutti i nuovi ricchi adotteranno i modelli attuali di consumo energetico dei partner più ricchi, la battaglia per il cambiamento del clima sarà perduta. Senza un intervento di contenimento sulle concentrazioni di biossido di carbonio nell'atmosfera, e dando per scontato che i Paesi in via di rapido sviluppo raggiungano gli attuali livelli dei paesi avanzati in fatto di emissioni procapite di CO2 (tra le 10 e le 11 tonnellate, ma anche molto più in America del Nord), l'attuale media globale di 4,8 tonnellate tra cinquant'anni sarà pressoché raddoppiata e potrà raggiungere le 8,7 tonnellate.

Tutto ciò contrasta fortemente con le stime più recenti di emissioni di CO2 ritenute ragionevolmente sicure, come ha calcolato l'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) delle Nazioni Unite. Per scongiurare un peggioramento del cambiamento del clima - secondo l'Ipcc - le emissioni dovrebbero essere ridotte globalmente a 2,3 tonnellate procapite, ovvero più o meno della metà della media procapite, entro i prossimi 50-75 anni. Al ritmo attuale, invece, e senza un significativo sforzo di riduzione e contenimento, entro la metà del secolo avremo raggiunto il quadruplo del livello ritenuto sicuro.

I paesi avanzati sono stati fino a tempi recentissimi i principali responsabili delle emissioni di biossido di carbonio, ma i consumi energetici aumentano di pari passo con l'aumentare del reddito procapite. Cina e India, che contano il 40% della popolazione mondiale, prima che la crisi le colpisse nel 2008 avevano fatto registrare un aumento record del loro Pil, pari al 9-10% annuo, e verosimilmente nel periodo che seguirà la presente crisi riprenderanno a crescere con una velocità simile, il che implica che le loro economie raddoppieranno di volume ogni 7-10 anni. Il loro contributo alle emissioni totali aumenterà nella stessa misura.

Anche altre economie stanno facendo passi avanti a ritmi di crescita relativamente alti. Di conseguenza mentre molti paesi sviluppati e in via di sviluppo perseguono iniziative e provvedimenti a tutto campo per aumentare l'efficienza energetica e adottare tecnologie a base di energie pulite, le loro tecnologie esi-stenti, i loro incentivi, le loro normative e i loro impegni implicano che nei prossimi decenni assisteremo a un picco considerevole delle emissioni totali di anidride carbonica. Malgrado l'obiettivo dell'Ipcc fissato per le emissioni annuali procapite di CO2, ancora non sappiamo con precisione quanto riscaldamento sarà provocato dai vari livelli possibili di concentrazione di gas serra nell'atmosfera. Le stime al momento sono quanto mai variabili, anche dopo ricerche che durano da un quarto di secolo e ciò è dovuto alla complessità dell'ambiente stesso. Questa è una delle ragioni per le quali una riduzione efficace dei livelli globali delle emissioni va incontro necessariamente a grandi difficoltà.

In effetti, non è logico presumere che un Paese, ricco o povero che sia, debba fissare o concordare obiettivi su un arco di tempo di 50 anni. Considerata la natura stessa del problema - processo decisionale graduale, incertezza su tutti i parametri più importanti (compresi costi, schemi di efficienza della riduzione, tecnologia) - sarebbe più saggio adottare una strategia più flessibile che fornisca incentivi e normative in grado di raggiungere progressi intermedi misurabili, pur continuando nel frattempo a generare molte utili informazioni.

In altre parole a mio avviso dovremmo concentrare i nostri sforzi su un arco di tempo più breve, per esempio i prossimi 15 anni. Sul lungo periodo, coronati da successo, tali risultati avranno bisogno di importanti progressi tecnologici e di una loro ampia adozione. Poiché oggi l'esito di tutto ciò è tuttora ignoto, la sfida iniziale sarà quella di dare comunque inizio a una considerevole limitazione delle emissioni e a un processo conoscitivo, creando incentivi forti per la tecnologia che aumentino l'efficienza energetica e riducano le emissioni di CO2 sul lungo periodo.

Fissare obiettivi raggiungibili tra 15 anni

Passare all'azione adesso è equiparabile all'acquisto di quella che in finanza chiamano " un'assicurazione contro gli eventi estremi". La domanda che dobbiamo porci è quale tipo di azione intraprendere. Poiché combattere il cambiamento del clima implica prendere decisioni in diversi momenti e su un periodo di tempo lungo, un aspetto cruciale per affrontare e risolvere il problema è riconoscere che quanto più aumenteranno le concentrazioni di gas serra, tanto più impareremo qualcosa sulla ripartizione dei possibili risultati. Questo è il motivo per il quale rimandare l'adozione di obiettivi a lungo termine non è il metodo migliore di lavorare: al contrario, quanto più diverranno chiari i possibili risultati, dovremo sicuramente far fronte alla necessità di ridurre fortemente i consumi energetici, quanto meno tra i Paesi sviluppati, come pure i costosi progressi tecnologici concepiti per rendere più efficienti i consumi energetici sia nel mondo sviluppato sia nel mondo in via di sviluppo. Ciò comporterà quasi certamente ingenti tagli nei consumi di combustibili fossili, sostenuti da tasse e altre restrizioni.

Nessuno dovrebbe aspettarsi che i costi della lotta al cambiamento del clima siano bassi: tali costi, però, avranno un peso significativamente maggiore se non adotteremo assennate strategie globali che prevedano di adattare i nostri sforzi di riduzione delle emissioni alle nuove informazioni di cui disporremo.

di Michael Spence

Premio Nobel 2001 Stanford University

7 dicembre 2009

 

 

 

Potenziare il nucleare può alleviare gli sforzi

di Mohamed el-Baradei

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7 dicembre 2009

Spesso mi chiedono se l'energia nucleare è sicura. La mia risposta è: "Sì, quanto viaggiare in aereo". Gli incidenti aerei si verificano, ma sistemi di grande efficienza fanno sì che siano estremamente rari, talmente rari che la stragrande maggioranza di noi si imbarca su un aereo senza preoccuparsi minimamente. Altrettanto dicasi per l'energia nucleare, quantunque vi siano sempre preoccupazioni che un incidente grave possa avere conseguenze di enorme portata per gli esseri umani e per l'ambiente.

Il futuro dell'energia nucleare sarà uno dei temi scottanti al tavolo della conferenza sul clima a Copenhagen. Nei prossimi venti anni la capacità di produrre energia nucleare a livello globale potrebbe raddoppiare. Già una trentina di paesi ne fa uso e molti di essi - tra i quali Cina, Russia e India- stanno progettando di espandere considerevolmente i loro programmi. Più o meno altri 60 paesi hanno informato l'Agenzia internazionale per l'energia atomica ( Aiea) di essere interessati a costruire centrali nucleari.

L'energia nucleare è di palese interesse per i paesi ricchi come per i poveri. Il mondo in via di sviluppo ha un bisogno disperato di accedere all'elettricità per poter togliere dalla grave condizione di indigenza la popolazione e per garantire uno sviluppo sostenibile. In alcuni paesi africani il consumo procapite di energia è pari a circa 50 chilowattora per anno, rispetto a una media di 8.600 nei paesi dell'Ocse. In ogni paese si nutrono timori per la sicurezza dei rifornimenti energetici, tenuto conto che le riserve dei combustibili fossili si stanno assottigliando, e per le imprevedibili fluttuazioni del prezzo di greggio, carbone e gas. Anche il cambiamento del clima è una preoccupazione crescente. L'energia nucleare non costituisce una panacea per tutti i problemi energetici del pianeta, ma continuerà a essere parte di quel mix di energie globali di cui ci si servirà nell'immediato futuro.

I singoli paesi dovranno soppesare costi e benefici dell'energia atomica. Ogni paese ha diritto di adottare il nucleare, purché ciò vada di pari passo con le responsabilità di farlo correttamente. L'Aiea non esercita pressioni a favore dell'energia nucleare, ma quando un paese decida di intro-durre l'energia nucleare, si adopera per garantire che ciò avvenga in modo sicuro e per fini pacifici. I rischi per le persone e l'ambiente che nascono dal nucleare sono ben noti: possono essere valutati e controllati. Attualmente è in vigore un particolareggiato regime di sicurezza che prevede strumenti legali internazionali vincolanti, standard per la sicurezza concordati, controllo e valutazioni da parte degli altri paesi, sistemi integrati a livello nazionale di controllo governativo e di regolamentazione, ricerca e sviluppo.

La sicurezza nucleare è migliorata significativamente dopo l'incidente di Chernobyl del 1986, il peggiore episodio che la storia ricordi. Ma i rischi di incidenti non possono essere eliminati del tutto: c'è sempre modo di migliorare ed è indispensabile una vigilanza ininterrotta. È fondamentale che si radichi un'autentica cultura della sicurezza, non ultimo nei Paesi nuovi all'energia nucleare.

I reattori disponibili oggi sono completamente diversi da quello di Chernobyl. Per garantire che le strutture nucleari siano gestite nel pieno rispetto dei più alti standard di sicurezza, esistono alcune misure da rispettare, per esempio controllare le dispersioni di materiale radioattivo nell'ambiente, per prevenire la possibilità di eventi che possano condurre a perdere controllo del cuore di un reattore nucleare, e per ridurre al minimo le conseguenze qualora un deprecabile incidente di questo tipo dovesse aver luogo.

Che cosa resta da fare? La sicurezza nucleare è prima di tutto una responsabilità nazionale, ma poiché i rischi trascendono il tracciato dei confini, occorre un'autentica e stretta collaborazione internazionale. Dobbiamo adoperarci al meglio per allargare la diffusione delle convenzioni internazionali e dei codici di comportamento. In alcuni paesi c'è una preoccupante coesistenza di reattori di vecchio tipo e deboli normative. Occorre pertanto fare passi avanti, e dimostrare la sicurezza delle modalità con le quali sono stoccate a lungo termine le scorie radioattive.

Benché gli standard di sicurezza dell'Aiea siano parametri internazionali riconosciuti sono pur sempre volontari, non vincolanti. Lo stesso vale per le missioni di controllo da parte degli altri Paesi, formate da esperti di tutto il mondo, che noi mettiamo insieme per poter genuinamente valutare la sicurezza del programma energetico nucleare di un dato Paese. Tutti i Paesi dovrebbero accettare gli standard per la sicurezza e le missioni di controllo internazionali, che dovrebbero essere rese vincolanti e obbligatorie. L'energia è il motore dello sviluppo e lo sviluppo sostiene la vita. Dobbiamo fare il massimo possibile per garantire che l'energia nucleare a scopi pacifici resti al servizio del genere umano.

7 dicembre 2009

 

 

L'Italia in cerca di flessibilità

di Jacopo Giliberto

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7 dicembre 2009

L' Italia alla conferenza Onu di Copenaghen sul clima si presenta con una posizione un po' più negoziale, più mediatrice rispetto all'immagine compatta che di sé dà l'Unione europea. I negoziatori Ue sono molto aderenti alla posizione impostata soprattutto dai paesi nordici, cioè mirata su forti impegni di riduzione delle emissioni di anidride carbonica; gli italiani invece più che ai vincoli imposti tramite tagli e obiettivi quasi irraggiungibili preferiscono ragionare per strumenti e programmi.

Questa posizione italiana, più mediatrice, risponde al problema dell'Italia in rapporto con le emissioni di anidride carbonica. Il sistema europeo si è basato appunto sulla fissazione di obiettivi (la proposta ora in discussione parla di un taglio drastico delle emissioni del 30%: irraggiungibile con le tecnologie attuali) e sulla discrezionalità che ogni singolo paese europeo ha avuto nel trattare con Bruxelles le sue quote. Così alcuni paesi (Germania, Francia, Polonia per esempio) hanno conquistato programmi generosi, e quindi possono vendere sul mercato europeo molte quote di emissione, mentre l'Italia,per la debolezza di sequenze di governi (non è colpa di un solo governo) e per l'alta efficienza energetica già raggiunta, è stata sottoposta a quelle che il sistema industriale percepisce come vessazioni.

Nei fatti, il mercato europeo delle quote di emissione si sta limitando a produrre un semplice trasferimento di denaro da un sistema industriale all'altro e ha caratteristiche spiccatamente finanziare, senza avere come sottostante una reale propensione agli investimenti ambientali.

Osserva Corrado Clini, direttore generale del ministero dell'Ambiente e uno dei più noti negoziatori ecologici, che "l'Unione Europea, nonostante il "pacchetto clima-energia" e la disponibilità a mettere in campo importanti risorse finanziarie, fatica a definire una iniziativa in grado di affrontare la sfida tecnologica globale valorizzando tutte le potenzialità della nostra grande economia integrata che ha già raggiunto livelli significativi di efficienza e innovazione".

L'Europa – dicono le imprese italiane – è troppo concentrata sulle sue regole e sembra ancora aspettarsi che il resto del mondo si allinei al modello europeo.

Come si sa, "in un manzo la coda è la parte più difficile da mangiare": come è facile conseguire molti cavalli in più partendo da un motore poco spinto mentre è costoso aggiungere un filo di potenza di più a un moto-re estremo, così il costo marginale per conseguire un po' di efficienza in più è molto alto ed è più facile conseguire un miglioramento partendo da una tecnologia più arretrata.

È il principio dei cosiddetti clean development mechanisms, i meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto ma il cui ricorso è limitatissimo dal sistema europeo. Poiché il clima è un problema del pianeta e le emissioni di anidirde carbonica sono uguali in tutto il mondo, il Protocollo di Kyoto conteggia alla pari una riduzione di emissioni conseguita su una moderna centrale ad alta efficienza (l'Italia ha le centrali a migliore rendimento in Europa) e su una vecchia centrale a lignite in Polonia, in Cina o in Serbia.

Le imprese italiane chiedono perciò di poter lavorare senza difficoltà in altri paesi.

A parere degli imprenditori italiani, Copenaghen segnerà un passaggio positivo se ci sarà convergenza su un quadro di riferimento condiviso di misure e regole, da mettere a punto e adottare da qui al 2012, per la creazione di una nuova economia globale decarbonizzata in grado allo stesso tempo di sostenere la crescita e dimezzare le emissioni entro la metà del secolo. Altrimenti, ogni ipotesi rimane pura utopia.

7 dicembre 2009

 

 

 

Quattro nodi da sciogliere ora o mai più

di Connie Hedegaard

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7 dicembre 2009

Ci sono momenti cruciali nella Storia in cui il mondo può scegliere di imboccare una strada piuttosto che un'altra. La conferenza del clima di Copenhagen è uno di questi: potremo infatti scegliere se imboccare la strada che conduce al benessere verde e a un futuro più sostenibile; oppure quella che porta a un vicolo cieco, dove non si fa nulla per il clima e si preferisce lasciare che siano i nostri figli ei nostri nipoti a pagare un enorme prezzo. Non si tratta di una scelta così difficile.

L'obiettivo del governo danese è chiaro: ci stiamo adoperando per un accordo ambizioso e globale che riduca le emissioni di gas serra e trovi risposte adeguate per l'adattamento necessario, le tecnologie e i finanziamenti. Inoltre Copenhagen dovrebbe portare a fissare una scadenza improrogabile per firmare un accordo legalmente vincolante. Il tempo è elemento prezioso, perché per ogni giorno che aspettiamo, il prezzo da pagare aumenta e le conseguenze del cambiamento del clima, potenzialmente catastrofiche, si moltiplicano. Secondo l'Agenzia internazionale per l'energia, ogni anno sprecato per inazione ci costerà 500 miliardi di dollari. Dobbiamo sfruttare lo slancio affinchè i leader del mondo reagiscano con tempestività.

La scadenza di Copenhagen serve: uno alla volta i governi stanno assolvendo al loro dovere in vista della conferenza che si apre domani. Di recente, Brasile e Corea del Sud hanno fissato obiettivi concreti e la Russia ha rilanciato la sua determinazione ad agire. Il presidente Obama ha annunciato gli obiettivi degli Stati Uniti, non soltanto per il 2020, ma- forse più interessanti - quelli per il 2025 e il 2030. Una riduzione delle emissioni del 4% rispetto ai valori del 1990 forse non è quello che il mondo auspicava, ma gli Usa sembrano consapevoli ormai che il prezzo da pagare per il ritardo accumulato è che dopo il 2020 le riduzioni dovranno essere molto più consistenti, pari al 18% in meno rispetto ai livelli del 1990 nel 2025 e del 32% nel 2030. Altrettanto degno di nota è che la Cina si sia fatta avanti apertamente: ora dobbiamo analizzare con attenzione in quali termini si tradurrà l'annuncio cinese di prendere le distanze dal modus operandi usuale.

Tutto ciò è un segno evidente che la scadenza di Copenhagen funziona e chei leader internazionali avvertono le forti pressioni derivanti dalle aspettative di cittadini, aziende e società. Adesso è giunta l'ora per i leader di onorare gli impegni presi e assicurare che a Copenhagen ci sia un accordo ambizioso e veramente globale sul clima. La Danimarca non ha fissato la scadenza di dicembre 2009. Con l'Action Plan di Bali, la comunità internazionale aveva deciso tutta insieme che il Cop-15 di Copenhagen dovesse diventare il punto di svolta nella campagna necessaria a farsì che il mondo imbocchi una strada più sostenibile. Firmarono quell'accordo 192 paesi, e adesso dobbiamo far sì che questa scadenza non ci sfugga dalle mani. I leader internazionali hanno promesso ai cittadini di questo pianeta di trovare una soluzione. Adesso è il momento di far fronte a queste responsabilità.

L'intesa dovrebbe rispondere a quattro sfide: 1) prevedere obiettivi vincolanti peri paesi sviluppati di riduzione delle emissioni di gas serra con scadenze a medio e lungo termine e mettere le economie in via di sviluppo sulla strada giusta per un futuro più verde e più pulito; 2) prevedere di aiutare i paesi più vulnerabili, quelli che saranno colpiti per primi e in forma più dura; 3) attirare nuovi finanziamenti, alcuni dei quali dovranno sovvenzionare l'adattamento dei Paesi in via di sviluppo; 4) definire in che termini potremo collaborare tutti insieme per sviluppare e diffondere tecnologie e know how. Queste sono le quattro pietre angolari che a Copenhagen dovremo garantire. Non abbiamo alternative. Il tempo è scaduto: facciamo quello che va fatto.

traduzione di Anna Bissanti

7 dicembre 2009

 

Clima nel vortice dei numeri

di Marco Magrini

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7 dicembre 2009

È come fra il dire e il fare. Fra le parolee i numeri,c'è di mezzo il mare.L'incerto futuro del "più importante trattato internazionale dal dopoguerra a oggi", come Lord Nicholas Stern ha definito l'intesa che il vertice di Copenhagen dovrebbe par-torire, resta appeso a un fatale divario fra le lettere dell'alfabeto e il sistema decimale A parole, non c'è governo del mondo che neghi l'esistenza di un grave problema climatico, causato dall'abitudine umana di pescare il carbonio fossile da sottoterra e di spargerlo nella stratosfera. Ma quando si parla- invece che con le lettere con i numeri, tutto cambia.

La scienza non ha dubbi, sull'innata capacità dell'anidride carbonica di trattenere la radiazione infrarossa del pianeta, ma le incertezze sulle previsioni, e quindi sui numeri, lasciano spazio a diverse interpretazioni. I Paesi del mondo che da domani, per due settimane, siederanno al tavolo delle trattative, a conti fatti devono solo concordare su dei numeri: in quali percentuali tagliare le rispettive emissioni di gasserra, entro quale anno, con quale ripartizione fra nazioni industrializzate e in via di sviluppo, nonché quanti miliardi di dollari sborsare per finanziare la monumentale operazione. Peccato che, sin qui, nessuno abbia voluto parlare di soldi. E peccato che le disparità delle rispettive offerte numeriche di tagli alle emissioni – con una virtuosa Europa cinque volte più volenterosa dell'America sprecona – non depongano a favore di un imminente accordo.

Così, per capire il garbuglio del summit Onu che va a cominciare, non c'è nulla di meglio che parlare di numeri.

La temperatura media del pianeta è salita di 0,7 gradi centigradi , dall'inizio del Novecento a oggi. I 2.500 scienziati dell'Ipcc, la massima autorità climatica di cui il mondo dispone, sostengono che nel 2100 la variazione potrebbe arrivare, a seconda delle future politiche di controllo delle emissioni, fino a 1,6 gradi , ma anche fino a 6 . Siccome gli stessi esperti sostengono che già oltre quota 2 gradi ci si possono aspettare effetti altamente indesiderati, arrivare a 6 equivarrebbe a diseredare i nostri pronipoti dalla Terra.

Tutta colpa della concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera: prima della rivoluzione industriale erano 280 parti per milione ( ovvero 280 molecole di CO2 ogni milione di molecole) e oggi sono sopra alle 390 . Secondo l'Ipcc, scavalcare quota 450 ppm significherebbe superare, già a metà secolo, la soglia dei 2 gradi.

La ricetta? Tagliare di almeno il 50% le emissioni, da qui al 2050 . Non rispetto alle 31 milioni di tonnellate di CO2 emesse quest'anno dai combustibili fossili, ma rispetto alle circa 20 del 1990 , che è l'anno zero della diplomazia climatica.

Il mondo ha consumato quest'anno circa 32 miliardi di barili di petrolio, 3,1 miliardi di tonnellate di carbone, 2.600 miliardi di metri cubi di gas naturale. Secondo l'Aie, la domanda globale di energia crescerà del 55%, da qui al 2030. In questi venti anni, si stima che l'infrastruttura del sistema energetico mondiale richederà 26mila miliardi di dollari di investimenti, oltre la metà dei quali nei paesi in via di sviluppo. Ma se il mondo non riesce a dirigere questi investimenti verso le energie carbon-free, nel 2050 le emissioni saranno salite del 50%, piuttosto che diminuite.

Prima ancora di sedersi nella sala plenaria del Bella Center di Copenhagen, la maggior parte dei paesi industrializzati ha già annunciato le ambizioni percentuali dei propri tagli alle emissioni, nel medio periodo. L'Europa,con il suo piano 20 20-20 entro il 2020 (-20% di CO2, +20% di efficienza energetica, 20% dei combustibili da fonti rinnovabili) resta la paladina della lotta ai cambiamenti climatici.

Barack Obama ha virato di 180°? dalle posizioni di Bush e, nonostante il Senato non abbia intenzione di approvare la sua legge, il presidente promette di voler tagliare del 17% le emissioni da qui al 2020 . Quasi quanto l'Europa. No, perché Obama prende a riferimento il 2005 . Rispetto al 1990 ( usato dall'Europa), la concessione di Washington si ferma intorno al 4% .

La Cina è tutt'altra cosa. Siccome ha cominciato molto, molto più tardi, a sommare anidride carbonica nell'atmosfera, è stata sin qui esentata da qualsiasi impegno. Però i conti parlano chiaro: nonostante le emissioni procapite cinesi siano un quarto di quelle americane e la metà di quelle europee, le previsioni sulla crescita economica lasciano poco scampo. Hu Jintao non offre tagli, ma solo di ridurre l'intensità energetica del 40-45% entro il 2020.Traduzione:mentre l'economia crescerà al galoppo, i cinesi investiranno in nuove energie e nell'efficienza, in modo di sganciare la crescita delle emissioni da quella del Pil.

Poi il Giappone del nuovo premier Hatoyama si è lanciato in una coraggiosa offerta: un taglio del 25% . Il Brasile addirittura un 38% , per la metà ricavate da un freno alla deforestazione amazzonica (soprattutto se a Copenhagen si troverà, cosa piuttosto facile, un accordo sui finanziamenti per milardi di dollari ). E l'India,nonostante non voglia neppur sentir parlare di obblighi, ha appena annunciato di voler fare come la Cina. Ma solo al 20 25%. Senza dimenticare un numero fondamentale: quello del prezzo del carbonio.

Come previsto nel 1997 dal Protocollo di Kyoto (che si proponeva di ridurre le emissioni del 5,2% fra il 1990 e il2012, ma non c'è riuscito) la sterzata energetica dovrà essere incentivata da un sistema di mercato, con lo scambio di strumenti finanziari. Nel cosiddetto mercato Ets europeo, il prezzo dei certificati di carbonio (ovvero il diritto a emettere una tonnellata di CO2) è a lungo oscillato intorno ai 20 euro . Si dà per scontato che, nel futuro, per incentivare davvero l'economia verde questo prezzo dovrà essere sensibilmente più alto.

Sono 192 i Paesi che partecipano all'Unfccc (la struttura Onu che gestisce i colloqui climatici), in rappresentanza di 6,7 miliardi di uomini e donne, che a metà secolo diventeranno 9 . Non hanno mai dato prova di concordia e le probabilità statistiche che lo siano stavolta, sono solo un po' più alte del solito.

I numeri, li dividono ancora. C'è la storia delle email rubate all'Università dell'East Anglia, in Inghilterra, dove si è scoperto che alcuni collaboratori dell'Ipcc suggerivano di alterare i numeri delle loro misurazioni scientifiche, pur di sospingere la causa ambientalista. C'è chi dice che 450 ppm sono troppi e che bisognerebbe tornare rapidamente a 350 ppm .

C'è anche chi dice - come James Hansen della Nasa, forse la voce più catastrofista della comunità scientifica- che sarebbe bene se Copenhagen fallisse, in modo da abbandonare questa storia dei crediti di carbonio, così simile alle indulgenze. Per Hansen, sarebbe molto meglio mettere una tassa secca sui consumi di combustibili fossili. Anche qui: e con quale percentuale? Da domani, comincia un'alluvione di parole. Ma tutto, alla resa dei conti, dipenderà dai numeri.

7 dicembre 2009

 

 

Il summit non penalizzi la crescita delle imprese

di Jacopo Giliberto

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3 dicembre 2009

Qualunque cosa uscirà dal summit di Copenaghen, per l'industria italiana (e non solamente italiana) l'importante è la compatibilità, l'equivalenza di regole e condizioni. Compatibilità ed equivalenza possono sembrare parole altisonanti da negoziato internazionali. Invece hanno un senso preciso, pratico, operativo. "Gli obiettivi ambientali che il mondo vorrà darsi per contenere le emissioni di anidride carbonica – commenta Aldo Fumagalli Romario, imprenditore milanese e presidente della commissione Sviluppo sostenibile della Confindustria – devono essere equivalenti e confrontabili tra i diversi paesi. Non devono creare distorsioni di concorrenza tra le aziende, tra i sistemi imprenditoriali".

Fumagalli, che cosa immagina che potrà emergere dal summit sul clima?

Mi auguro che a Copenaghen si raggiunga un successo. Non importa che sia una cifra, un numero o un dato di emissione. L'importante è che tutti i paesi decidano di condividere insieme un percorso e un impegno comune nell'affrontare una via che in tempi brevi, comunque entro un anno, permetta di condividere impegni impegni vincolanti per tutti, impegni equivalenti per i paesi industrializzati e impegni sfidanti per quelli in via di industrializzazione.

Ma un'intesa non sembra così vicina.

In effetti gli Stati Uniti hanno proposto un impegno massimo di ridurre del 4% nel 2020 le emissioni rispetto al 1990, contro un 20% dell'Europa. Sono obiettivi non equivalenti e andrà trovata una soluzione.

E la Cina?

La Cina, che fino a poco tempo fa era restìa a ogni impegno, è disponibile a contenere perlomeno l'aumento delle emissioni dal 2005 al 2020 e questo passo è da considerare come un elemento positivo su cui impostare e procedere nel negoziato verso quegli impegni sfidanti per i paesi meno industrializzati.

Altre cose che vi augurate da Copenaghen?

Ci auguriamo che da Copenaghen venga sancita una maggiore possibilità di usare meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto ma osteggiati da Bruxelles, i quali permettono alle aziende di fare investimenti ambientali anche in paesi fuori dall'Europa e di poterli conteggiare tra gli obiettivi europei. La sfida del clima è globale, un investimento in qualunque parte del mondo ha lo stesso beneficio, la stessa dignità e lo stesso effetto. Le aziende italiane, in termini di efficienza, spinte dai problemi di costo dell'energia, sono tra le più efficienti in termini di contenimento dei consumi e potrebbero dare un contributo molto interessante. Dovrebbe emergere forte la necessità di puntare molte energie, molti progetti e programmi sull'efficienza energetica.

Per esempio?

Il margine di miglioramento delle dispersioni nelle case è molto ampio. Investimenti in questa direzione permette di ridurre dalle due alle tre volte gli sprechi di energia delle case, e il settore residenziale circa il 60% delle emissioni di anidride carbonica.

3 dicembre 2009

 

Copenhagen countdown -15

e se fosse pareggio?

di Marco Magrini

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3 dicembre 2009

Mancano solo quindici giorni. Non all'apertura del vertice di Copenhagen, ma alla sua chiusura, ovvero al momento in cui Connie Hedegaard – gran cerimoniere del summit, nonché neo commissaria europea per il clima – dira che "les jeux sont fait". Senza però aggiungere: "rien ne va plus".

Gli osservatori non sono genericamente troppo ottimisti: le mezze promesse di Cina e Stati Uniti – con Wen Jiabao e Barack Obama che verranno in Danimarca a ripeterle – non bastano a controbilanciare il divario fra il mondo ricco e quello povero, e neppure la distanza abissale fra gli indispensabili (e enormi) investimenti necessari e la volontà dei Paesi industrializzati di mettere mano al portafoglio. In questo scenario, quando la Hedegaard annuncerà che i giochi sono fatti, se l'esito non sarà soddisfacente non aggiungerà rien ne va plus perché – come molti sussurrano – il vertice dovrà produrre almeno un accordo-quadro da riempire di contenuti entro sei o, al massimo, dodici mesi.

Yvo De Boer, il capo dell'Unfccc (la convenzione Onu che tira le fila della diplomazia climatica internazionale) sta cercando di scongiurare una simile eventualità. "Questo è un evento dove si vince o si perde", ha detto. Ovviamente, secondo De Boer, chi vincerà o chi perderà, sarà il genere umano. In realtà, un pareggio – ovvero la firma di un accordo quadro da completare in tempi rapidi – potrebbe essere un risultato onorevole, per questa partita con 194 giocatori, quanti i Paesi del mondo. Ma, se qualcuno volesse scommettere, scommetterei – magari solo come dimostrazione di wishful thinking – su una vittoria.

L'esito non è scontato. Fra quattro giorni, la partita comincia.

3 dicembre 2009

 

 

Lo scaffale di Copenaghen

di Sylvie Coyaud

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Ai lettori dai sei anni in su suggeriamo alcuni libri, e alcuni rapporti accessibili gratuitamente on-line, per inquadrare i risvolti scientifici, politici, economici e umani del cambiamento climatico di cui si parlerà al vertice di Copenaghen dal 7 al 18 dicembre.

 

"La battaglia di un orso polare contro il riscaldamento globale"

Jean Okimoto e Jeremiah Trammel, Winston

Churchill, nel Manitoba, è abitato da allegri orsi bianchi che vivono di turismo. Ma il villaggio si sta sciogliendo e l'orso Winston organizza proteste contro chi distrugge le case di ghiaccio. Quanto alla signora Winston trova che farebbe meno caldo se il marito spegnesse quel suo sigaro. Premio canadese del miglior libro sull'ambiente 2008, per lettori dai 6 anni in su.

Terre di mezzo, pagg. 32 illustrate, euro 7,50

"La scelta. Come possiamo risolvere la crisi climatica"

Al Gore Jr.

L'ex vice presidente Usa e premio Nobel per la Pace passa in rassegna soluzioni in grado di frenare le emissioni di gas serra. Scrive per chi, come lui, ama capire nei particolari e magari con un bel grafico a colori "come funziona" una turbina eolica, come tagliare le emissioni di metano (e risparmiare sui fertilizzanti e i macchinari) lasciando la pianta sul terreno, una volta tagliata la spiga. Ammette di aver sbagliato quando ha votato a favore delle sovvenzioni al bioetanolo, che in Usa consuma più energia di quanto se ne ricava. Pur invocando Dio – e Theodor Adorno –, la pensa come il presidente cinese Hun Jintao: una crisi è un'occasione per sperimentare idee nuove. Vinca la migliore, mentre lo Stato garantisce una competizione leale che modernizza le infrastrutture, per esempio scuole, sanità, reti elettriche, idriche e dei trasporti di merci e persone, come da stimolo fiscale in Cina e in Usa. Le idee e le tecniche nuove abbondano, scrive, e chi ne dubita s'è ovviamente perso la fiera multipla delle emissioni zero – energie rinnovabili, nanotecnologie, robotica – che si teneva la scorsa settimana a Rho, vicino a Milano. Quanti dei nostri lettori, che a maggioranza sostituirebbero l'auto attuale con una elettrica – vedi il sito ilsole24ore.com –, hanno dovuto esser trascinati fuori a forza ieri all'ora della chiusura, mentre ammiravano le "batterie di nuova generazione"?

Rizzoli, pagg. 416, euro 35,00

"Che tempo farà"

Luca Mercalli

Il sunto delle conoscenze sul clima scritto dallo staff scientifico della Società meteorologica italiana (nata nel 1865): Luca Mercalli, il suo noto presidente, Valentina Acordon, fisica dell'atmosfera, Claudio Castellano, analista del maltempo estremo, e Daniele Cat Berro, specialista di nevi e ghiacciai, tutti esperti di modelli previsionali. Tanta competenza non pesa: il libro è pensato per "debuttanti" come i ragazzi che gli autori incontrano spesso nelle scuole.

Rizzoli, pagg. 300, euro 21, 00

"Il clima e i suoi cambiamenti"

Pascal Desjour

Come crearsi in casa, e con materiali che i grandi lasciano in giro, il Sole, la Terra e la Luna, sperimentare il moto delle maree, le correnti oceaniche, la radiazione solare, i venti prevalenti, l'effetto Coriolis. A nostro avviso, meglio usare la vasca da bagno che l'acquaio di cucina. Il libro esce nella collana "Apprendisti scienziati", delizia dei ragazzi tra gli 8 e 12 anni.

Editoriale Scienza, pagg. 80 illustrate, euro 7,90

"In un mondo sempre più caldo. State of the World 2009"

World Watch Institute

Quaranta esperti valutano le nuove tecnologie per ridurre e se possibile eliminare i gas serra che gli oceani e le foreste non riescono più ad assorbire, gli incentivi e gli accordi efficaci per spingere i paesi ad adottarle, le strategie di adattamento e di mitigazione per i paesi più poveri. Raccomandato per la grande quantità di dati e di punti di vista, e soprattutto per i capitoli su Cina e India, in rapido sviluppo e con 2,5 miliardi di abitanti.

Aa. Vv.

Nel tempo libero 26 ricercatori hanno vagliato le ricerche uscite dal 2006 in poi

per aggiornare il rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) del febbraio 2007. Le novità sono il risultato di misure reali: i ghiacci s'assottigliano nell'Antartico orientale, dove fino all'anno scorso si riteneva che fossero stabili; quelli della Groenlandia e del mare Artico si sciolgono più velocemente del previsto; in 15 anni il livello del mare è aumentato di 5 centimetri, l'80% in più rispetto alle proiezioni dell'Ipcc.

www.copenhagendiagnosis.com

"The State of Food Insecurity in the World"

FAO

L'agenzia dell'Onu approfitta di Copenaghen per ricordare ai governanti gli impegni presi e non mantenuti degli "obiettivi del millennio". Il numero degli affamati ha superato il miliardo, nei paesi poveri e nelle sacche di povertà di quelli ricchi. Si allungano i cicli di siccità dalla California al Sudafrica e all'Australia – granaio del mondo, fino a pochi anni fa – e i monsoni arrivano in ritardo dal Sud-est asiatico all'Africa subsahariana.

www.fao.org/publications/en/

"Rapporto UNFPA 2009 Donne, popolazione e clima in un mondo che cambia"

AIDOS

1 Qui si trovano i dati più confortanti: dove le donne sono libere di disporre del proprio corpo, fanno meno figli e questi sono più sani. In una generazione, il tasso di fecondità mondiale è passato da 6,4 a 3,6, in India e in Cina è già sotto il livello di sostituzione (2,1). Le donne, che nel terzo mondo garantiscono fino all'80% della produzione alimentare, hanno già dovuto adattarsi al caldo crescente, imparare a conservare l'acqua, per esempio, laddove i fiumi si prosciugano.

www.aidos.it

"Clima, è vera emergenza"

Nicholas Stern

Il "Rapporto Stern" commissionato all'economista omonimo dal governo britannico per esaminare i costi di una limitazione dei gas-serra non era esattamente un thriller. L'autore se n'è reso conto e ha cercato di riassumerlo in un linguaggio user-friendly. A sorpresa, ci è riuscito e l'ha anche aggiornato, suscitando le stesse polemiche e le stesse accuse dell'originale, vedi sotto.

Brioschi, pagg. 160, euro 14,00

"Nessuna emergenza clima"

Nigel Lawson

Lord Lawson of Blaby accusa il barone Stern of Brentford e i suoi sostenitori di eco-fondamentalismo, anticapitalismo, para-comunismo e altre nefandezze. Cita ricerche screditate per affermare che se anche il clima sta cambiando, le nostre attività non c'entrano. Tuttavia deve fare i conti con l'ambientalismo dichiarato da David Cameron, presidente del suo partito e candidato premier alle prossime elezioni, il che ne smussa un tantino la verve.

Brioschi, pagg. 156, euro 14,00

"Effetto caldo"

Brian Fagan

Il pianeta ha attraversato grandi cambiamenti climatici e se l'è sempre cavata egregiamente. L'Homo sapiens ha rischiato più volte la pelle, come mostrano i "colli di bottiglia" genetici. Fagan, già autore della Lunga estate (Codice, 2005) racconta ora il "grande caldo" di mille anni fa. A nord, i raccolti erano più abbondanti, a Sud i mari più facili da navigare, ma fra i tropici c'erano siccità, carestie, nuovi patogeni. E oggi fra i tropici vivono i due terzi della popolazione umana.

Corbaccio Editore, pagg. 350, euro 20,00

"Le Alpi sotto serra"

Martine Rebetez

La climatologa osserva gli effetti del riscaldamento globale in un piccolo paese, fra le montagne svizzere dove la vegetazione sta cambiando, insieme a fragili ecosistemi. Nel mondo soltanto due ghiacciai del Sudamerica rimangono integri. Come gli altri centomila – stima dell'NSIDC – quelli svizzeri regrediscono, aumentano le frane, le valanghe e gli inverni senza neve che fanno disperare gli albergatori.

Casagrande editore, pagg. 128, euro 18,00

"La Natura, non l'attività dell'uomo, governa il clima"

Fred Singer

Il volumetto è uscito l'anno scorso in sordina. Peccato, è l'unico a sostenere che un ulteriore aumento dell'anidride carbonica in atmosfera non può che farci bene. Sintetizza le opinioni di un certo Comitato Internazionale Non-governativo sui Cambiamenti Climatici, formato da 40 lobbisti, politici della destra repubblicana e scienziati tra i quali un italiano che nelle riviste peer-reviewed ha pubblicato un solo articolo (sui temporali nella valle del Po).

21mo Secolo, pagg. 92, euro 10,00

"Guida alle leggende sul clima che cambia"

Stefano Caserini

Da abbinare al libro precedente. L'autore cerca di restare serio mentre analizza gli argomenti degli scettici, detti anche "negazionisti", che violano per prime le leggi della fisica. È il seguito del best-seller che ha dato il nome al premio "A qualcuno piace caldo", assegnato ogni 13 dicembre – giorno di Santa Lucia patrona dei non vedenti – alla più bella bufala uscita a stampa l'anno prima.

Edizione Ambiente, pagg. 192, euro 12,00

(in libreria dal 2 dicembre)

Edizioni Ambiente, pagg. 352, euro 22,00

"The Copenhagen Diagnosis 2009: Updating the world on the Latest Climate Science"

 

 

Meno emissioni: una via c'è

di Michael Spence (Nobel per l'economia)

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24 novembre 2009

I combustibili fossili presentano molti aspetti problematici: sono molto cari; sono fonte d'instabilità politica e di difficoltà di approvvigionamento e a mano a mano che a livello globale il loro consumo aumenta, i costi e le spese associate al loro utilizzo probabilmente s'impenneranno ancora molto. Cosa ancora peggiore, implicano immensi e insostenibili costi in termini di emissioni di anidride carbonica.

L'uso dei combustibili fossili - ai quali è riconducibile l'aumento delle emissioni di CO2 - pare andare di pari passo con la crescita e lo sviluppo. Rispetto ai paesi avanzati, il mondo in via di sviluppo ha sia bassi redditi procapite sia bassi livelli procapite di emissioni di anidride carbonica. Imporre rigide limitazioni all'aumento delle loro emissioni potrebbe ostacolare pesantemente la crescita del loro Pil e pregiudicare gravemente la loro capacità di tirarsi fuori dalla povertà.

Il mondo in via di sviluppo ha anche serie e giuste obiezioni per ciò che concerne pagare di tasca propria un intervento di miglioramento del cambiamento del clima. I paesi sviluppati sono collettivamente responsabili di gran parte dell'attuale accumulo di CO2 nell'atmosfera, come pure di una significativa quota (per quanto in lieve calo) delle emissioni annuali mondiali. Di conseguenza - così sostengono i rappresentanti del mondo in via di sviluppo - i paesi avanzati dovrebbero accollarsi in pieno la responsabilità di risolvere il problema.

Limitarsi a un semplice scaricabarile delle responsabilità nei confronti dei paesi avanzati, esentando i paesi in via di sviluppo dal dovere di limitare le emissioni a loro volta, non porterà ai risultati voluti. Per avere successo, una strategia finalizzata a combattere il cambiamento del clima deve essere non soltanto giusta, ma anche efficace. Se si consente ai paesi in via di sviluppo di crescere, e al contempo non sarà imposta alcuna riduzione alle loro emissioni di anidride carbonica, nei prossimi 50 anni la media delle emissioni procapite di CO2 in tutto il mondo raddoppierà, fino a quadruplicare quasi i livelli ritenuti sicuri, a prescindere da quello che faranno in merito i paesi avanzati.

Questi ultimi, da soli, non possono garantire il raggiungimento in ambito globale di sicuri livelli di CO2. Limitarsi ad attendere che i paesi in via di sviluppo in forte crescita recuperino il distacco con i paesi avanzati è ancor meno una soluzione proficua. Di conseguenza, la sfida più grande e importante per il pianeta è individuare una strategia che incoraggi la crescita nel mondo in via di sviluppo, ma seguendo una strada che si prefigga di raggiungere livelli sicuri di emissioni globali di anidride carbonica entro la metà del secolo.

Comprendere in che modo perseguire questo obiettivo significa dissociare la questione di chi debba pagare per gli sforzi più consistenti necessari a frenare il cambiamento climatico dalla questione di dove debbano aver luogo questi cambiamenti a livello geografico. In altre parole, insomma, se i paesi avanzati assorbono le spese necessarie a ridurre le emissioni sul breve periodo, mentre gli sforzi per ridurre le emissioni diminuiscono la crescita delle emissioni nei paesi in via di sviluppo, il conflitto tra la crescita dei paesi in via di sviluppo e il successo nella limitazione delle emissioni globali può essere riconciliato, o quanto meno sostanzialmente ridotto.

Queste considerazioni indicano che nessun obiettivo di riduzione delle emissioni dovrebbe essere imposto ai paesi in via di sviluppo, almeno fintantoché non si avvicinano a livelli di Pil procapite paragonabili con quelli dei paesi avanzati. Un corollario di importanza fondamentale per questa strategia è il trasferimento della tecnologia su ampia scala ai paesi in via di sviluppo, il che consentirebbe loro sia di crescere sia di ridurre le proprie emissioni.

La comunità internazionale ha già accettato il principio di base in virtù del quale i ricchi dovrebbero accollarsi la maggior parte delle spese connesse a migliorare il cambiamento climatico. Il Protocollo di Kyoto ha fissato una serie di "responsabilità comuni ma differenziate", che comportano ruoli asimmetrici per i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, e con obblighi per i paesi in via di sviluppo che si evolvono a mano a mano che essi progrediscono.

Il modo migliore per attivare questa strategia consiste nel ricorrere a un sistema di scambi commerciali per l'acquisto di quote di anidride carbonica (carbon credit trading system) nei paesi sviluppati, in modo tale che ciascun paese avanzato si veda assegnare una determinata quantità di permessi in base ai quali definire i propri livelli ammissibili di emissioni. Se un paese supererà tale livello, dovrà acquistare ulteriori permessi da altri paesi che riescono a raggiungere l'obiettivo di contenere le proprie emissioni al di sotto dei livelli autorizzati. Ma un paese avanzato potrà anche impegnarsi a ridurre sostanzialmente i livelli di emissione nel mondo in via di sviluppo e così guadagnare ulteriori permessi pari al valore complessivo dei risultati raggiunti nella riduzione delle emissioni (consentendo così di rilasciare maggiori emissioni in casa propria).

Un simile sistema innescherebbe un'accanita caccia imprenditoriale alle migliori opportunità di riduzione a basso costo delle emissioni nei paesi in via di sviluppo, perché i paesi ricchi vorrebbero sicuramente pagare meno abbassando le emissioni in altri paesi. Di conseguenza, anche quest'opera di contenimento delle emissioni diverrebbe più efficiente, e le stesse spese sostenute dai paesi avanzati produrrebbero riduzioni più consistenti delle emissioni globali.

Per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo, pur non avendo espliciti permessi o obiettivi fintantoché non raggiungeranno lo status di paese sviluppato, saprebbero che a un certo punto (per esempio quando le loro emissioni di CO2 raggiungeranno i livelli medi dei paesi sviluppati) entreranno anch'essi a far parte del sistema globale di limitazione. Ciò fornirebbe loro un incentivo anche prima di raggiungere quel momento preciso, esortandoli a prendere decisioni in materia di definizione dei prezzi energetici e di efficienza che nell'insieme ridurrebbe in ogni caso la crescita delle loro emissioni senza con ciò ostacolare la loro crescita economica, estendendo quindi il periodo di tempo durante il quale i livelli delle loro emissioni rimarranno privi di vincoli.

Il conflitto tra paesi sviluppati e in via di sviluppo per le responsabilità legate alla riduzione delle emissioni di Co2 non dovrebbe in ogni caso pregiudicare la possibilità di raggiungere un accordo globale. Una soluzione equa è sicuramente complessa, quanto è complesso del resto il cambiamento del clima stesso, ma per lo meno è sicuramente possibile.

Copyright: Project Syndicate, 2009

(Traduzione di Anna Bissanti)

24 novembre 2009

 

 

Clima, meglio sbagliare che restare immobili

di Martin Wolf

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2 dicembre 2009

Il vertice sul clima di Copenhagen è destinato a deludere le aspettative. È un problema? Sì e no. Sì, perché agire è urgentissimo.No,perché l'accordo che probabilmente uscirebbe dal vertice sarebbe inadeguato. Contrastare i cambiamenti climatici non sarà facile. È indispensabile realizzare l'obiettivo in modo efficiente ed efficace. Bisognerà sfruttare il probabile rinvio proprio per arrivare a questo risultato.

Io sono del parere che ci siano valide ragioni per agire con decisione, ma altri non la pensano così. Gli scettici oppongono due controargomentazioni: la prima è che le certezze scientifiche riguardo ai cambiamenti climatici sono molto vaghe, la seconda è che i costi superano i benefici.

Ma sostenere che non ci sono certezze scientifiche non basta. Considerando i rischi, dovremmo essere ragionevolmente sicuri che gli scienziati si sbaglino, prima di dare retta agli scettici. Quando scopriremo che gli scettici avevano torto, probabilmente sarà troppo tardi per fare qualcosa. Non possiamo fare l'esperimento due volte, abbiamo un pianeta solo.

Fortunatamente, i dati sembrano indicare che il costo delle misure non dovrebbe essere proibitivo. L'ultimo World Development Report della Banca mondiale afferma che i costi di un incremento delle restrizioni alle emissioni sarebbero modesti. Sul versante dei benefici, vorrei sottolineare l'importanza di evitare il rischio di una catastrofe climatica. Non abbiamo il diritto di assumerci rischi di questo tipo.

Gli scettici però ci offrono un servizio preziosissimo: ci ricordano di continuare a tenere sotto controllo gli sviluppi effettivi del clima e ci dicono che agire comporta dei costi, e alcuni costi – lasciare miliardi di persone nella povertà – sarebbero intollerabili.

Fortunatamente, come osserva la Banca mondiale, i poveri emettono poca CO2. Sostituire i Suv americani con automobili che rispettano i parametri di consumo di carburante dell'Unione Europea basterebbe a compensare la fornitura di energia elettrica a quel miliardo e seicento milioni di persone che oggi ne sonoprivi.

Ci sono valide ragioni per agire e probabilmente i costi non sarebbero proibitivi, ma sarà comunque difficilissimo. Come sottolinea l'Agenzia internazionale dell'energia ( Aie) nel suo World Energy Outlook, dovremo "decarbonizzare" la crescita per limitare le concentrazioni atmosferiche di CO2 a 450 parti per milione, il livello considerato coerente con un incremento della temperatura media globale di circa 2 gradi. Dovremo fare di tutto - ridurre la domanda, estendere l'uso delle energie rinnovabili,investire nel nucleare, sviluppare i sistemi di cattura e stoccaggio delle emissioni, passare dal carbone al gas e proteggere le foreste - per raggiungere questo obbiettivo.

Come ce la stiamo cavando? In una parola sola, malissimo. Nonostante il gran parlare, finora le emissioni sono aumentate, non solo in termini di stock, ma anche in termini di flusso. La recessione ha dato una mano, ma non possiamo (e ovviamente non dobbiamo) fare affidamento sull'apocalisse economica.Come fa notare l'Aie,le emissioni di CO2 legate alla produzione e al consumo di energia sono aumentate da 20,9 a 28,8 gigatonnellate (Gt) tra il 1990 e il 2007. L'Aie prevede emissioni di anidride carbonica pari a 34,5 Gt per il 2020 e 40,2 Gt per il 2030, un ritmo di crescita medio dell'1,5% l'anno.

Un dato cruciale è che "la crescita preventivata di qui al 2030 delle emissioni legate alla produzione e al consumo di energia sarà interamente dovuta" ai Paesi in via di sviluppo e ai Paesi emergenti, con il 55% dell'incremento che arriverà dalla Cina e il 18% dall'India. La ragione per intervenire in fretta a correggere queste tendenze è che in caso contrario i costi per limitare incrementi consistenti della temperatura risulterebbero estremamente alti, o addirittura, nella peggiore delle ipotesi, proibitivi. L'Aie sostiene che l'obbiettivo è limitare le concentrazioni di gas a effetto serra a 450 parti per milione: ogni anno di ritardo in questo senso aggiungerà 500 miliardi di dollari di costi supplementari al costo globale stimato di 10.500 miliardi di dollari. Questi costi sono il risultato della vita estremamente lunga dei capitali fissi impiegati nella generazione di energia e della vita ancora più lunga della CO2 nell'atmosfera.

Lo scenario alternativo è diverso: invece di 40,2 Gt di emissioni legate alla produzione e al consumo di energia nel 2030, ne avremmo solo 26,4 Gt. Il divario è colossale. Un documento della European Climate Foundation mostra che gli impegni assunti in vista di Copenhagen non sarebbero sufficienti a colmarlo. Nello scenario più ottimistico, le offerte avanzate al momento sono al di sotto di un terzo rispetto ai livelli che sarebbero necessari per non superare, entro il 2020, le 450 parti per milione di Co2.

Copenhagen sarebbe solo un inizio. Probabilmente non sarà nemmeno questo, dato che l'amministrazione Usa non riesce ad assumere impegni vincolanti e i Paesi in via di sviluppo non sono disposti a farlo. Eppure Copenhagen sembra la fine dell'inizio. Esiste qualcosa di simile a un consenso sulla necessità di agire. E sembra esserci consenso anche sul fatto che finora, nonostante la retorica, si è fatto ben poco di utile. Il momento di agire è adesso: se non sarà a Copenhagen, allora dovrà essere poco dopo.

Clima, meglio sbagliare che restare immobili

di Martin Wolf

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2 dicembre 2009

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Sfortunatamente, questo non significa che emergerà l'accordo giusto. Le misure adottate devono essere il più efficaci ed efficienti possibile. Che cosa significa? Metterò l'accento su tre criteri.

Bisogna fissare un prezzo alle emissioni che si applichi a orizzonti di pianificazione rilevanti. Questo prezzo non può essere stabilito una volta per tutte, deve cambiare a seconda degli eventi, ma dovrà essere più stabile di quanto non fosse nel mercato dei diritti di emissione messo in piedi dalla Ue. Per questo mi sembra più interessante l'idea di una tassa che l'idea di una Borsa delle emissioni.

In secondo luogo, bisogna separare gli oneri dell'abbattimento delle emissioni dal luogo dove queste avvengono. Le emissioni devono essere ridotte là dove è più efficiente farlo: ecco perché bisogna includere le emissioni dei Paesi in via di sviluppo. Ma i costi devono ricadere sui ricchi: perché se lo possono permettere e perché sono stati loro a produrre il grosso delle emissioni.

Infine, dobbiamo sviluppare e applicare innovazioni in tutte le tecnologie rilevanti. Un documento del think-tank Bruegel sostiene, in modo convincente, che limitarsia imporre un prezzo più alto alle emissioni di anidride carbonica rafforzerebbe la posizione delle tecnologie già esistenti. Servono sovvenzioni su larga scala anche per l'innovazione .

Combattere i cambiamenti climatici è la sfida collettiva più complessa che l'umanità si sia mai trovata di fronte. Per vincerla, servono azioni costose e concertate fra molti Paesi, per affrontare una minaccia remota, a beneficio di persone che ancora devono nascere, in condizioni di inevitabile incertezza sui costi del non agire. Ma siamo arrivati al punto in cui esiste un ampio consenso sulla natura della minaccia e sui tipi di provvedimenti necessari per affrontarla. Forse a Copenhagen non raggiungeremo un accordo. Ma è arrivato il momento di decidere. O agiamo in fretta, o finiremo per scoprire se gli scettici hanno ragione. E in questo secondo caso, spero proprio che abbiano ragione. Però ne dubito fortemente.

Martin Wolf Leader con le rughe. Dall'alto i poster di Obama, Merkel e Brown invecchiati da Greenpeace per non aver agito sul clima

2 dicembre 2009

 

 

Clima, meglio sbagliare che restare immobili

di Martin Wolf

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2 dicembre 2009

Il vertice sul clima di Copenhagen è destinato a deludere le aspettative. È un problema? Sì e no. Sì, perché agire è urgentissimo.No,perché l'accordo che probabilmente uscirebbe dal vertice sarebbe inadeguato. Contrastare i cambiamenti climatici non sarà facile. È indispensabile realizzare l'obiettivo in modo efficiente ed efficace. Bisognerà sfruttare il probabile rinvio proprio per arrivare a questo risultato.

Io sono del parere che ci siano valide ragioni per agire con decisione, ma altri non la pensano così. Gli scettici oppongono due controargomentazioni: la prima è che le certezze scientifiche riguardo ai cambiamenti climatici sono molto vaghe, la seconda è che i costi superano i benefici.

Ma sostenere che non ci sono certezze scientifiche non basta. Considerando i rischi, dovremmo essere ragionevolmente sicuri che gli scienziati si sbaglino, prima di dare retta agli scettici. Quando scopriremo che gli scettici avevano torto, probabilmente sarà troppo tardi per fare qualcosa. Non possiamo fare l'esperimento due volte, abbiamo un pianeta solo.

Fortunatamente, i dati sembrano indicare che il costo delle misure non dovrebbe essere proibitivo. L'ultimo World Development Report della Banca mondiale afferma che i costi di un incremento delle restrizioni alle emissioni sarebbero modesti. Sul versante dei benefici, vorrei sottolineare l'importanza di evitare il rischio di una catastrofe climatica. Non abbiamo il diritto di assumerci rischi di questo tipo.

Gli scettici però ci offrono un servizio preziosissimo: ci ricordano di continuare a tenere sotto controllo gli sviluppi effettivi del clima e ci dicono che agire comporta dei costi, e alcuni costi – lasciare miliardi di persone nella povertà – sarebbero intollerabili.

Fortunatamente, come osserva la Banca mondiale, i poveri emettono poca CO2. Sostituire i Suv americani con automobili che rispettano i parametri di consumo di carburante dell'Unione Europea basterebbe a compensare la fornitura di energia elettrica a quel miliardo e seicento milioni di persone che oggi ne sonoprivi.

Ci sono valide ragioni per agire e probabilmente i costi non sarebbero proibitivi, ma sarà comunque difficilissimo. Come sottolinea l'Agenzia internazionale dell'energia ( Aie) nel suo World Energy Outlook, dovremo "decarbonizzare" la crescita per limitare le concentrazioni atmosferiche di CO2 a 450 parti per milione, il livello considerato coerente con un incremento della temperatura media globale di circa 2 gradi. Dovremo fare di tutto - ridurre la domanda, estendere l'uso delle energie rinnovabili,investire nel nucleare, sviluppare i sistemi di cattura e stoccaggio delle emissioni, passare dal carbone al gas e proteggere le foreste - per raggiungere questo obbiettivo.

Come ce la stiamo cavando? In una parola sola, malissimo. Nonostante il gran parlare, finora le emissioni sono aumentate, non solo in termini di stock, ma anche in termini di flusso. La recessione ha dato una mano, ma non possiamo (e ovviamente non dobbiamo) fare affidamento sull'apocalisse economica.Come fa notare l'Aie,le emissioni di CO2 legate alla produzione e al consumo di energia sono aumentate da 20,9 a 28,8 gigatonnellate (Gt) tra il 1990 e il 2007. L'Aie prevede emissioni di anidride carbonica pari a 34,5 Gt per il 2020 e 40,2 Gt per il 2030, un ritmo di crescita medio dell'1,5% l'anno.

Un dato cruciale è che "la crescita preventivata di qui al 2030 delle emissioni legate alla produzione e al consumo di energia sarà interamente dovuta" ai Paesi in via di sviluppo e ai Paesi emergenti, con il 55% dell'incremento che arriverà dalla Cina e il 18% dall'India. La ragione per intervenire in fretta a correggere queste tendenze è che in caso contrario i costi per limitare incrementi consistenti della temperatura risulterebbero estremamente alti, o addirittura, nella peggiore delle ipotesi, proibitivi. L'Aie sostiene che l'obbiettivo è limitare le concentrazioni di gas a effetto serra a 450 parti per milione: ogni anno di ritardo in questo senso aggiungerà 500 miliardi di dollari di costi supplementari al costo globale stimato di 10.500 miliardi di dollari. Questi costi sono il risultato della vita estremamente lunga dei capitali fissi impiegati nella generazione di energia e della vita ancora più lunga della CO2 nell'atmosfera.

Lo scenario alternativo è diverso: invece di 40,2 Gt di emissioni legate alla produzione e al consumo di energia nel 2030, ne avremmo solo 26,4 Gt. Il divario è colossale. Un documento della European Climate Foundation mostra che gli impegni assunti in vista di Copenhagen non sarebbero sufficienti a colmarlo. Nello scenario più ottimistico, le offerte avanzate al momento sono al di sotto di un terzo rispetto ai livelli che sarebbero necessari per non superare, entro il 2020, le 450 parti per milione di Co2.

Copenhagen sarebbe solo un inizio. Probabilmente non sarà nemmeno questo, dato che l'amministrazione Usa non riesce ad assumere impegni vincolanti e i Paesi in via di sviluppo non sono disposti a farlo. Eppure Copenhagen sembra la fine dell'inizio. Esiste qualcosa di simile a un consenso sulla necessità di agire. E sembra esserci consenso anche sul fatto che finora, nonostante la retorica, si è fatto ben poco di utile. Il momento di agire è adesso: se non sarà a Copenhagen, allora dovrà essere poco dopo.

Sfortunatamente, questo non significa che emergerà l'accordo giusto. Le misure adottate devono essere il più efficaci ed efficienti possibile. Che cosa significa? Metterò l'accento su tre criteri.

Bisogna fissare un prezzo alle emissioni che si applichi a orizzonti di pianificazione rilevanti. Questo prezzo non può essere stabilito una volta per tutte, deve cambiare a seconda degli eventi, ma dovrà essere più stabile di quanto non fosse nel mercato dei diritti di emissione messo in piedi dalla Ue. Per questo mi sembra più interessante l'idea di una tassa che l'idea di una Borsa delle emissioni.

In secondo luogo, bisogna separare gli oneri dell'abbattimento delle emissioni dal luogo dove queste avvengono. Le emissioni devono essere ridotte là dove è più efficiente farlo: ecco perché bisogna includere le emissioni dei Paesi in via di sviluppo. Ma i costi devono ricadere sui ricchi: perché se lo possono permettere e perché sono stati loro a produrre il grosso delle emissioni.

Infine, dobbiamo sviluppare e applicare innovazioni in tutte le tecnologie rilevanti. Un documento del think-tank Bruegel sostiene, in modo convincente, che limitarsia imporre un prezzo più alto alle emissioni di anidride carbonica rafforzerebbe la posizione delle tecnologie già esistenti. Servono sovvenzioni su larga scala anche per l'innovazione .

Combattere i cambiamenti climatici è la sfida collettiva più complessa che l'umanità si sia mai trovata di fronte. Per vincerla, servono azioni costose e concertate fra molti Paesi, per affrontare una minaccia remota, a beneficio di persone che ancora devono nascere, in condizioni di inevitabile incertezza sui costi del non agire. Ma siamo arrivati al punto in cui esiste un ampio consenso sulla natura della minaccia e sui tipi di provvedimenti necessari per affrontarla. Forse a Copenhagen non raggiungeremo un accordo. Ma è arrivato il momento di decidere. O agiamo in fretta, o finiremo per scoprire se gli scettici hanno ragione. E in questo secondo caso, spero proprio che abbiano ragione. Però ne dubito fortemente.

Martin Wolf Leader con le rughe. Dall'alto i poster di Obama, Merkel e Brown invecchiati da Greenpeace per non aver agito sul clima

2 dicembre 2009

 

 

Terra, acqua, sole: il pericolo esiste

di Tom De Castella

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22 novembre 2009

I climatologi sono una sorta di tribù esotica: intrigante, talvolta difficile da comprendere e alla quale si fa visita assai di rado. Il direttore di una rivista scientifica mi aveva messo in guardia, dicendo che avrei trovato ben poco che potesse interessare i lettori più tradizionali - i cervelloni si sarebbero detti d'accordo quasi su tutto.

Con loro non c'era possibilità di dialogo, aveva anche aggiunto, ma aveva torto. Se è vero che i climatologi concordano in buona parte sul fatto che il pianeta si sta surriscaldando soprattutto a causa delle attività umane, tra loro vi sono ancora molteplici motivi di conflitto, in particolare su quanto possano essere affidabili le previsioni.

Monitorare l'India

Rajeandra Pachauri (Presidente dell'Ipcc, 69 anni)

Due anni fa il dottor R.K. Pachauri è stato insignito insieme ad Al Gore del Premio Nobel per la Pace per le loro ricerche sul cambiamento del clima. Se Gore è stato il populista e l'uomo di spettacolo, Pachauri è stato il diligente membro di commissione che ha ritirato il premio a nome dell'Ipcc che presiede dal 2002.

L'Ipcc è in effetti un apparato di notevoli dimensioni che si impegna a favore del consenso scientifico sul riscaldamento globale. Da quando è stato creato nel 1988, ha fatto collaborare migliaia di esperti di climatologia per redigere dei rapporti aggiornati sugli ultimi dati e sulle ultime previsioni più accreditate. All'epoca della sua nomina, Gore definì Pachauri "il candidato dei negoziati dietro le quinte": pur non essendo un climatologo in senso stretto, egli ha un ruolo cruciale nel saper creare consensi, specialmente tra le nazioni in via di sviluppo del mondo.

Pachauri respinge l'idea che la popolazione sia un fattore altrettanto determinante della riduzione delle emissioni procapite e afferma che "in America del Nord le emissioni sono di oltre 20 tonnellate procapite l'anno, mentre in Bangladesh non arrivano a mezza tonnellata".

Ma sicuramente il punto è che le emissioni procapite dell'Asia meridionale aumenteranno. Non è forse così? "Questo è il motivo per il quale un paese come l'India non dovrebbe assolutamente permettere che le sue emissioni si avvicinino a quelle del mondo sviluppato". Egli sostiene che l'India dovrà avere un modello di sviluppo completamente diverso rispetto a quello occidentale, che preveda "sistemi di trasporto di massa su larga scala" invece di automobili, e in ogni caso edifici efficienti dal punto di vista energetico.

Nel frattempo le nazioni industrializzate dovranno tagliare rapidamente le loro emissioni. "La mia più grande preoccupazione", dice, "sono le persone che vivono in molte aree del pianeta prive di infrastrutture, senza la capacità o la forza finanziaria di affrontare l'impatto del cambiamento del clima".

COMPORTAMENTO PERSONALE: ha rinunciato a consumare carne rossa e ha regolato l'aria condizionata a una temperatura moderata.

Il mare è a rischio

Stefan Rahmstorf (Potsdam Institute, 49 anni)

Il Signor "Innalzamento dei Mari" mi fissa con occhi gelidi. Ci troviamo in un bar nei pressi di un college di Oxford dove insieme al suo capo John Schellnhuber interverrà a una conferenza sul clima. I due scienziati sono personaggi famosi per i media, ma alcuni colleghi deplorano la loro eccessiva vicinanza alla politica e agli attivisti. Rahmstorf, in visita da Potsdam - una cittadella universitaria molto quotata per la scienza - infonde la sensazione di essere ne llo stesso tempo una persona meticolosa e irrequieta. Sostiene che l'Intergovernmental Panel on Climate Change, il gruppo di esperti intergovernativo chiamato a redigere un rapporto esauriente sul cambiamento del clima, abbia sottovalutato eccessivamente l'innalzamento dei mari.

Dopo aver esaminato i dati degli ultimi 120 anni, Rahmstorf ha scoperto che al di sopra di un certo equilibrio un aumento delle temperature ha provocato un innalzamento proporzionale del livello dei mari. Quando poi ha messo a confronto i risultati dei suoi studi con i modelli risalenti al periodo 1961-2003, ha constatato che la velocità di innalzamento del livello dei mari era superiore del 50 per cento (1,8 mm l'anno) ai parametri che erano stati anticipati (1,2 mm).

L'oceanografo americano Carl Wunsch ha liquidato le conclusioni di Rahmstorf affermando che accurate misurazioni degli oceani risalgono soltanto a venti anni fa: "Chiunque affermi di sapere come stessero gli oceani un secolo fa sta raccontando delle frottole". Ma Rahmstorf insiste che il suo grafico si adegua perfettamente a dati recenti. Poiché le misurazioni da satellite hanno avuto inizio soltanto nel 1993, risulta che il mare si è innalzato di 3,4 mm l'anno. L'Ipcc fa notare nel suo rapporto l'inaccuratezza di queste misurazioni, ma - dice Rahmstorf - non fa alcun tentativo per modificare le proprie proiezioni. Né, del resto, tiene conto delle previsioni relative allo scioglimento delle calotte polari. "Una persona normale arriverebbe alla conclusione che non si può fare affidamento su questi schemi, che invece sono considerati verità incontestabili di ciò che accadrà in futuro". Rahmstorf crede che gli oceani saliranno di livello con una velocità tripla rispetto alle peggiori proiezioni dell'Ipcc. Assumendo un aumento delle temperature entro l'anno 2100 pari a 4 gradi centigradi, c'è quindi da aspettarsi un innalzamento del livello dei mari di 1,2 metri.

Rahmstorf crede anche che se le emissioni di gas serra e CO2 non saranno sotto controllo entro il 2020, non vi sarà tempo per evitare che il riscaldamento del clima superi i 2 gradi centigradi. Membro del Consiglio dei consulenti sul cambiamento del clima del governo tedesco, egli ha reso noto un piano che mira a scongiurare tale innalzamento, che si basa in sostanza sull'assegnazione a ogni nazione di una certa quantità di anidride carbonica per tutti gli anni che ci separano dal 2050.

Al ritmo attuale dei suoi consumi, gli Stati Uniti esauriranno le quote a loro disposizione entro il 2016. Per dare loro il tempo di adeguarsi, i Paesi ricchi potranno pagare le nazioni in via di sviluppo e usufruire di parte dei loro permessi non utilizzati. Rahmstorf è dell'idea che questi contributi economici serviranno alle economie in via di sviluppo per "stare alla larga dal modello negativo" utilizzato dalle nazioni industrializzate nel secolo scorso.

COMPORTAMENTO PERSONALE: non viaggia in aereo quando è in vacanza. Non possiede un'automobile e si reca al lavoro in bicicletta. Ha una casa perfettamente coibentata e ha tagliato i consumi di energia del 60 per cento. I suoi peccati consistono nel comperare banane e nel farsi una lunga doccia ogni mattina.

Primi effetti in 50 anni

Tim Lenton (Università East Anglia, 36 anni)

Tim Lenton è l'erede consacrato di James Lovelock. Da studente universitario lesse il libro di Lovelock Le nuove età di Gaia (libro nel quale l'autore sostiene che terra e biosfera funzionino come un unico sistema complesso) e in seguito scrisse a Lovelock dichiarando di volersi occupare di ricerca nel suo stesso settore. Ciò ha portato a un incontro "sorprendente" e a una collaborazione che si è protratta nel tempo.

Oggi però il discepolo ha imboccato una strada diversa rispetto al maestro in tema di cambiamento del clima. Entrambi gli scienziati paventano reazioni attive del sistema climatico - un effetto domino nel riscaldamento del clima - ma Lenton non condivide la visione apocalittica di Lovelock e chiosa: "Concordiamo sul fatto di avere pareri divergenti in merito al livello di speranza che dovremmo avere per il futuro".

Scambiamo due chiacchiere a casa sua, nella stanza che affaccia su una tranquilla strada residenziale di Norwich. Qui si ha difficilmente l'idea di essere al fronte di guerra del cambiamento del clima, eppure appena nel 2007 l'area provinciale di Norfolk Broads fu quasi allagata dopo una tempesta che scatenò le forze del mare. "A un certo punto - probabilmente entro i prossimi 50 anni - vedremo quest'area tornare a essere un ecosistema di paludi saline", ha commentato.

Mentre altri lavorano in termini di decenni o di secoli, Lenton pensa in termini di milioni di anni. Il libro al quale sta lavorando e nel quale registra l'instabilità di Gaia, si focalizza sui bruschi cambiamenti, come il salto esponenziale della quantità di ossigeno nell'atmosfera verificatosi 2,5 miliardi di anni fa. "Mi chiedo se non ci troviamo per caso all'inizio di un'altra rivoluzione". Ipotizza anche che quando suo figlio James avrà 80 anni, "o ricicleremo l'energia e le materie prime, oppure saremo in procinto di vivere in un mondo di situazioni spiacevoli".

COMPORTAMENTO PERSONALE: è un appassionato utente delle due ruote, ma guida anche una Renault Clio. Trascorre le vacanze nel Regno Unito, ma sua moglie è neozelandese e a Natale consumeranno una bella fetta delle loro "miglia" per andare a trovare i parenti.

La storia ci conforterà

Susan Solomon (Oceanic Center Colorado, 53 anni)

Susan Solomon è stata una delle prime scienziate a spiegare perché il buco nell'ozono si stesse formando sopra l'Antartide e nel 2007 ha presieduto lo storico Intergovernmental Panel on Climate Change che nel suo rapporto affermava che al 90% si poteva star certi che il grosso del riscaldamento terrestre rilevato dal 1950 ad allora era riconducibile alle attività umane. Crede tuttavia nel preservare la purezza della scienza e respinge l'idea che la sua professione abbia il dovere di parlar chiaro di riscaldamento globale.

Questo approccio conservatore delude gli attivisti e alcuni suoi colleghi scienziati. Nelle proiezioni sul livello dei mari del rapporto, esclude le stime riguardanti l'impatto dello scioglimento delle calotte polari perché prospettare un simile evento è assolutamente ipotetico. Non è nemmeno disponibile a parlare di risposte del mondo della politica o di appelli che facciano leva sulle emozioni.

Susan Solomon è convinta che tra soli tre anni i fatti le daranno ragione: "Vi è troppa emotività su questo argomento, influenzata sia da sinistra sia da destra". Compito dell'Ipcc è presentare la scienza con un minimo di congetture, dice. È convinta inoltre che a meno che le emissioni non siano ridotte in modo incisivo, il mondo nel 2060 sarà più caldo di 2 o 3 gradi. Un accordo secondo lei sarà difficile da raggiungere, mettendo in opposizione tra loro la sua stessa accolita di scienziati e la classe politica, e così esemplifica: "Se si radunano venti politici in una camera non si riuscirà a metterli d'accordo su niente, ma se invece di politici si tratta di scienziati, allora alla fine di un'animata discussione e di analisi dei dati si perverrà a un accordo".

Salomon in ogni caso è fiduciosa che le pressioni dell'opinione pubblica possano portare a un risultato strabiliante e inatteso a Copenhagen. "Ogni qualvolta sento una persona affermare che questa o quella cosa è impossibile, ritorno col pensiero ai tempi del buco nell'ozono, quando c'era chi affermava che era impossibile togliere i clorofluorocarburi dai deodoranti. E invece...".

Quando le si chiede come pensa che potrà vivere la generazione del suo figliastro, si infiamma brevemente, sostenendo che tutte queste emozioni non sono granché utili, e dice: "Non so in che modo ne usciremo, ma voglio che gli storici della scienza in futuro siano chiari: gli scienziati disponevano di strumenti primitivi e di informazioni limitate ma questa l'hanno azzeccata".

COMPORTAMENTO PERSONALE: cerca di consumare alimenti vegetariani due volte a settimana, va in bicicletta, guida una Prius.

L'apocalisse è lontana

Antonio Navarra (Centro Euro Mediterraneo, 53 anni)

Al Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici non si fanno previsioni. I progetti guidati dal direttore Antonio Navarra hanno a che fare con sistemi di equilibrio e formule matematiche. Al centro, con sede a Lecce, si definiscono e cercano modelli di simulazione climatica: equazioni in grado di descrivere l'atmosfera. "Quello che possiamo dire è cosa si modifica in una situazione di equilibrio climatico se cambia un agente esterno: in pratica non sappiamo come sarà l'estate del 2012 ma come cambierebbe l'estate tipica in presenza di un agente esterno modificato".

Area di interesse del Centro è il Mediterraneo, "un'appendice rispetto alle altre aree sensibili del pianeta", ironizza Navarra.

L'ultimo studio del Cmcc ha messo in un luce che a fronte di un aumento della temperatura, le precipitazioni invernali diminuiscano del 20 per cento."In realtà - ha precisato - non si tratta di previsioni ma di scenari che da tempo stiamo ipotizzando sulla base dei dati in nostro possesso, relativi alla presenza di anidride carbonica e altri gas nell'atmosfera. Questa percentuale potrebbe oscillare in maniera vistosa ma stiamo lavorando per aumentare l'attendibilità di questi studi". Secondo il direttore il punto non è soffermarsi sul numero preciso ma "sull'individuazione di una vulnerabilità precisa", che nel caso del Mediterraneo riguarda la distribuzione delle risorse idriche.

Navarro non condivide gli scenari apocalittici: "I cambiamenti climatici non si possono definire in maniera univoca: una Svizzera senza neve sarebbe negativa per gli impianti di risalita ma positiva per i coltivatori di frutta". Il direttore è comunque convinto dell'utilità delle previsioni: "Nel processo di gestione del rischio bisogna prendere in considerazione tutti gli scenari possibili".

COMPORTAMENTO PERSONALE: utilizza un'automobile a metano.

Sono solo stupidaggini

Richard Lindzen (Mit di Boston, 69 anni)

Richard Lindzen è affascinante e irascibile. "Questa è la domanda più stupida che io abbia mai sentito!" esclama quando gli chiedo se il cambiamento globale del clima sia in corso. Più tardi, quando gli espongo il concetto per lui profano di che cosa significa riscaldamento globale, sbotta irritato: "Basta con queste stupidaggini!". Quando riferisco le parole del portavoce dell'Intergovernmental Panel on Climate Change, secondo il quale il mondo nel XX secolo si è riscaldato di 0,6 gradi centigradi, addebita tale riscaldamento alla naturale instabilità del clima.

Cresciuto nel Bronx, laureatosi ad Harvard, Lindzen tra tutti gli scienziati è il più illustre negazionista del cambiamento del clima. Egli sostiene che l'impatto dell'anidride carbonica sul cambiamento del clima è stato sopravvalutato e afferma che le emissioni potranno anche continuare ad aumentare senza ulteriori conseguenze. I livelli di CO2 dell'epoca pre-industriale erano di 280 parti per milione: oggi sono saliti a 390 ppm e i partecipanti alla Conferenza di Copenhagen si ripromettono di stabilizzarli intorno a 450 ppm (parti per milione). Invece Lindzen dice che potremmo tranquillamente superare le 10mila, e dichiara che se anche ci fosse motivo di temere qualche conseguenza, avremmo tutto il tempo necessario ad accorgercene tempestivamente.

Contrariamente a quanto dicono i modelli, Lindzen sostiene che il nostro pianeta non si è riscaldato nell'ultimo decennio e siamo noi, insomma, ad averne sottovalutato la variabilità naturale.

Per quanto riguarda poi il riscaldamento di soli 0,6 gradi centigradi, Lindzen afferma che la tesi secondo cui ne sarebbe responsabile l'uomo è indifendibile. I suoi critici sottolineano che la sua enfasi sugli ultimi 10 anni è una falsa pista. I dati sul cambiamento del clima non si basano su un trend decennale, ma su un periodo di 30-50 anni. Lindzen è convinto che il riscaldamento globale un giorno sarà considerato una bufala. E conclude: "E spero che accada mentre sono ancora vivo".

COMPORTAMENTO PERSONALE: guida una vettura di piccole dimensioni, utilizza lampadine a risparmio energetico e dice di consumare, probabilmente, meno energia degli "attivisti di Washington che si battono contro il cambiamento del clima e vanno in giro in Mercedes".

(Traduzione di Anna Bissanti)

22 novembre 2009

 

 

 

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